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Le “primarie”: la politica ridotta a farsa

di Enrico Galoppini - 27/11/2012

Fonte: europeanphoenix



Saremo brevi perché la cosa non merita molto tempo. Tuttavia due parole vanno spese per commentare le “primarie” del Partito Democratico, alle quali, pare, faranno seguito quelle del Pdl, che non può ancora chiamarsi “Partito Repubblicano” per il semplice fatto che in Italia una “Partito Repubblicano” esiste già. Sennò avremmo già avuto due “grandi partiti”, come in America.

Stabiliamo subito che della modalità con cui sono state svolte queste “primarie” e dei vari particolari più o meno “curiosi” ad esse legati non ce ne frega assolutamente nulla. E sommo disinteresse ci provoca il “boom” con cui tutti gli apparati di persuasione di massa presentano questa patetica “operazione simpatia”.

Ma andiamo in ordine su quanto invece è più importante, che non le bagattelle tra questo o quel “candidato” e la relativa “tifoseria”.

La prima cosa da ficcarsi bene nella zucca è che queste “elezioni interne” sono scopiazzate a menadito dall’America, che per un verso ce le impone, per un altro ce le ispira. Intendo dire che il diktat è chiaro: “dovete fare come noi!”. Ma ciò sfrutta anche una forma mentis che fa breccia col procedere dell’americanizzazione della nostra nazione.

Dunque, le “primarie” sono né più né meno che uno strumento con cui veniamo ulteriormente soggiogati dai nostri padroni, ed uno specchio della mentalità che va modificandosi verso quella americana, punta avanzata di quella “moderna”, in cui l’ipocrisia e il gusto per la sceneggiata hanno una parte preponderante.

La seconda cosa da capire è che il Partito Democratico è il più americanizzato sulla scena, il che è tutto dire. Infatti è quello che – erede della ‘tradizione chiesastica’ del PCI, in cui il “gregge” obbediva ciecamente, ed uscito indenne da “Mani Pulite”… – ha meno patito nell’imbastire questa baracconata, che mette vergogna al solo pensarci. Il PdL, a causa della presenza “forte” del Cavaliere, stenta ad adeguarsi, ma lo farà (quanto sia “forte” Berlusconi in realtà lo si è visto quando in quattro e quattr’otto è stato eliminato dalla scena, tra l’assassinio di Gheddafi, lo “spread impazzito” e la speculazione sui titoli delle sue aziende).

Altra questione da capire: in scala ridotta, le “primarie” ripropongono l’inutile teatrino dello scontro tra “destra” e “sinistra”, ma su un piano “interno”; ma anche la tensione  tra “vecchio” e “nuovo”, altro tormentone di ogni consultazione elettorale, tanto parole d’ordine tipo “svecchiamento”, “cambiamento” e “rinnovamento” sono l’irrinunciabile armamentario dialettico di ogni mestierante di una “politica democratica” che si rispetti. Quanta “novità” vi sia in tutto ciò, ciascuno lo giudichi da sé, cercando di sviluppare la capacità di andare almeno oltre il fenomeno del “verbalismo”, che è l’uso per così dire “pubblicitario” delle parole, per il semplice ‘suono’ che evocano alle orecchie di chi le ascolta.

Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione è che, coerentemente col diktat americano di cui sopra, la politica, da “ideologica” diventa sempre più “personalizzata”, seguendo una tendenza innescatasi con evidenza dalla fine dell’Unione Sovietica, che ha posto fine all’esigenza di propinarci inutili partiti “ideologici”, sostituiti da qualcosa che sta tra il “comitato elettorale” e il “partito personale”, nel quale il “faccione” del candidato pare essere l’unico contenuto reale.

Va da sé che tutti quelli che concorrono a questo teatrino non possono che essere intimamente convinti della necessità di aderire intimamente all’unica ideologia ammessa, quella liberaldemocratica, ed alla relativa mentalità.

Ciò non può avvenire che in una situazione di sudditanza politica, economica, culturale e militare qual è quella in cui versa la nostra Italia, perché è riprovato che come una nazione si libera da questo gioco comincia a sbarazzarsi della liberaldemocrazia e della relativa mentalità, che sono state fabbricate ed introdotte esattamente per indebolirci e così meglio dominarci, perché in questo modo non siamo più noi stessi.

Stante la situazione, perciò, ogni nuovo guitto o vecchio e navigato marpione della “politica italiana” che accetta di sottoporsi a questa messinscena non è che un miserabile, un traditore della sua nazione, perché avrebbe ben altro di cui occuparsi, per il bene suo e dei suoi compatrioti. Ma qui si ha a che fare con dei rinnegati, che il loro cuore non ce l’hanno qua in Italia, ma nel conto corrente bello rimpinzato dai Badroni e in qualche inconfessabile consesso al quale hanno giurato fedeltà.

La cosa più triste di tutto ciò è infatti questa: che non emerge nessun uomo che abbia a cuore il benessere della sua nazione, agendo disinteressatamente per questo. Possibile che l’Italia ormai sforni solo questi pitecantropi?

Altro insegnamento da trarre dalle “primarie” è che questa “politica” ormai interessa solo ai vecchi, che come si recano alle urne come per ‘dovere religioso’, così si mettono in fila, come pecore, per “scegliere”, “decidere”, “partecipare”, coerentemente con quella “mistica democratica” che ci sta conducendo verso il baratro, sia a livello materiale che morale.

Ed esalta anche gli ingenui, che pensano basti darsi la patente di “onesti” per misurarsi con l’“arte della politica”.

Infine, queste “primarie” non possono non piacere ai soddisfatti e agli arrivati, che coincidono in parte con i suddetti incartapecoriti ed illusi, ma annoverano tra i loro ranghi anche tutti quelli per i quali, come che vada, andrà sempre “bene”: male che vada si ritroveranno sempre tra di loro, snobisticamente, a “resistere, resistere, resistere”…

E mi fermo qui, perché la questione non merita poi tutto questo tempo, né mio né di chi mi usa la cortesia di leggermi.

Ma una cosa è certa: tutti, senza eccezione, vi racconteranno di avere la “ricetta” per uscire dalla “crisi”. Come, non si sa, visto che essi stessi, per la loro stessa natura servile e sciocca, non sono in grado di andare oltre un atteggiamento che si addice più ad un maggiordomo che ad un uomo libero degno di tal nome.