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Grillo rompe l’asse destra-sinistra

di Marco Tarchi - Andrea Cascioli - 07/03/2013

Fonte: barbadillo


tarchi

Da politologo affermato, Marco Tarchi è un osservatore acuto della realtà italiana, che ha indagato negli anni Novanta analizzando la transizione della destra oltre il neofascismo, e più tardi approfondendo la natura di un fenomeno ancora poco compreso come il populismo.

Delle vicende della destra è anche un testimone privilegiato, avendo a suo tempo animato in seno al Fronte della Gioventù la componente dinamica della “Nuova Destra”, che darà vita dalla seconda metà degli anni Settanta alle esperienze dei Campi Hobbit e contribuirà ad aprire il ghetto asfittico del neofascismo ad una ventata di inediti interessi culturali: dai fumetti al rock, dall’ecologia al fantasy, all’insegna della vocazione “metapolitica” mutuata dall’ispiratore francese Alain de Benoist.

Uscito dal Msi nel 1981, Tarchi ha continuato a promuovere una riflessione “non conformista” sui grandi temi della contemporaneità, sfidando i dogmi del pensiero unico liberale e le rigidità dello spartiacque destra-sinistra. Attualmente dirige il bimensile “Diorama Letterario” e il quadrimestrale “Trasgressioni”.

 

Nel 1948, alla prima prova elettorale, il Msi prese il 2%. Fratelli d’Italia, La Destra e Futuro e Libertà hanno raccolto insieme il 3,05%. È la fine di un mondo o può ancora esistere un soggetto politico di destra?

Se si riferisce a quella destra che, attraverso il Msi, aveva raccolto l’eredità del fascismo, credo sia giunta al capolinea. Lo “sdoganamento” e la conseguente integrazione nella coalizione di centrodestra ne avevano infiacchito identità e originalità, facendo ritenere ai suoi dirigenti che omologarsi fosse l’unica via per avere successo. La perdita dello strutturale rapporto con il Capo, causata dagli strappi di Fini, ha completato l’opera.

L’irruzione sulla scena del grillismo ha chiuso l’era bipolare, o è probabile che anche il Movimento 5 Stelle finisca per riposizionarsi sul tradizionale asse destra-sinistra?

Se il M5S accettasse di collocarsi rispetto a quello spartiacque, perderebbe buona parte dei caratteri di novità che lo hanno reso capace di attrarre un vasto elettorato trasversale e dovrebbe darsi una ben distinguibile connotazione ideologica, spaccandosi in correnti distinte e, su più temi, contrapposte. Sarebbe la sua fine.

Grillo e Casaleggio sembrano aver sbarrato la strada alle avances del Pd. Tra il “modello Crocetta”, l’opposizione al “governissimo” e il ritorno al voto cosa converrebbe di più ai grillini?

Il ritorno al voto, ma non subito, per evitare le accuse – strumentali – di irresponsabilità. Per adeguarsi al “modello Crocetta”, che non significa subordinazione al Pd ma convergenza su specifiche proposte, dovrebbe però avere uno o più interlocutori insediati al governo. Non concedere fiducie ad esecutivi “altrui” mi sembra un’ottima scelta.

Per converso, cosa possono fare i partiti tradizionali per mettere in difficoltà il M5S, o quanto meno per arginarne l’espansione?

Cambiare pelle e atteggiamenti, chiudendo l’era dell’autoreferenzialità e generando una classe politica molto meno versata nella retorica e capace di proiettare un’immagine di efficienza. Impresa ardua.

Secondo lei Berlusconi “esprime il volto populista di un partito che non è integralmente tale”. Vale la stessa cosa per “il partito di Grillo”?

Meno, perché alcune delle tematiche di cui il M5S si fa veicolo – la rivendicazione dell’influenza dell’uomo comune sui processi decisionali, la critica radicale del professionismo politico, la diffidenza verso finanzieri, intellettuali e sindacalisti, l’aspirazione ad uno stretto controllo sull’azione dei rappresentanti eletti e così via – sono tipicamente populiste. Grillo le esprime con più forza e chiarezza, ma il fondo è comune.

Il risultato deludente di Monti e la tenuta del Pdl di Berlusconi riaprono la questione dell’assenza di un “partito liberale di massa”: esiste un centrodestra non sovrapponibile al berlusconismo?

Prima forse bisognerebbe chiedersi che cos’è il centrodestra, che nella maggior parte dei paesi europei non esiste: c’è un centro e ci sono una o più destre. Berlusconi ha mescolato componenti spurie in un contenitore unico. Riuscirà l’agglomerato a sopravvivere al fondatore? Ne dubito. E il liberalismo, in Italia, continua ad essere un prodotto di élite.

Cosa ha contato di più nella debacle del centrosinistra: il non aver saputo smarcarsi da Monti, gli errori in campagna elettorale o l’essere tuttora percepiti come una versione aggiornata del Pci?

Il secondo e il terzo dei fattori da Lei citati. Una parte cospicua dell’elettorato non digerirà mai un partito che continua a perpetuare atteggiamenti e affermazioni che rimandano alla vecchia casa-madre di molti degli attuali dirigenti. Anche la campagna fiacca e tuttavia boriosa di Bersani, segnata da un eccesso di fiducia e superficialità, non ha giovato.

Si è detto che con Renzi il Pd avrebbe potuto vincere, sebbene abbia perso più voti proprio dove il consenso renziano alle primarie era stato più modesto (al Centrosud). Davvero Renzi può essere l’anti-Grillo del centrosinistra?

La candidatura di Renzi alla presidenza del Consiglio avrebbe attratto parecchi ex elettori pidiellini sfiduciati o disgustati, più numerosi dei votanti Pd irritati per lo spostamento “a destra”; quindi avrebbe probabilmente consentito al centrosinistra di farcela. Sui sostenitori di Grillo non avrebbe esercitato alcun freno.

La Lega Nord esce dagli scandali dimezzata ma viva. Proseguirà con la “normalizzazione” maroniana, o dovrà riprendere il registro populista per non cedere altro terreno a Grillo?

La linea di Maroni è ripiegata su un pragmatismo nordista lontano dalle radici populiste del discorso bossiano e dà frutti solo grazie all’alleanza con il Pdl. Serve a sopravvivere, non a rilanciarsi.

Come animatore a suo tempo della Nuova Destra e poi delle “nuove sintesi”, la conforta constatare come le riflessioni sull’inattualità del discrimine destra-sinistra e alcuni vostri interessi si ritrovino nel Movimento 5 Stelle? Crede che anche nei meetup ci sia chi ha letto i suoi libri e quelli di de Benoist?

Dubito che si possa parlare di influenze dirette, ma di affinità ce ne sono, e non poche. Posso solo augurarmi che, se de Benoist non è stato letto sinora nei meetup, cominci ad esserlo d’ora in poi. Credo che alla crescita della cultura politica grillina servirebbe molto.