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L’ultimo samurai

di Giampaolo Guizzardi - 16/12/2011

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La sconfitta del giusto. L’anima della tragedia. Due secoli che si incontrano e decidono la guerra, il bellum iniquum di cui parlava inascoltato Virgilio.

Da una parte il mondo qualitativo dell’onore, questo mondo per certi versi “medievale” con il suo corredo di formule, di riti, di sostanza che non appare all’uomo moderno ma che in realtà permea ogni aspetto di quell’esistenza. La qualità dell’uomo, il suo attaccamento all’onore, alla salute della memoria, a quell’eternità che negata al corpo giunge al nome di chi vive e muore degnamente. La dimensione qualitativa dell’uomo, la dimensione della tradizione e dell’immutabile, nulla cambia perché tutto è sostanza. Tutto cambia quando non vi è sostanza e l’aspetto non è vincolato alla perpetuità perché non ha alcuna importanza reale.

I samurai sono come gli eroi del mito e della tragedia greca, portatori di valori ormai perduti ed inattuali che lottano contro il presente meschinamente materiale (e perciò superficiale) destinato alla sconfitta.
Quale parametro per l’esistenza? L’esistenza quantitativa e materiale –che facendomi prestare da Dante le parole riferite ad Epicuro- che rende l’anima mortale e conduce il tutto al nulla senza oltre della morte ma giovando alla vita il piacere dei sensi o invece l’esistenza qualitativa e trascendente, l’esistenza poetica e mistica dell’uomo antico che trova l’anima nell’uomo ed è una anima eterna e anche nella realtà extracorporea ed addirittura incorporea vede uno spirito vivo ed eterno?

A cosa guardiamo? All’oggi o al “poi per sempre”. Guardiamo la vita con occhi da vecchio o con occhi da miope? I vecchi, vicini alla morte, non scorgono quanto hanno vicino, ma vedono lontano. Talvolta il senno non più esatto gli fa vedere persone che non sono o che almeno per noi giovani animali razionali non sono più percepibili, talvolta il loro udito non gli permette di distinguere le singole parole e crea il silenzio. Silenzio, lungimiranza, serenità di avere vissuto la vita e sapere quali sono le croci sul cammino di ognuno e quelle che invece sono solo paure.

E i miopi? I miopi vedono benissimo ciò che hanno vicino, ma a loro l’orizzonte scorre confuso. Sono in grado di scorgere un granello di sabbia ma non le nuvole o le vette delle montagne, non le stelle quando cade la notte.

Il passato è un vecchio che cammina a fatica, che talvolta pare un po’ sordo e cretino coi suoi sorrisi senza motivo, debole perché non vede, ma il vecchio cammina più a lungo, ormai lascia le cose di qua e volge al domani, non si cura il vecchio e il nostro passato dell’imminente futuro –il domani è ordinaria amministrazione- il vecchio guarda alla morte ed alla vita al di là di essa. È necessaria la morte perché il passato divenga eterno, come gli eroi del mito e della tragedia, la loro stella brilla nella pira del loro corpo.

È sconfitto il tempo dei samurai, è stato travolto il mondo di Achille dagli scaltri Odissei e dal progresso quantitativo, eppure di Ulisse diciamo che fu ladro, di Achille invece che fu eroe.