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Usurai, illusi e idioti

di Lorenzo Moore - 07/03/2011

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Sette miliardi di euro in Unicredit (7% delle azioni), due in Finmeccanica, una quota di proprietà (7%) della Juventus e soprattutto i fondi di investimento (il principale targato Londra) sparsi per un’ottantina di miliardi di euro tra le due sponde dell’Atlantico. Con amicizie e partecipazioni d’affari insospettabili: nel controllo (3%) della casa editrice Pearson (The Economist e Financial Times), con la famiglia Rothschild, con il principe Andrew (che ora vogliono esautorare dalle p.r. di Sua Maestà), con Howard Davies, direttore della London School of Economics “adviser” di Gheddafi e forzato alle dimissioni, con l’ex commissario al Commercio dell’Ue Peter Mandelson, con il magnate della finanza d’assalto yankee Stephen Schwarzman della Blackstone e con David Rubenstein della Carlyle...
Questa la fotografia parzialissima dei tanti rivoli di denaro - pilotati dai blasonati Signori della finanza fin qui “fiduciari” del regime del colonnello Gheddafi - depositati nei quattro angoli del pianeta. Fondi e depositi in queste ore alla ricerca di un salvacondotto contro le possibili sanzioni che Lady Clinton intende attuare congelando i beni libici. Beni “liquidi” al quale vanno aggiunti, quantomeno, i 110 miliardi di dollari di riserve posseduti dalla Banca centrale di Tripoli.
La rivolta in Libia, per l’Occidente, significa anche questo: come catturare, oltre al controllo dei pozzi di petrolio orientali e meridionali del Paese, le disponibilità di denaro del regime, senza disturbare troppo la Grande Finanza.
E cercando, per sovrapprezzo, di insediare, quantomeno a Bengasi, un “governo” amico, attraverso il quale esorcizzare l’incubo di una possibile nuova esplosione della rivolta in un Egitto lungi dall’essere “normalizzato”. Una tripla “strategia”(meglio: rapina) - naturalmente priva totalmente di benefici per i “libici liberati” e filo-occidentali - da concludere al più presto. A costo di agitare lo spettro di una “somalizzazione” della Libia, naturale conseguenza dei minacciati interventi militari della Nato o della UsNavy. Se questo è lo scenario di quanto si prepara in terra libica, due osservazioni sono conseguenziali. La prima riguarda l’atteggiamento di un’Italia che, come da copione, si investe del ruolo di “missionaria umanitaria”, la solita scontata formula per “partecipare-senza-partecipare” alle crociate atlantiche.
La seconda riguarda gli anglo-americani. Che, non contenti di aver fatto implodere il Vicino Oriente con le gratuite guerre d’invasione in Iraq e in Afghanistan con il risultato di regalare grandi spazi di radicamento al fondamentalismo islamico, adesso sembrano decisi a riproporre la stessa ricetta ad appena un centinaio di miglia dall’Italia. Con quello che ne conseguirà, non soltanto per la sicurezza del nostro popolo, ma per tutta l’Europa del sud.
Mettono il coltello nella ferita, lo rigirano e poi pensano che nessuno si vendicherà.
Illusi e idioti.