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Quell’anarco-capitalismo così comunitario

di Gian Maria Bavestrello - 03/11/2013

Fonte: heimat

Amish Se in seno alla filosofia politica c’è una contrapposizione che fatico a comprendere, è quella fra comunitaristi e anarco-capitalisti, ossia fra chi incarna l’esito più estremo e radicale del pensiero liberale e chi oppone all’astratto diritto dell’individuo a sé stesso un diritto basato sulla “natura” sociale dell’uomo.

Meglio: la comprendo fin quando sono in gioco le premesse di entrambi i filoni ideologici. Fin quando cioè, si tratta di capire se il singolo debba essere considerato una “tabula rasa” libera di dipendere dalle proprie scelte individuali in ogni ambito della sfera etica, religiosa, economica etc., o se la sua identità e la sua individualità non siano già orientate dalla sua storia e dalla sua appartenenza natia. Terminato questa indagine preliminare, gli esiti delle due proposte filosofiche sembrano molto simili perché l’anarco-capitalismo, nei suoi risvolti ultimi, è “de facto” comunitarista, e quella sua insistenza sulla parola “capitalismo” o “liberismo” misconosce clamorosamente il legame indissolubile che esiste tra l’amato “libero mercato” e il vituperatissimo “Stato”.

Niente Stato? Niente Mercato ! - Senza l’affermazione dello Stato moderno e del monopolio della forza, che l’anarco-capitalismo vorrebbe abolire in nome del mercato, non si sarebbero mai create le condizioni, prima in Europa e poi nel mondo, perché la teoria del “laissez faire” e della “mano invisibile” potesse spandere i suoi tentacoli. Senza un garante d’ultima istanza  che sancisca la validità dei contratti stipulati tra privati, non si sarebbe mai potuta diffondere quella fiducia pubblica nell’operato altrui che è alla base del libero scambio. Senza un entità, un “Leviatano”, che riconosca il diritto inalienabile alla proprietà privata, quest’ultima sarebbe affidata alla mera capacità dei proprietari di schierare una difesa più efficace dell’aggressione perpetrabile ai propri danni. Il proprietario, in questo scenario, sarebbe più simile al feudatario che al capitalista. In regime di anarchia la proprietà privata non sarebbe nemmeno più un diritto, ma la risultanza di un mero rapporto di forza tra contendenti. E questo sia detto sul piano giurisprudenziale.

Esiste anche un altro livello di co-appartenenza di Stato e Mercato, più legato all’ultima fase della modernità, che vede nello Stato un insostituibile pungolatore della ricerca di profitto individuale: lo Stato è infatti il soggetto che garantisce le condizioni di pace sociale che rendono congiunturalmente sostenibile il capitalismo, ammortizzandone ed assorbendone le esternalità negative come le crisi cicliche o la disoccupazione, creando le infrastrutture su cui far viaggiare merci, servizi e informazioni, finalizzando le relazioni internazionali all’accesso alle materie prime o ai capitali stranieri. La stessa capacità d’ innovazione tecnologica su cui gli attori economici costruiscono la propria capacità di rilanciare costantemente i “desiderata” dei consumatori, aprendo spazi per la crescita e per lo sviluppo di nuovi “mercati”, è spesso la conseguenza dell’applicazione alla sfera civile di mera tecnologia militare. Tecnologia di Stato.

L’alternativa allo Stato moderno: la comunità -  Gli anarco-capitalisti chiedono la soppressione dello Stato ignorando che l’anarchia, esattamente come teorizzato dai libertari di matrice socialista, rappresenterebbe la fine del “capitalismo”. Non rappresenterebbe, però, l’avvento di un nuovo socialismo. Tolto di mezzo lo Stato nella sua versione moderna, ciò che resterebbe sul tappeto della storia è la comunità, quest’entità oggi dimenticata e surrogata dall’individualismo. Non si ribadirà mai con forza sufficiente che l’individualismo non potrebbe esistere senza uno Stato capace di vanificare la centralità dei corpi intermedi, ridotti a una dimensione accessoria: è lo Stato democratico, con la sua azione protettiva e securitaria, a creare le condizioni per emancipare l’individuo dalla sua co-appartenza al prossimo, atomizzandolo e rendendolo soggetto del diritto all’ “egoismo”, ossia al diritto inalienabile di esistere mossi solo dai più intimi desideri privati.

Un nuovo Medioevo? – Senza Stato, o in presenza di uno Stato troppo debole per esercitare il controllo sociale, così come auspicano gli anarco-capitalisti, gli individui non si scoprirebbero più “liberi” di inseguire il proprio diritto alla felicità. Si scoprirebbero al contrario più insicuri e quindi più inter-dipendenti; si affiderebbero al mutuo soccorso e alla cooperazione per soddisfare il proprio bisogno di sicurezza, ricostruirebbero la fiducia pubblica non sulla base di inconsistenti contratti d’adesione revocabili di punto in bianco, ma sulla base dei legami di sangue e di vicinato, ricorrendo all’antico concetto di onore e attingendo la propria forza da un comune patrimonio simbolico di miti e leggende. Ne scaturirebbe una fiducia di prossimità, affidata non più all’ impersonalità di un apparato burocratico ma a consuetudini non scritte, capaci nel corso del tempo di divenire tradizione.  Queste comunità diffiderebbero naturalmente di tutto ciò che è “progresso” non perché ideologicamente conservatrici o reazionarie, ma perché consapevoli di quanto siano delicate le fondamenta di ogni costruzione sociale, e di quanto ogni novità non soppesata possa condurre a mutazioni antropologiche e culturali in grado di spazzar via il lento lavoro di secoli.  Il fatto che questo scenario assomigli a un quadro più arcaico e medievale che moderno, dove le parole arcaiche e medievali non sono certamente intese nel senso spregiativo che hanno assunto a partire dall’Illuminismo, dice molto di quanto il discusso concetto di “modernità” si giochi sul piano della statualità.

Laddove la tradizione liberale volesse rinunciare all’idea di Stato come garante del diritto all’individualismo, abolirebbe l’individuo stesso e si troverebbe costretta a ri-scoprire la vocazione comunitaria dell’uomo, la natura spiccatamente “relazionale” di ogni autentica identità personale, l’etica come prodotto del “legame sociale”.