Il generale Mini: la guerra climatica è già cominciata
di Girgio Cattaneo - 02/01/2014
La guerra ambientale non è più solo un’ipotesi: è già in atto. Ma guai a dirlo: si passa per pazzi. Eppure, «negare l’informazione è già un atto di guerra fondamentale», denuncia il generale Fabio Mini, che conferma tutto: la “bomba climatica” è la nuova arma di distruzione di massa a cui si sta lavorando, in gran segreto, per acquisire vantaggi inimmaginabili su scala planetaria. Alluvioni, terremoti, tsunami, siccità, cataclismi. Uno scenario che, purtroppo, non è più fantascienza. E da parecchi anni. Era il lontano 1946 quando Thomas Leech, scienziato e professore israeliano-neozelandese, lavorò in Australia per conto dell’Università di Auckland con fondi americani e inglesi per provocare piccoli tsunami. Il successo del “Progetto Seal” spaventò Leech spingendolo a fermarsi dopo i primi test. Ma chi ci dice che la manipolazione del clima non sia stata portata avanti? Oggi, con la robotizzazione, per molte “operazioni” bastano poche persone. «Non ci sono vincoli, non ci sono regole, se c’è la possibilità di farlo ‘qualcuno’ lo farà». Non i governi, ma ristrette élite.
Ne ha parlato di recente, in un convegno a Firenze largamente disertato dai media, l’ex comandante delle forze Nato in Kosovo. Mini rivendica la 
responsabilità di aver posto in Italia l’attenzione su questo tema quando nel 2007 scrisse l’articolo “Owning the weather: la guerra  ambientale è già cominciata”, ufficializzando uno scenario nuovo e  inquietante: le forze della natura sono adoperate e piegate come  strumento ed arma. Può accadere, sottolinea Mini, perché – come di  fronte a qualsiasi altra aberrazione di carattere mostruoso – l’opinione  pubblica è innanzitutto incredula: «La maggior parte delle persone  ritiene inconcepibili certi scenari, in quanto non è al corrente delle  progettazioni in materia di tecnologie militari e quindi delle  conseguenti implicazioni». Da un lato c’è la rassicurante convenzione  Onu del 1977, che proibisce espressamente «l’uso militare, o di altra  ostile natura, di tecniche di modificazione ambientale con effetti a  larga diffusione, di lunga durata o di violenta intensità». In realtà,  al 90% le prescrizioni Onu vengono regolarmente disattese, in  particolare dai militari. I quali «hanno già la capacità di condizionare  l’ambiente: tornado, uragani, terremoti e tsunami alterati o  addirittura provocati dall’uomo sono una possibilità concreta».
I militari, riassume Mini – citato nel report del blog “No Geoingegneria”  – prediligono la tecnologia. E le loro richieste alla scienza non sono  per programmi attuabili a breve termine, ma sono progetti con sviluppi  nel medio e lunghissimo termine. Attenzione: «Non esiste una moralità  che possa impedire di oltrepassare un certo punto. Basti pensare allo  sviluppo e le applicazioni degli ordigni atomici. Non esiste vincolo  morale, ciò che si può fare si fa». Inoltre, la nuova tecnologia viene  applicata anche a livello immaturo: «La voglia di conseguire un  vantaggio spinge ad usare le tecnologie senza fare test a sufficienza.  Una possibilità viene messa in atto per verificarne il funzionamento,  sperimentandone direttamente sul campo gli effetti». Già nel 1995, uno  studio dell’aeronautica militare statunitense (“Weather as a Force  Multiplier: Owning the Weather in 2025”) delineava i piani da sviluppare  per conseguire nell’arco di 30 anni il controllo del meteo a livello  globale. Secondo Mini, non si parlava ancora di “possedere il clima”, ma  di controllare il meteo e lo spazio atmosferico per condurre operazioni  
belliche,  «per esempio irrorando le nubi con ioduro d’argento, altre sostanze  chimiche o polimeri, per dissolverle oppure spostarle».
Si tratta della possibilità di destabilizzare una regione o paese, in  qualsiasi parte del mondo. Oggi, a 17 anni dalla pubblicazione di  quello studio, secondo il generale Mini «siamo piuttosto vicini al  traguardo del 2025». Secondo il meteorologo statunitense Edward Norton  Lorenz, padre della “teoria del caos”, mai e poi mai avremo conoscenze  sufficienti a verificare le effettive conseguenze di una modificazione  climatica. Se qualcuno trae un vantaggio da una modificazione climatica,  dall’altra ci sarà qualcun altro che ne subisce un danno, e non è detto  che lo paghi in termini lineari, con conseguenze anche catastrofiche,  che Lorenz chiama “effetto farfalla”. Proprio in quegli anni si comincia  a pensare non solo di cambiare il meteo, ma di creare una situazione  permanente e quindi di trasformare il clima. «Così qualcuno inizia a  pensare: cosa rende l’Europa  prospera e le garantisce un clima favorevole? La corrente del Golfo del  Messico. Bene, allora qualcuno si è messo a studiare come modificare  questa corrente. Non solo, ma qualcuno ha iniziato a 
chiedersi: possiamo provocare un terremoto? Qualcuno ha risposto ‘si può fare’». Qualcuno chi?
La domanda, infatti, è particolarmente inquietante: da chi scaturisce quella volontà politica che sta alla base della catena di comando? Brutte notizie, dice Mini: gli Stati stanno perdendo il controllo della situazione, che è monopolizzata da ristrettissimi gruppi di potere. Il generale le chiama “bande”. Sono costituite da «persone, associazioni e corporazioni, coaguli di potere che non hanno nessun interesse istituzionale, ma conseguono solamente il proprio interesse, e nel nome di esso sono disposte a mandare in crisi un sistema per modificarlo a proprio vantaggio, utilizzando mezzi illegali e legali». L’enorme potere di questo super-clan è confermato dalla situazione mondiale di massima emergenza, come confermato dalle analisi di carattere strategico a livello militare. In sintesi: la demografia del pianeta è in aumento esponenziale, le risorse della Terra sono in netta diminuzione, l’economia globale è in recessione. Insomma, la coperta è sempre più corta. E il ruolo degli Stati nella definizione della minaccia è ormai ridotto a zero.
Non sono più gli Stati a decidere, a individuare o prevedere le  minacce, sottolinea Mini. Sono “altri” che fanno le analisi. E fare le  valutazioni della minaccia «vuol dire fornire le indicazioni per la politica». Bene, «questa prerogativa non è più nelle mani degli Stati, neanche di quelli forti». George W. Bush, quando ha avviato la “guerra  infinita” innescata dagli attentati dell’11 Settembre, non è stato  indirizzato da fonti istituzionali, ma da «qualcuno che lavora fuori  dalle istituzioni, contro le istituzioni». La situazione è veramente  critica: molti Stati hanno l’acqua alla gola, colpiti dalla crisi  e ricattati dalla cupola finanziaria mondiale. La criminalità è in  netto aumento, il contrasto verso le mafie si è indebolito e la  percezione dell’insicurezza è cresciuta. Ogni problema viene  estremizzato: la favola dello “scontro di civiltà” tra cultura  giudaico-cristiana e cultura musulmana resta «il faro politico di tutte  le relazioni internazionali». Così, non fa che cresce la  militarizzazione del pianeta: «Le cose che venivano fatte con strumenti  civili oggi vengono fatte quasi esclusivamente con strumenti militari,  inducendo 
gli ambienti militari ad essere sempre più proiettati verso il controllo e il possesso di strumenti tecnologici per attuarlo».
La dualità, lo scontro, si manifesta in maniera preponderante nello  spazio, con il controllo delle telecomunicazioni e dei sistemi di  difesa, e ora anche nell’ambiente, «che non è più il luogo ove la guerra  si manifesta, ma è l’arma», e negli agglomerati urbani, «che sono i  luoghi dove si prevede il maggior intervento in termini di  militarizzazione». Lo spazio è definito un “bene comune” e come tale  dovrebbe essere salvaguardato. «Ma non succede, e la percezione di  scarsa sicurezza alimenta un incremento della militarizzazione». Come si  sfrutta l’ambiente come arma? «Non solo con le modifiche  meteorologiche, ma anche  tramite la negazione delle informazioni. Non  c’è solo la disinformazione  sull’ambiente, ma c’è una pratica militare che si chiama “denial of  service”». Ovvero: «Si stabilisce che è necessario non solo negare la  realtà o l’evidenza, ma negare l’informazione». E questo, ribadisce  Mini, è già un vero e proprio atto di guerra.  «Determinate persone o paesi non devono venire a conoscenza delle  informazioni», anche se questo può causare catastrofi di proporzioni  bibliche, come il devastante tsunami abbattutosi sulle coste  dell’Indonesia. «Lo tsunami indonesiano è ancora uno scandalo:  l’informazione sul suo arrivo era disponibile, ma interruzioni nella  trasmissione dati a causa di 
anelli malfunzionanti, o volutamente non funzionanti, ne hanno impedito la comunicazione».
Un altro aspetto è emblematicamente rappresentato dal sistema Haarp. Invece di influire sull’ambiente a carattere solo locale, dice Mini, ormai si può incidere globalmente. Come? «Andando a creare, artificialmente, dei punti più caldi o più freddi, e quindi modificando il clima interferendo anche sulle correnti». Lo stesso dicasi per le alterazioni che provocano i terremoti, anche se il generale nega che il recente terremoto in Emilia sia stato “indotto”. Ma attenzione: «Nessuno può negare che ci siano state più di 2.000 esplosioni nucleari nel sottosuolo terrestre, nella profondità degli oceani e persino nello spazio». Già negli anni ’90, per colpire obiettivi di interesse militare in Cina, «fu pianificato di indurre un terremoto con delle esplosioni dalla zona di Okinawa». La dismissione di migliaia di ordigni nucleari, dopo la fine della guerra fredda, ha creato un mercato dei materiali fissili da innesco. «Le grandi compagnie petrolifere si offrirono di reimpiegarli e sappiamo che è possibile agire sulle faglie inducendo terremoti tramite ordigni nucleari o micro-nucleari».

