Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Rossobrunismo?

Rossobrunismo?

di Luciano Fuschini - 22/05/2012

Fonte: giornaledelribelle

    


Image

Ormai parlare di superamento della vecchia contrapposizione fra destra e sinistra è diventato un luogo comune. Tuttavia se ne parla secondo criteri assai diversi. L’unico che consiste in un vero superamento di quella falsa dicotomia e non in una semplice sovrapposizione di elementi tradizionalmente attribuiti alla destra e alla sinistra, è quello che non perde di vista i due punti fermi dell’antimodernità e della decrescita. Solo mantenendo la barra del timone ben orientata su questi due obiettivi si può legittimamente affermare di essere fuori dallo schematismo introdotto dalla rivoluzione francese.
Non è il caso degli ormai numerosi movimenti rossobruni. Essi si caratterizzano avendo tre punti programmatici in comune: 1) il nazionalismo (sarebbe doveroso distinguere, seguendo Mazzini, fra patriottismo e nazionalismo, ma un acceso patriottismo sfocia inevitabilmente nel nazionalismo); 2) il rifiuto dei meccanismi istituzionali rappresentativi del sistema liberal-democratico; 3) il socialismo, inteso più come nazionalizzazione degli istituti finanziari che come collettivizzazione dei mezzi di produzione.
L’unico punto in cui i movimenti rossobruni dissentono fra loro è il primo, in quanto alcuni intendono il nazionalismo in senso proprio, come difesa ed esaltazione dell’identità nazionale, mentre altri sostituiscono alla nazione l’Europa come riferimento identitario, un’Europa beninteso svincolata dalla tutela americana, verso la quale tutti i movimenti rossobruni manifestano una ripulsa totale. Ebbene, stando così le cose, bisogna giungere alla conclusione che il cosiddetto rossobrunismo non è altro che la sinistra fascista. Il rossobrunismo è il fascismo di sinistra.
Una sinistra fascista è sempre esistita e ha avuto un peso superiore a quanto la storiografia di orientamento marxista, per lungo tempo dominante, sia stata disposta ad ammettere. Del resto sarebbe sorprendente un’assenza di sinistrismo in un fenomeno, quello fascista, che ha avuto fra i promotori molti provenienti dal sindacalismo rivoluzionario e dal socialismo massimalista, primo fra tutti Mussolini. La linea “rossa” del fascismo è identificabile in tutta la sua storia. Il sindacalista rivoluzionario De Ambris e la sua Carta del Carnaro, lodata dallo stesso Lenin, espressione di un dannunzianesimo destinato a confluire nel fascismo; il programma del primo fascismo, quello sansepolcrista, repubblicano, anticlericale e socialisteggiante (sempre Lenin rimproverò i socialisti italiani per essersi lasciati sfuggire l’unico capo rivoluzionario fra loro, Mussolini); il corporativismo su cui tanto si adoperò Bottai, basato sull’idea della prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato; le nazionalizzazioni degli anni Trenta, affidate dallo stesso Mussolini al socialista Beneduce; la polemica contro le demo-pluto-crazie dell’Occidente; infine il programma molto avanzato socialmente della Repubblica di Salò. Se nel regime fascista prevalsero nettamente gli elementi  monarchici, borghesi e imperialisti, fu per i compromessi di potere con le forze conservatrici (industriali, agrari, Vaticano, corte dei Savoia, gerarchie militari) e soprattutto per la paura del bolscevismo. Ora che del bolscevismo non c’è più traccia, è comprensibile che il neofascismo si ripresenti col suo volto originario “di sinistra”.
Noi non siamo rossobruni, non abbiamo nulla da spartire col rossobrunismo, cioè col fascismo di sinistra. Non siamo nazionalisti, nutrendo piuttosto l’ideale di un radicamento nelle realtà regionali federate in un contesto nazionale a sua volta articolato in un’Europa federale. Quanto al nostro ideale sociale, è più definibile come un comunitarismo che come un socialismo statalista e accentratore. Eppure coi rossobruni, cioè con la sinistra fascista, che si riconosca come tale o non, è possibile e anche auspicabile un tratto di strada in comune.
Oggi la priorità assoluta è la demolizione di quella caricatura dell’Europa unita che è la UE.
Liberarci della stretta dell’Europa dei banchieri, appendice degli USA e non loro contrappeso, è la precondizione per ogni ulteriore liberazione. A questo fine occorrono parole d’ordine semplici e chiare, recepibili dai tanti che non sono pronti ad accogliere un discorso antimoderno e decrescista. Queste parole d’ordine semplici, chiare, mobilitanti, sono: recupero della piena sovranità nazionale, lotta alla speculazione finanziaria e alla rendita, forme di protezionismo compatibili con nuove relazioni internazionali. Volendo ragionare in termini politici, che non possono prescindere da alleanze e compromessi, questi sono gli obiettivi che permetteranno di mettere finalmente in moto un processo che dovrà portare più lontano. Si tratta di riavvolgere il nastro, di tornare indietro cancellando l’orrore devastante degli ultimi decenni, non per fare della Nazione il fine ultimo. Se così fosse, ci sfuggirebbe il carattere di svolta epocale che assume la crisi in cui ci troviamo. Ripristinare la sovranità nazionale è solo la via più breve e più praticabile per demolire un sistema, mettere in crisi questa Europa e la globalizzazione, creando le condizioni per la messa in discussione di tutta la modernità, compreso quello Stato-Nazione burocratico e accentrato che della modernità è stato un’espressione fondamentale.