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Protezionismo contro schiavismo. La scelta brasiliana che dovremmo imitare

di Marco Stella - 21/12/2011

       

 

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“Il Brasile adotterà una serie di misure di difesa per proteggere il mercato brasiliano da prodotti importati che si avvalgono di mezzi  di concorrenza sleale e di deprezzamento artificioso dovuto a cambi manipolati”
È quanto ha affermato il Ministro dell’Economia Guido Mantega, che ha continuato dicendo che “il governo reagirà con tasse di protezione per alcuni settori”.
Tale presa di posizione del Ministro è stata evidenziata dal servizio del giornalista Vinicius Torres Freire, pubblicato sul quotidiano Folha de São Paulo.
Secondo quanto riportato sul rinomato quotidiano paolista, giovedì 15 dicembre Mantega avrebbe incontrato i rappresentanti di oltre una ventina di associazioni di imprenditori, per la maggior parte dell’industria. Imprenditori ed amministratori, che si aspettavano dal ministro indicazioni al riguardo di nuove misure di ausilio ai settori, hanno ricevuto dal Ministro  la certezza che verranno prese delle misure per la difesa del mercato brasiliano.
Fonte: Folha on line
Opinione
Come già riportato sul portale precedentemente, la linea protezionistica da parte del governo federale brasliano, ben tracciata dalla Presidentessa Dilma, si inserisce in un quadro economico globale dove alcune forze tendono all’indebolimento delle nazioni al fine di garanire il completo svincolarasi dell’economia dalla politica. È con misure simili a quelle annunciate dal Brasile che le nazioni possono proteggersi da tali attacchi da prte delle lobby economiche internazionaliste, riaffermando il primato della Politica sull’economia, facendo valere i principi democratici. Non è forse chiaro a tutti quanto sia antidemocratico il liberismo che permette l’invasione economica sregolata? Basta dunque pensare a quanti imprenditori sono costretti a chiudere le fabbriche nei paesi dove ciò avviene, basta pensare a quanti operai perdono il lavoro nei paesi dove ciò avviene, basta pensare alla mano d’opera schiava impiegata da quei paesi che immettono sui mercati globali prodotti infinitamente più economici di quelli fabbricati nei paesi dove si rispettano i diritti del lavoratore.
Abbracciare il protezionismo vuol dire esser contro tutto ciò, proteggere l’industria nazionale vuol dire difendere gli imprenditori e garantire posti di lavoro agli operai, vuol dire educare il consumatore e fargli abbandonare abitudini consumistiche. Proteggere o liberare è la differnza tra sopravvivere o soccombere. Affinché si possa fare quel salto di qualità che permetta lo scambio economico tra i paesi ed allo stesso tempo la difesa degli irrinunciabili interessi nazionali è giusto che a tale scambio partecipino esclusivamente i paesi che hanno scelto di condividere le stesse regole. I paesi schiavisti vanno esclusi dal mercato, far buon viso a cattivo gioco è un’attitudine connivente e l’immane tragedia della schiavitù, con le sue crude responsabilità, cade come un pesante karma non solo sugli sfruttatori, ma anche su chi, avendo la possibilità di combattere tale dramma, non muove dito. Quando nelle americhe dell’ottocento si riteneva “normale” l’impiego degli schiavi negri, l’élite abolizionista iniziò una lunga battaglia per combattere quel modo di pensare, allo stesso modo anche oggi una logica neoabolizionista dovrebbe sorgere in seno alla società per combattere la schiavitù contemporanea. Le misure protezionistiche, riprendendo il filo della matassa, oltre ad essere la salvezza delle economie nazionali, sono anche un importante ausilio alla definitiva abolizione della schiavitù.