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Crescita e decrescita, perché un concetto non esclude l’altro

di Maurizio Pallante - 02/04/2013





Premetto che sono un abbonato e un occasionale collaboratore del Fatto Quotidiano. Lo dico per sottolineare la mia affinità di vedute con la linea politica del giornale. Ciò non esclude, ovviamente, che a volte mi possa trovare in disaccordo con quanto scrive qualcuno dei suoi più autorevoli redattori, come mi è successo leggendo il commento di Furio Colombo intitolato “Crisi, l’ora della scelta tra crescita e decrescita” pubblicato domenica scorsa.

E non mi riferisco alla sua predilezione per la crescita con una più equa redistribuzione del reddito come sostenuto dai suoi economisti di riferimento, ma alle premesse concettuali che la sottendono, che Colombo manifesta commentando l’affermazione di Gianni Agnelli: «Non puoi dire decrescita. È una parola contro natura», con queste parole: «la frase è fondata – perché – i bambini crescono, gli animali crescono, la natura cresce». A parte l’ultimo esempio di cui mi sfugge il significato, le domando: i bambini e gli animali crescono per sempre o a un certo punto smettono di crescere? Noi abbiamo un cane di 17 anni. Cosa sarebbe diventato se avesse continuato a crescere da quando è nato? Lei dopo il 17 /18 anni ha continuato a crescere? Eppure, anche avendo smesso di crescere ha continuato a migliorare. La sua affermazione mi fa pensare a quel versetto del profeta Isaia in cui si legge: «Iddio acceca quelli che vuol perdere».

Come si fa a non vedere che ogni crescita arrivata a certo livello si arresta? Se, come sostiene Colombo, tutto ciò che è artificio dell’uomo segue il modello della natura, anche la crescita economica non può non arrestarsi, che lo si voglia o no, per eccesso di consumo di risorse e per eccesso di emissioni di sostanze non metabolizzabili dalla biosfera.

L’immaginazione al potere oggi si può realizzare solo a partire dalla liberazione del nostro immaginario collettivo dalla distopia della crescita illimitata (questo sì, questo sì). Solo a partire dalla rottura di questo velo, si potrà cominciare a vedere che le innovazioni scientifiche e tecnologiche possono e dovrebbero essere indirizzate ad aumentare l’efficienza con cui si usano le risorse, cioè a ridurre i consumi di energia e di materie prime, le emissioni inquinanti e i rifiuti, a parità di benessere. A realizzare una decrescita selettiva del Pil riducendo i consumi di merci che non sono beni.

La decrescita selettiva degli sprechi è l’unico modo di uscire dalla recessione, creando posti di lavoro utili. Immagini una politica economica e industriale finalizzata a ridurre gli sprechi energetici del nostro patrimonio edilizio, che attualmente richiede per il solo riscaldamento invernale 20 metri cubi di metano al metro quadrato all’anno contro il limite massimo di 7 consentito in Germania (dove gli edifici migliori ne consumano 1,5). Si darebbe avvio a uno sviluppo tecnologico senza precedenti. Quanta occupazione in lavori utili si creerebbe? I costi d’investimento verrebbero pagati dalla riduzione delle importazioni di gas e petrolio senza aumentare il debito pubblico. Si ridurrebbero le emissioni di anidride carbonica e le tensioni internazionali per accaparrarsi le fonti fossili.

Forse la fantasia al potere oggi passa proprio attraverso una decrescita selettiva dei consumi di merci prive oggettivamente di utilità. «Mai chiamarla decrescita – lei dice – è triste». La intristirebbe tanto una decrescita del debito pubblico? Speriamo che Iddio non abbia deciso di accecare tutti.