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Elogio della disaffezione elettorale

di Francesco Mario Agnoli - 31/10/2012

Che botta!  Quasi il  70% dei siciliani (al 52,6% di astenuti vanno aggiunti i  consensi ottenuti dal  Movimento 5 Stelle) ha mostrato di non  volerne più sapere dell'attuale sistema partitocratico. Un giudizio che coinvolge tutti: politici e politicanti, tecnici e burocrati, inclusi i due presunti salvatori della patria, Monti e Napolitano.

  Su questo scenario di desolazione (per loro) continuano a muoversi i vecchi capi-partito, locali e nazionali. Tutti ancora fermi, come guitti rintronati, agli schemi delle vecchia commedia all'italiana e alle logore battute di sempre,  incapaci di  comprendere che il pubblico gli ha definitivamente voltato le  spalle e non vuole più nemmeno perdere il tempo a fischiarli,  Che pena!. In particolare i vincitori. Bersani, che con toni trionfalistici definisce  “risultato storico” l'elezione a governatore di un suo uomo, e Casini, che blatera  degli insegnamenti da trarre a livello nazionale dal successo dell'alleanza fra progressisti e moderati, cioè fra Pd e Udc, per battere l'antipolitica.

    Storico il risultato lo è davvero, ma, al contrario di quanto crede Bersani,  non perché  dopo Totò Cuffaro (attualmente detenuto) e  Raffaele Lombardo (sotto processo) il governatore della Sicilia  sarà Rosario Crocetta, Del resto anche quest'ultimo fa parte del carrozzone di  Tespi di quella vecchia politica che proprio in Sicilia potrebbe aver dato uno degli ultimi rantoli. E' anche lui  uomo di partito e, a dispetto  della carica che può dargli  il successo della  poltrona conseguita,   esattamente come tutti gli altri un relitto del sistema. Ciò non toglie che, dopo tutto, lo si possa anche capire. Lui almeno un risultato  personale, sul quale forse nemmeno troppo contava, lo  ha ottenuto. Tuttavia  qualche amico dovrebbe avvertirlo  che non è il caso, continuando a ragionare in termini di percentuali, di  menare  troppo vanto del 30% di voti conseguiti, e fargli capire che proprio le percentuali lo avvertono che a votarlo è stato meno del 15% degli elettori siciliani.  Sufficienti a garantirgli una legittimazione formale, ma la sostanza è altra.

     Ancora più rintronati  gli attori dello sconfitto schieramento di centro-destra, che per  consolarsi non hanno nemmeno la poltrona di governatore. Non gli rimane che barbugliare  che se non si fossero  divisi fra   Musumeci e Micciché  avrebbero avuto il 40% dei voti (cioè del 20%  dei siciliani)  e indirizzare, senza dirlo ad alta voce, qualche imprecazione a Berlusconi, che, decotto e stracotto com'è, con le sue ultime esternazioni qualche voto già del centro-destra ai grillini lo avrà  pure regalato.

    Per il futuro non resta che sperare che almeno   i mass-media, i politologi, e i maitres à penser della politica la lezione l'abbiano imparata. Sarebbe grave se, dopo le considerazioni   sull'astensionismo e la  disaffezione dei cittadini alla politica cui la forza delle cose li costringerà nel primo momento, tornassero come se nulla fosse accaduto  alle vecchie pratiche,  mettendo al centro della loro attenzione, come se ne dipendesse la salvezza dell'isola e magari dell'Italia intera,   le manovre  nelle quali si dovrà impegnare e gli accordi che dovrà tentare il neo-governatore per garantirsi  nell'assemblea regionale siciliana quella maggioranza che non gli è assicurata dagli eletti della sua salvifica (secondo il duo Bersani-Casini) coalizione moderato-progressista.

     Prima di chiudere un cenno a  un'ultima nota positiva di questa tornata elettorale nella regione tradizionalmente definita  laboratorio di nuove esperienze nazionali:  il tracollo dei falsi moralisti e dei finti  rivoluzionari. L'Italia dei valori (immobiliari) e la Sinistra ecologica e libertaria non avranno rappresentanti a Palazzo dei Normanni.