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La guerra siriana e la gihàd globale

di Leonardo Olivetti - 11/12/2013


59607La Guerra civile siriana, dopo oltre due anni dal suo inizio, si può dire ormai indirizzata verso la sua logica conclusione: la vittoria sul campo dell’esercito del Presidente Bashar al-Assad. Tuttavia, anche se gli eventi sembrano ormai seguire una certa strada, i conflitti armati, l’infiltrazione di mercenari stranieri e gli atti di deliberato terrorismo sono ben lungi dall’essere terminati. Anzi, manca ancora molto tempo prima di assistere alla vittoria finale del Partito Ba’ath, ma è indiscutibile che la guerra si stia incamminando sulla strada di Assad.
L’area di Damasco ed i suoi dintorni, dove sacche di ribelli sono sempre riuscite a mantenere alcune posizioni, è sempre in rapido movimento. Al-Nabek, dopo mesi di scontri a fuoco, è stata presa dalle forze lealiste, dopo aver registrato, nei giorni precedenti, ottimi progressi, uccidendo oltre una decina di capi terroristi nemici (tra i quali due sauditi); sono state inoltre smantellate oltre 12 bombe esplosive, dai 30 ai 200 chili ciascuna, piazzate dai ribelli sulle strade ed in alcune abitazioni della città. Ad al-Nabek, ed in generale nel Ghouta orientale, si è proceduto per giorni con “operazioni intensive e di successo”, ed il 9 dicembre la città è stata riportata sotto il controllo dell’Esercito Arabo Siriano, che ha poi provveduto a ripulirla dai nascondigli di armi e di uomini dei ribelli. Nella periferia della capitale Damasco, negli ultimi dieci giorni, oltre una cinquantina di terroristi sono stati annientati nei quartieri di Bustan al-Basha e nella Moschea di Barzeh. Tra il 4 e il 5 dicembre, ben 38 terroristi sono stati eliminati nella sola Barzeh, ed operazioni analoghe sono state condotte, con successo, a Yabroud (ancora in possesso dei ribelli) e a Damasco città (dove, tra l’altro, sono caduti anche mercenari somali e giordani). Sempre a Damasco, molti egiziani e libici, nell’area di Khan al-Shieh, sono stati identificati tra i morti, ed altri battaglioni terroristi islamici (come il battaglione “Ansar al-Sharia” e “Spada dell’Islam”) hanno perso i loro comandanti, sintomo che la crociata dell’Islam radicale non è ancora finita. Tra le conquiste sul campo dei lealisti nelle vicinanze di Damasco, si è verificato anche ristabilimento del totale controllo lealista ad al-Eteibeh, e la presa di varie posizioni nella campagna damascena. L’unica sconfitta dei lealista, in questa regione, è stata a Ma’loula (città non-islamica, dove si parla ancora l’aramaico), ripresa dai terroristi che, senza un motivo valido, hanno sequestrato 12 suore da un convento, attualmente ancora in ostaggio.
Molto più consistenti sono state le perdite dei ribelli ad Aleppo, dove sembra che la situazione possa rapidamente risolversi. Oltre all’eliminazione fisica di almeno tre importanti capi ribelli, sono stati interamente distrutti depositi di munizioni nei vicini villaggi di Assan, Banan e Blas, e, qualche giorno dopo, il 10 dicembre, oltre 11 vetture cariche di munizioni ed armi sono state distrutte. L’11 dicembre, un’operazione su larga scala in questa zona ha totalmente ripulito integralmente i villaggi limitrofi ed i campi di addestramento dell’opposizione di al-Wdahi, Arbed, Handarat ed altri. Nella vicina cittadina di al-Bab, invece, nel corso di una operazione speciale è stato distrutto totalmente il centro della “Corte per la Legge della Sharia”, oltre a vari altri centri di comando e nascondigli segreti nella regione.
Nel governatorato di al-Quneitra, zona strategica a ridosso del confine con Israele, l’esercito lealista ha potuto avanzare agevolmente, prendendo possesso di 4-5 villaggi (tra cui al-Samdaniyeh al-Sharqieh, Rasm al-Baghlal, e altri) dopo avere annientato totalmente le forze di opposizione.
A Deir Ezzor, una delle città più contese e più divise, i gruppi gihàdisti, per quanto già di per sé numerosi ed in maggioranza, stanno ulteriormente ampliando le loro fila e rafforzandosi. Jabhat al-Nusra, uno dei più forti gruppi ribelli e strettamente legato ad al-Qaida, e lo “Stato Islamico dell’Iraq e al-Sham”, altra succursale qaedista, dopo aver subito pesanti perdite quantitative (oltre una decina di terroristi), stanno cercando di infiltrare in città numerosi uomini della cosiddetta “Armata Islamica”; un’azione, tuttavia, puntualmente scoperta ed impedita dai lealisti, che hanno poi proseguito nelle operazioni di annientamento dei terroristi, uccidendo anche alcuni gruppi tunisini.
Nella regione di Idlib, dove le maggiori città sono nelle mani delle forze di Assad, ma l’opposizione ha ancora il controllo di varie zone di campagna e di villaggi minori, un’intera brigata islamica (la “Brigata al-Tawhid”) è stata colpita duramente, forse irreversibilmente, sia gli uomini che i depositi di armi e munizioni. Questa stessa brigata islamica è stata colpita duramente anche a Daraa, dove agiva l’ala soprannominata “Der’a al-Islam”.
Ad Homs, città martoriata dagli scontri e teatro di molti dei crimini dei terroristi, il governo centrale sta gradualmente ristabilendo la sua autorità a cominciare dalle cittadine nei dintorni. Sono recentemente ritornate sotto il controllo lealista le montagne di al-Shumariyeh, le colline di al-Hawa ed il villaggio di Um Sahrij, e per tutta risposta, il giorno dopo, i ribelli hanno attaccato con due autobombe l’ospedale civile di al-Kindi. Qualche giorno dopo, nelle operazioni del 10 dicembre, sono stati uccisi vari reparti ribelli di al-Nusra, e sono stati rinvenuti tra i cadaveri due sauditi, un libico ed un turco.
A Latakia, si sono registrati, negli ultimi giorni, altri imponenti scontri, che hanno visto vittorie abbastanze nette delle forze lealiste. Oltre una cinquantina di ribelli, sia in città che nella provincia, sono stati eliminati, tra i quali sono stati rinvenuti un egiziano, due turchi, un palestinese tre cecchini provenienti dalla Danimarca, un francese, due britannici ed il colonnello saudita Abu Daifallah al-Saudi, a dimostrazione di come i ribelli siriani di “veramente siriano” abbiano solo il nome.
A dispetto dei repentini cambiamenti tattici nella guerra, che vedono i lealisti in fase di avanzata, la psicosi da “gihàd globale” e l’afflusso di stranieri nelle fila dei ribelli non cessano.
Il capo della brigata islamica “Allah Akbar”, tale Saddam al-Jamal, ha ammesso che tutti i finanziamenti, il denaro e la logistica provengono dal Qatar e dall’Arabia Saudita, e che i capi del terrorismo in Siria hanno potuto avere vari incontri con molti paesi nemici della Siria, quali Arabia Saudita, Qatar, Israele, Giordania e Stati Uniti. Il suddetto terrorista ha ammesso, in un suo video apparso su youtube, che è dall’Arabia Saudita in particolare che provengono sia uomini che mezzi; ha affermato, inoltre, che i leader terroristi hanno avuto un incontro col tristemente noto principe sayduta Salman bin Sultan al-Saud, e che tutti i cosiddetti ribelli nell’area di Damasco e di Daraa sono stati addestrati in campi appositi, in Giordania, campi costruiti con l’ausilio occidentale, israeliano e giordano.
Ha avuto una più ampia diffusione, la dichiarazione del Ministro dell’Interno belga Joelle Milquet, che, in un meeting a Brussels con la presenza americana e canadese, ha dovuto ammettere il continuo aumento di terroristi stranieri in Siria, causerà problemi di ordine anche in Europa. Lo stesso ministro belga, il 6 dicembre, insieme alla sua controparte francese, ha constatato che almeno 2.000 cittadini europei combattono al fianco di al-Qaida in Siria, e che circa 180 vengono dalla Francia. Pochi giorni dopo, secondo il quotidiano turco “Habertürk”, ha stimato in 1.500 gli europei presenti in Turchia che attendono di passare il confine.
Un altro terrorista, arrestato dalle autorità siriane, ha confessato di essere stato reclutato in Arabia Saudita con promesse di 3.500 rial sauditi al mese, e poi di avere usato ben 10 milioni di rial per reclutare altri terroristi e organizzare un attacco in stile terrorista. Ha avuto una buona eco, infine, la notizia di una famiglia marocchina, un padre e cinque figli (di cui uno di 13 anni) di religione taqfirita,  che sono andati in Siria a combattere come mercenari.
Un tentativo di risposta della diplomazia siriana a tutto ciò, in specie contro la Turchia ed il suo ruolo di sponsor del terrorismo, è stato fatto Ministro degli Esteri, che ha denunciato il fatto che le autorità turche favoriscano l’attraversamento del confine di terroristi, forniscano supporto logistico e materiale; tutto ciò è palesemente in contrasto con la risoluzione 1373 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. A dimostrare la veridicità delle informazioni fornite dal Ministro degli Esteri siriano, ci ha pensato un reportage della BBC, non certo una fonte di sostegno al Baath, che ha mostrato come a gihàdisti provenienti da mezzo mondo sia offerto loro un alloggio sicuro vicino al confine, per poi farli passare sulle terre siriane. Tra gli uomini intervistati dal reporter, un uomo ha fatto presente che, un singolo blocco di appartamenti nella cittadina di Reynhanli, ha visto quasi 200 combattenti alloggiarvi in meno di tre mesi, e che di norma i gihàdisti alloggiano in Turchia per un paio di giorni al massimo, poi riescono ad andare in Siria. Un altro intervistato, questo volta un giovane proveniente dalla Francia, ha dichiarato che «siamo in migliaia, provenienti da ogni parte del mondo», e che «tutti, qui, siamo di al-Qaida». Un altro francese, sempre in Turchia ed in attesa di andare in Siria, ha dichiarato di essere appena entrato in una brigata islamica di ben 8.000 gihàdisti, una succursale dello “Stato Islamico dell’Iraq e al-Sham”. In attesa di combattere la “guerra santa” ci sono anche gihàdisti provenienti perfino dall’Olanda, dalla Germania, dalla Francia, dalla Cecenia, dall’Afghanistan e dai paesi del Golfo.
Altre azioni della diplomazia siriana state l’invio di due lettere alle Nazioni Unite, dove si denuncia il ruolo di matrice e sponsor del terrorismo dell’Arabia Saudita. Il regime assolutista di Riad, dando logistica a taqfiriti e gihàdisti vari (compreso supporto indiretto ad al-Qaida stessa), viola palesemente le regole internazionali e la non-interferenza negli affari interni di altri paesi. Nella protesta, viene specificato che migliaia di sauditi combattono in suolo siriano, e che recentemente il loro numero è passato dal 10 al 15% del totale dei ribelli. Recentemente, proprio 300 cittadini sauditi sono stati eliminati dai lealisti, tra i quali un noto leader dello “Stato Islamico dell’Iraq e al-Sham” nei dintorni di Aleppo, chiamato Mutlak al-Mutlak.
La strategia dei ribelli, come fin qui, rimane imperniata sul terrorismo. Solo il 2 dicembre, nelle città di Hama, Damasco e Aleppo, 7 civili (tra i quali tre bambini e due donne) sono stati uccisi tramite esplosivi e mortai. A Damasco, poi, il giorno dopo, un terrorista suicida che indossava una cintura esplosiva, si è fatto saltare in aria nella zona di Jisr al-Abyad, uccidendo 4 persone. Molto gravi, invece, l’attentato fatto a colpi di mortaio, in un quartiere lealista ad Aleppo, che ha causato 17 morti, 30 feriti e 9 dei quali in condizioni critiche, ed un altro, qualche giorno dopo, a Idlib, che ha ucciso altri 6 civili e ne ha feriti una trentina. Più recentemente, il 10 dicembre, sempre ad Aleppo, un attacco dell’opposizione a colpi di mortai e razzi, ha causato 5 morti e 20 feriti.