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Che coppia formidabile sarebbero l’uomo e la donna, se soltanto lo volessero

di Francesco Lamendola - 16/12/2011



 


L’uomo e la donna: che coppia formidabile sarebbero, se solo lo volessero; se solo fossero capaci di comprendere fino a che punto hanno bisogno l’uno dell’altra.
Che cosa non riuscirebbero a fare; quali ostacoli non saprebbero superare; quali mete potrebbero restare al di là della loro ambizione, se solo potessero levarsi la benda agli occhi e riconoscere, al primo sguardo, che sono fatti per procedere insieme e per darsi l’un l’altra il meglio di cui sono capaci, e non già, come troppo spesso avviene, il peggio.
Insieme sono una forza, una forza quasi irresistibile: si stenta a immaginare il limite, a pensare a quello che sarebbe troppo per loro; i fardelli più pesanti, i sacrifici più eroici, l’amore e la dedizione più puri, scaturiscono dal loro accordo, dalla loro sintonia.
Ma cos’è, esattamente, che impedisce loro di unire le forze, di farsi del bene, di donarsi la propria parte migliore?
Tutto ha avuto inizio quando la cultura della modernità ha insinuato in loro il serpente della diffidenza, del sospetto, della gelosia; quando, in particolare, la donna ha incominciato a sentirsi defraudata dei suoi “diritti”, a considerarsi un semplice oggetto nelle mani dell’uomo (la Nora di Ibsen, quanto male ha fatto il suo esempio!) e a rivendicare una impossibile “uguaglianza”, che altro non è se non la negazione della propria specificità ontologica.
Da quel malaugurato giorno, niente è più stato come prima fra l’uomo e la donna; ciò che prima veniva fatto con spontaneità, con naturalezza, con trasporto, è divenuto materia di una contabilità minuziosa, è stato registrato sulla partita doppia del dare e dell’avere, è stato messo in conto all’altro, come una cambiale in attesa di riscossione.
Intendiamoci: non che prima il rapporto fra uomo e donna fosse sempre e solo  idilliaco; talvolta non era nemmeno rispettoso: ma questa era l’eccezione, non la regola; e la solidità delle famiglie di una o due generazioni fa, i figli cresciuti con amore e con sani principi, i nipoti accolti con gioia, tutto questo ne è la prova migliore, perché basata su di una realtà che moltissimi di noi hanno conosciuto e non pochi hanno avuto la fortuna di vivere in prima persona.
Il veleno che ha minato la fiducia reciproca, l’armonia, la stima, si è insinuato insieme alla scontentezza, alla convinzione che una violenza, o quanto meno una prepotenza sistematica, era stata consumata sistematicamente; che dietro la facciata serena delle famiglie di ieri vi fosse la esecrabile realtà di uno sfruttamento intollerabile, di un misconoscimento dei diritti fondamentali di una delle due parti, quella femminile.
La donna di ieri era più felice, in primo luogo perché si sentiva pienamente realizzata nei figli; in secondo luogo, perché godeva nel vedere la propria famiglia tenuta insieme dai vincoli dell’amore e della reciproca solidarietà. Non c’era conflitto tra il suo privato e le esigenze familiari: non si sentiva defraudata di qualcosa se, invece di andare a passare il pomeriggio in palestra, o magari dall’estetista, a depilarsi e a farsi le lampade, aiutava i propri figli a fare i compiti, o preparava un dolce per loro, o li accompagnava ai giardini per farli un po’ giocare.
Certo, non era giusto che dovesse pensare a tutto lei; ma diciamo la verità: quanti erano i mariti che non la aiutavano in niente, che se ne stavano tranquillamente seduti in poltrona, a fumare e a far le parole crociate, mentre lei sgobbava da mattina a sera? Anche se tornavano stanchi dal lavoro, la stragrande maggioranza degli uomini non si sottraevano al dovere di prestare un certo aiuto domestico; oggi, in ogni caso, non si sottraggono per niente.
Certo, oggi lavorano fuori casa sia l’uomo che la donna; e anche tirar su i bambini è diventato più difficile, sia dal punto di vista puramente pratico, sia dal punto di vista educativo; in moltissimi casi, però, ci sono i nonni a dare una mano.
No, non sarebbe giusto dare la colpa del deterioramento dei rapporti fra l’uomo e la donna, ai loro figli, e neppure al fatto di dover lavorare entrambi fuori casa, senza vedersi per quasi tutta la giornata; ci sono ben altre cause, in ballo: cause culturali e spirituali, in primissimo luogo; e, in particolare, una cultura del sospetto, che porta entrambi a temere che l’altro non faccia abbastanza, che non si impegni quanto dovrebbe.
Un tempo, con la casa e i bambini, faceva quasi tutto la donna; ora, però, le cose si sono spesso rovesciate: conosciamo delle donne che non sono capaci di mettere a letto i figli da sole, alla sera; e che telefonano al marito quasi in preda al panico, quelle poche volte che lui esce per coltivare una passione - la musica, lo sport -, sollecitandolo a rientrare il più presto possibile.
Conosciamo anche parecchie donne che non vanno mai a fare la spesa; che non lavano, non stirano, non preparano da mangiare; che non sanno nemmeno come si cuce un bottone o come si lavano i piatti sporchi, né ci tengono a saperlo: lasciano fare tutto ai loro uomini.
Esagerazioni? Non tanto. Chiaro che esistono anche le situazioni opposte, nelle quali è l’uomo a non far nulla e a pretendere di essere servito dal principio alla fine; si tratta, però, lo ripetiamo, di casi ormai relativamente rari, quasi sempre dovuti alla scarsa autostima di certe donne le quali, pur di non rimanere sole, son disposte a mettersi insieme al primo uomo che capita loro a tiro, fosse pure il più egoista e il più immaturo che vi sia al mondo. Ora, la cosa strana non è che ci siano al mondo uomini egoisti e immaturi, ma che vi siano donne disposte a sposarli e a viverci insieme - salvo poi lamentarsene amaramente.
Ma qual è il confine tra un gesto fatto per amore e un gesto fatto per necessità, perché nessun altro si prenderebbe il disturbo di farlo? Qual è il confine tra il preparare il pranzo per amore dell’altro, non sentendosi sfruttati, ma contenti, e il doverlo fare per abitudine, con stanchezza, con fastidio, con tristezza, magari mentre l’altro se ne sta a far niente, aspettando solo di essere servito come un pascià?
Ebbene, è un confine sottile, sovente perfino ambiguo: visto con gli occhi di un osservatore estraneo, potrebbe non esistere addirittura; invece chi compie quel gesto sa benissimo, in cuor suo, con che stato d’animo lo stia facendo, con quale intenzione, con quale livello di gratificazione: sa a quale delle due categorie esso appartiene.
L’errore è stato quello di voler quantificare, di voler pesare e misurare, di voler stabilire, col bilancino del farmacista, che la donna e l’uomo facessero l’una per l’altro non solo le stesse cose (per le quali non sono portati allo stesso modo), ma anche nella stessa misura e perfino negli stessi tempi; l’errore è stato quello di voler certificare e sindacalizzare il rapporto dei reciproci diritti e doveri dell’uomo e della donna.
Il secondo errore è stato quello di voler negare le specificità e le differenze; e, in particolare, di voler fare della donna una (brutta) copia dell’uomo; col contraccolpo inevitabile che non pochi uomini si sono ridotti ad essere la (brutta) copia delle donne.
Il terzo errore è stato quello del narcisismo: di subordinare ogni cosa alla realizzazione di sé, non in armonia con l’atro, ma in opposizione all’altro; di vedere l’altro come un ostacolo, come un impedimento alla gratificazione del proprio io.
Il quarto errore è stato quello di considerare la nascita dei figli come una cosa secondaria, se non proprio come una limitazione alla propria libertà; di averla vista, cioè, più come sotto la luce di quello che essa avrebbe tolto ai genitori, che non sotto quella di ciò che avrebbe dato loro.
E il quinto errore è stato la stupidità: la stupidità di proiettare i propri desideri verso il modello idiota della televisione-spazzatura, degli squallidi vip dei rotocalchi o, addirittura, verso le coppie demenziali della pubblicità: con i bei risultati che abbiamo davanti agli occhi.
Arrivati a questo punto, la domanda è: come se ne esce? Che cosa si può fare perché l’uomo e la dona si ritrovino, si ritrovino veramente, e non solo per fare all’amore, ma per offrirsi la virilità e la femminilità, in quanto di più sublime hanno le loro differenze di genere?
Oppure la crisi nei rapporti fra l’uomo e la donna è una crisi senza ritorno, perché è il risultato di una vera e propria mutazione antropologica - e non in senso migliorativo?
Noi non lo crediamo.
Anche se oggi è di gran moda sfoggiare il massimo pessimismo nei confronti di tutti i problemi che attanagliano la società, noi siamo persuasi che la possibilità di superare le difficoltà è ancora alla nostra portata, beninteso a determinate condizioni.
Specialmente gli intellettuali, o coloro che si spacciano per tali, hanno una grave responsabilità nella diffusione di un clima generalizzato di insicurezza, di scoraggiamento, di ansia e di vera e propria depressione, poiché, venendo meno al loro codice deontologico, che è quello di essere testimoni di speranza, si sono fatti cattivi sofisti al servizio di tutte le bandiere; e, siccome oggi vanno di moda le cupe bandiere del nichilismo e del catastrofismo, la maggior parte di essi hanno ritenuto di doversi adeguare alla “domanda” del pubblico.
L’uomo e la donna, dunque, possono farcela: possono ritrovare le ragioni della loro reciproca intesa e, quindi, possono tornare ad essere una forza, una forza formidabile, capace di affrontare vittoriosamente anche le prove più difficili: malattie, problemi economici, ansia, depressione, solitudine.
Un lettore di nome Lorenzo, divenuto mio amico, mi ha chiesto per quale ragione batto e ribatto così insistentemente sul tasto del rapporto fra uomo e donna; rispondo: perché esso rappresenta uno dei nodi cruciali sui quali si gioca la partita del domani. Non si evidenzierà mai abbastanza il fatto che solo mediante una ritrovata armonia fra l’uomo e la donna, la nostra società potrà affrontare con qualche prospettiva di successo la crisi mondiale che stiamo vivendo: crisi economica, sociale, politica, culturale, spirituale.
Divisi, nemici o resi indifferenti l’uno all’altra, l’uomo e a donna sono pressoché condannati alla sconfitta: non riuscirebbero nemmeno a ritagliarsi quel minimo di serenità, di stabilità esistenziale e di equilibrio emotivo e psicologico, che sono il presupposto indispensabile per condurre una vita ordinata e fruttuosa sul piano personale; figuriamoci se saprebbero fronteggiare problemi collettivi di più vasta portata.
Naturalmente, perché possano farsi il dono di qualcosa, è necessario che tanto l’uomo quanto la donna siano capaci di essere se stessi; ossia che il loro dono reciproco avvenga sulla base della loro specificità ontologica - che non è, come vorrebbero le femministe arrabbiate, una astuta invenzione del maschilismo padrone, ma un fatto essenziale ed originario.
L’uomo, dunque, deve tornare a fare l’uomo e la donna, la donna: questo è il punto di partenza imprescindibile, senza il quale tutto il resto rischia di ridursi a una serie di velleitarie petizioni di principio o peggio, di inutili sogni ad occhi aperti.
Certo, sappiamo benissimo che nell’animo maschile esiste anche una componente femminile, così come nell’animo femminile esiste una componente virile; ma da qui a sostenere che l’uomo e la donna sono, in quanto alla loro natura essenziale, sostanzialmente intercambiabili, ce ne corre: questa è l’origine della confusione che tante nefaste conseguenze ha generato.
L’omosessualità e la bisessualità dilaganti non sono che la logica conseguenza di questa assurda affermazione: che l’uomo e la donna non differiscono sostanzialmente; che, in fondo, la loro natura essenziale è più o meno la stessa.
Un’altra conseguenza è la serie infinita dei malintesi, degli equivoci, delle disillusioni, delle amarezze, dei contrasti dovuti alla scoperta che tale differenza, invece, esiste: che l’uomo e la donna, perfino quando sembrano dire le stesse cose e con le stesse parole, intendo, in realtà, cose diverse, perché diverso è il loro modo di sentire, di pensare, di amare.
Dire che l’uomo e la donna sono profondamente diversi, si badi, non vuol dire affatto che siano destinati a non capirsi: si possono capire in un senso più profondo, riuscendo anzi a completarsi a vicenda e ad arricchirsi delle rispettive differenze, purché sappiano di essere diversi, accettino questo fatto e lo vivano non come un ostacolo, ma come una benedizione.
Infine, tanto l’uomo che la donna dovrebbero ricordarsi di non essere soli e sperduti nell’immensità dell’universo; di non essere nati dal caso, né di essere destinati al nulla, ma parte della vita cosmica.