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Via un papa, se ne fa un altro?

di Francesco Lamendola - 12/02/2013

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L’annuncio, dato nella tarda mattinata del’11 febbraio, della prossima abdicazione di Benedetto XVI, ha colto tutti quanti alla sprovvista, specialmente i cattolici; e li ha lasciato con l’amaro in bocca.

Naturalmente, la parola d’ordine è stata: minimizzare; e subito frotte di volonterosi teologi ultramoderni e “à la page”, tipo Vito Mancuso, si son precipitati in televisione ad assicurare che va tutto bene, che la situazione è perfettamente sotto controllo, che alla Chiesa si apre un periodo straordinariamente ricco di nuove e felici possibilità.

Nelle chiese, in occasione della messa serale per la Madonna di Lourdes, i sacerdoti hanno avuto il delicato compito di presentare ai fedeli la decisione del Pontefice come assolutamente “normale”, e qualcuno di essi si è spinto a qualificarla, non si sa se di propria iniziativa o perché imbeccato dall’alto, come “coraggiosa”.

Ora, se le parole hanno un senso e se la coerenza non è un valore negoziabile, allora tutto si può dire della decisione di Benedetto XVI: che merita rispetto, che lascia pensosi, che richiede una pausa di riflessione affinché si possa capire che cosa ci sia dietro ad essa e quali forze abbiano contribuito a determinarla; tutto, tranne che sia stata una decisione coraggiosa.

Sia detto con il massimo rispetto dovuto a qualsiasi essere umano, ma il capitano della nave che passa il comando al secondo ufficiale, specialmente se nel bel mezzo di una traversata, e magari di una traversata particolarmente tempestosa, non è un coraggioso; può essere un uomo che merita rispetto e il cui gesto può suscitare compassione; ma il suo gesto non può essere definito, in alcun modo, come un esempio di comportamento coraggioso.

La Chiesa cattolica è sotto attacco, e da tempo: chi non ha capito questo, non ha capito nulla. È sotto attacco fisicamente – ogni giorno comunità cristiane, specialmente cattoliche, subiscono sanguinose aggressioni nei cinque continenti, e specialmente in Africa e Asia -, ma è sotto attacco anche moralmente, grazie ad una campagna capillarmente orchestrata per metterla in cattiva luce, per screditarla, per ridicolizzarla. Il denaro della Massoneria e di numerose sette protestanti americane finanzia, in parte, questa campagna di delegittimazione, che sfrutta ogni occasione per riversare ondate di fango o per insinuare il serpente del sospetto nei confronti della Chiesa romana, rea di essere l’ultima grande forza morale capace di opposi ai poteri forti della finanza mondiale e alle forze oscure che progettano l’instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale, nel quale non ci deve essere più posto per i valori autenticamente cristiani.

All’aggressione che viene dall’esterno si sommano gli effetti di un atteggiamenti superficiale, sconsiderato e irresponsabile da parte di molti sedicenti cristiani cattolici, anche membri del clero, i quali, nella loro smania di mostrarsi “aggiornati”, “ecumenici” e “dialoganti” con tutti, hanno perso la distinzione fra apertura e abdicazione alla propria dimensione specifica, tra autocritica costruttiva e autocritica dissolvente, tra legittima aspirazione al rinnovamento e distruzione sistematica della tradizione e dei valori perenni.

È da molto tempo che si vedono e si odono teologi “cattolici” sparare a zero contro il Papa e la Chiesa; che si vedono e odono preti che vogliono mostrarsi più intransigenti dei protestanti nel criticare gli elementi specifici del cattolicesimo; che si nota un progressivo adeguamento della mentalità cattolica al laicismo e al secolarismo oggi imperanti. Che si parli di scienza o di dialogo interreligioso, di Galilei o di ebraismo, del “silenzio” di Pio XII sull’Olocausto o dell’apertura domenicale dei centri commerciali e dei grandi magazzini, sempre più spesso si vedono e odono uomini e donne, i quali si dichiarano cattolici, e non di rado anche preti e suore, assumere posizioni ambigue, timide, glissando sui punti nodali ma, in compenso, non lesinando critiche severissime al Magistero, mettendo in dubbio elementi portanti della fede, contestando la gerarchia.

Ora l’abdicazione di Benedetto XVI, primo Papa della storia a prendere una simile decisione dopo il famoso Celestino V, «che fece per viltade il gran rifiuto»: ce n’è abbastanza per lasciare i credenti sbalorditi e amareggiati, tanto più che Pietro da Morrone era un santo eremita che i giochi di potere costrinsero, praticamente, sia ad assumere la tiara, sia a deporla; mentre Papa Ratzinger non era un eremita, era ed è un teologo eminente e un uomo lucido ed energico, oltretutto in buone condizioni di salute, per quanto anziano.

Quello del Papa non è un ruolo qualsiasi, che si possa abbandonare quando si è raggiunta una certa età: qualcuno se lo immagina San Pietro nell’atto di dire a Gesù Cristo: «Caro Maestro, sono divenuto troppo anziano: non me la sento più di continuare; desidero andare in pensione»? No, quello del papa è un ruolo che non si può lasciare, mai, per nessuna ragione, sino alla morte: sia per ragioni etiche, che per ragioni teologiche.

Per ragioni etiche: sarebbe come disertare, e questo, ripetiamo, mentre la barca di Pietro tenta di procedere, tra mille difficoltà, «in alto mar per dritto segno», come dice ancora il Poeta. Del resto, si rifletta: per la Chiesa cattolica, nemmeno un marito o una moglie, persone qualsiasi, possono abdicare dai loro rispettivi ruoli: hanno preso un impegno, davanti a Dio e davanti agli uomini: hanno contratto un legame indissolubile, perché quel legame è un sacramento. Certo, il Papa non infrange formalmente l’impegno sacerdotale che ha contratto a suo tempo; rimane il vescovo di Roma, o, comunque, rimane un uomo consacrato: ma abdica dalla sua responsabilità di capo della Chiesa. Mostra meno coraggio di un uomo o di una donna qualsiasi: lui, che aveva accettato solennemente, al momento dell’elezione, di assumere il timone della barca di Pietro. Lui: non un soldato qualsiasi, non un umile fante, ma il comandante supremo, fugge davanti alla propria responsabilità, e motiva la sua decisione adducendo i raggiunti limiti di età, come un burocrate qualunque.

Per ragioni teologiche: il Papa è stato eletto dal conclave dei cardinali, ma questo, a sua volta, era ispirato e guidato dall’alto. È qualcosa che ha a che fare con lo Spirito Santo: perché alla Chiesa visibile, fatta di uomini e di situazioni umane, si affianca costantemente, indissolubilmente (nella prospettiva cattolica), la Chiesa invisibile, fatta dei santi di ogni tempo e sostenuta dalla presenza stessa di Dio. Il Papa, dunque, non è un uomo solo al comando: è uno strumento nelle mani di Dio; il suo potere viene da Dio; anche la sua forza scende da Dio. Se è stanco, se umanamente vacilla, tuttavia sa bene di non essere solo: sa di avere Dio accanto. Ciò non gli risparmia il peso della croce, ma sicuramente glielo rende sopportabile. Dio non impone a nessuno una croce più pesante di quella che ciascuno, umanamente, potrebbe sopportare; e, se lo fa, gli porge anche un aiuto soprannaturale proporzionato allo sforzo.

Un Papa che abdica per motivi anagrafici è un Papa che mostra scarsa fede nell’aiuto dello Spirito Santo, nell’aiuto di Dio. Difficile da credere, nel caso di un teologo raffinato come Papa Ratzinger. Resta perciò probabile l’altra ipotesi: che egli sia stato, in qualche maniera che non sappiamo e che, probabilmente, non sapremo mai, costretto a dimettersi. Ma anche in quel caso, la sua decisione avrebbe dovuto essere un’altra. A nessuno viene domandato di fare qualcosa di impossibile: «ad impossibilia, nemo tenetur»; ma a un cristiano, a qualunque cristiano, non diciamo al Papa, viene domandato di non disperare nella Provvidenza, di chiedere l’aiuto di Chi lo può dare; perché è stato detto: «Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto, chiedete e vi verrà dato».

Un umile parroco di campagna, don Abbondio, si sente così rimproverare dal suo vescovo, allorché confessa di non aver sposato due suoi parrocchiani perché temeva della propria vita: «Forse che, quando foste fatto prete, vi venne fatta garanzia della vita? Al contrario, non disse Gesù Cristo ai suoi discepoli: Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi? E tuttavia, non avete pensato anche che, così come avevate il dovere di difendere quei due poverini, così avevate anche il diritto di chiedere l’aiuto di chi ve lo poteva dare, il vostro vescovo appunto?». Ebbene, anche un Papa ha qualcuno cui chiedere aiuto: se non quaggiù, Lassù. Anche lui è un cristiano, anche lui è un uomo: e ciò che vale per il più umile dei credenti, vale anche per lui. Dio non lascia soli coloro i quali si rivolgono a Lui con cuore umile e sincero. Per questo l’annuncio dell’abdicazione di Benedetto XVI fa così tanto male ai cattolici: è un esempio disastroso.

Di che stoffa siamo fatti, lo si vede quando siamo messi alla prova. Il cristiano, però, possiede una risorsa che il non credente ignora; una risorsa sovrabbondante, inesauribile: la misericordia dell’Amore divino. Certo, anche il credente può vacillare sotto le raffiche del vento, anche lui – uomo fra gli uomini – può conoscere la tentazione del cedimento, della disperazione, della resa. Ma la sua stessa fede lo preserva dall’ultima caduta: perché, quando tutto sembra perduto, umanamente parlando, allora entra in scena il soccorso divino.

Sia ben chiaro, questo soccorso non assume le forme di un “Deus ex machina” che ristabilisce la verità conculcata e la giustizia calpestata, che punisce i cattivi e premia i buoni, così come in un film western lo sceriffo sconfigge i banditi, facendo trionfare la giustizia e vendicando l’innocenza: perché le Sue strade non sono le nostre strade, i Suoi disegni non sono i nostri disegni. Però, attraverso le Sue strade misteriose e i Suoi disegni imperscrutabili, Dio non lascia soli quanti si affidano a Lui. Questa è la differenza tra la concezione della vita di un cristiano e quella di chi cristiano non è. Ed é una differenza che si ha il diritto di vedere rispecchiata negli atti concreti, nei comportamenti della vita, come la si vide negli ultimi tempi del pontificato di Giovanni Paolo II.

Ora verranno fuori alcune allusioni, alcune insinuazioni, forse anche talune ammissioni: il ruolo dello I.O.R., gli oscuri disegni di forze potenti che agiscono nell’oscurità e che si sono insediate, ormai, anche nel centro della cristianità (già Paolo VI, quarant’anni fa, diceva di sentire odore di zolfo in Vaticano). Tuttavia, se queste cose hanno molta importanza dal punto di vista della storia, dal punto di vista della fede non è importante dare un volto e un nome ai nemici occulti e alle strategie subdole che, probabilmente, stanno dietro la sofferta decisione di Benedetto XVI di abdicare. Dal punto di vista della fede, esse hanno un nome soltanto: quello del Nemico. Tutti i nemici del cristianesimo, che lo sappiano o meno, non sono che strumenti dell’unico Nemico, di QUELL’unico Nemico che oggi non è più di moda chiamare per nome, sempre in omaggio ai teologi “moderni” e politicamente corretti e culturalmente aggiornati. Un Nemico che è sempre lo stesso, dal momento in cui Gesù si ritirò nel deserto per pregare, prima di intraprendere la sua missione pubblica, e che venne a tentarlo, con subdoli argomenti, cercando di farlo inciampare nei suoi miraggi e nei suoi sofismi; colui che fin dall’inizio odia l’uomo per invidia, e che vorrebbe perderlo per prendersi l’amara soddisfazione di precipitarlo in basso, così come lui è stato precipitato per essersi ribellato a Dio.

Storielle per vecchiette, vero? Miti puerili, che non dovrebbero più trovare posto nella civiltà razionale e tecnologica del terzo millennio? Infatti: per rendersi bene accetti alla cultura dominante e per mettersi in sintonia coi tempi che stiamo vivendo, molti “cristiani” e perfino molti preti e vescovi hanno smesso di parlare del Male con la “m” maiuscola; hanno ridicolizzato la figura dell’esorcista; hanno banalizzato l’opera del Nemico e negato la sua stessa esistenza, in ciò confortati da un discreto numero di sedicenti teologi, parimenti smaniosi di fare bella figura nei salotti televisivi e preoccupatissimi di poter essere accusati di oscurantismo e di segreta, retroattiva connivenza con i carnefici della Santa Inquisizione.

Sia come sia, ecco, questo è il punto: gli uomini d’oggi hanno bisogno di speranza, di riferimenti certi, di esempi incrollabili di fede: mentre lo spettacolo di un Papa che abdica, così, di punto in bianco, e sia pure perché travolto, forse, da ricatti e manovre che nulla hanno a che fare con la sua missione spirituale, è un pessimo esempio per tutti, credenti e non credenti, e una vittoria oggettiva del Nemico.

«Padre – con queste parole Gesù ha pregato nell’Orto degli olivi, pochi minuti prima di essere arrestato e di iniziare la propria passione – se è possibile, passi da me questo calice; però non la mia volontà sia fatta, ma la Tua». Queste sono le parole che il cristiano, in ogni tempo e circostanza, rivolge al Padre suo quando giunge, per lui, l’Ora, cioè il momento della grande prova. Milioni di uomini e donne sconosciuti hanno vissuto quell’angoscia, quel sentirsi abbandonati, quel disperare del domani; e milioni di uomini e donne hanno trovato in Dio Padre l’aiuto e la forza per non arrendersi, per conservare intatta la loro fede e la loro speranza. Li hanno trovati perché li hanno chiesti, non perché fossero dei superuomini o delle superdonne.

Come mai un Papa dei nostri giorni non è riuscito a fare altrettanto?