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I valori

di Lorenzo Parolin - 29/01/2014

 


 

Non resisti a vedere i furbi arricchire, godersi la vita e godere di considerazione sociale?

Non resisti a vedere i senza scrupoli aggiudicarsi tutti i buoni affari, agire spregiudicatamente, farla sempre franca e in più deriderti?

Non resisti a vedere la canaglia fare le prepotenze, gestire il potere e la giustizia a loro vantaggio e tenere il popolo nell’ignoranza e nella povertà?

Se non ce la fai a sopportare tutto ciò e ti senti nascere dentro un sentimento di rivolta e di rivalsa, è una cosa normale; il difficile sta nel reagire saggiamente. Opporsi ai soverchiatori senza usare le stesse loro armi significa essere spacciati in partenza, mentre, adottare i loro metodi vuol dire doverli tenere anche dopo la vittoria, pena la ricaduta; così però si diventa come loro e il male che ci si procurerebbe in questo modo sarebbe superiore a quello che si è costretti a subire non reagendo. Non resta che sopportare pazientemente quelle persone moleste cercando di mostrare loro come, per tenere quelle posizioni, esse siano costrette a farsi più male che bene, e che perciò, cambiando atteggiamento, ne avrebbero un vantaggio. Sopportare il potere, (senza tuttavia sottostarvi), non è un piacere, anzi si soffre, e non poco, ma esercitarlo sarebbe peggio: si perderebbe la gioia grande.

Questi ragionamenti li fa chi ha capito che certi comportamenti non danno la felicità, altrimenti sarebbe uno stupido a farsi tanti scrupoli. Gli altri vogliono abortire? farsi inseminare artificialmente? esercitare l’omosessualità? drogarsi? cambiare spesso moglie? trascurare i figli e i genitori? vivere di rendita? sfruttare il lavoro altrui? spendere, spandere e gozzovigliare? invidiare i forti e disprezzare i deboli? prostituirsi più o meno elegantemente? rubare, calunniare, comandare e uccidere?

Lascia che facciano, l’uomo non è fatto per quelle cose: sono belle e attraenti, ma gli fanno male.

Gli ortolani del mio paese vendono ortaggi meravigliosi, però, dietro casa, hanno un orticello con verdure stentate, raggrinzite, scure e pelose. Alla mia domanda sul perché, mi hanno risposto: “Queste sono senza concimi chimici, senza fitofarmaci e veleni, e ce le mangiamo noi; il popolo le vuole belle? E noi gli diamo quelle trattate che vedi nelle serre”. Lo stesso accade a chi, al ristorante, ordina solo carni magre, chiare e tenere: assieme ad esse ingoia anche gli estrogeni, gli anabolizzanti e le “punture” che l’allevatore deve fare ai suoi vitelli per soddisfare i capricciosi come lui. Chi sa di queste cose, per quanto può, le evita: ne va della sua salute.

Qualcosa di simile accade anche nella vita; molti comportamenti sono piacevoli ed eccitanti, ma è necessario evitarli: ne va della propria pace e felicità. Il nostro mondo dà troppa importanza alla bellezza, alla giovinezza, alla ricchezza, a ciò che piace, alla trasgressione, alla vendetta, allo scansare le fatiche, al nuovo, al potere delle maggioranze, al progresso senza limiti, al successo delle proprie idee, all’essere laici, agli oroscopi, al gioco di ogni genere e a godere a qualunque costo. Ma quali sono i risultati?

Questo mondo non si riesce più a controllarlo nemmeno con la forza: le persone sono intrattabili, la convivenza si complica e si dissolve, le cose non vanno mai come si vorrebbe e la gente è sempre più arrabbiata, disorientata e stanca.

Prova a pensarci un po’! Ogni ora passata da insoddisfatti e senza gioia, non è forse persa ai fini della vita? E quante ore, mesi, anni continuiamo a sciupare così?

Se ciò che otteniamo con i nostri mezzi non ci soddisfa pienamente e abbiamo sempre sete di qualcos’altro, può significare che da soli non ce la possiamo fare e che serve l’aiuto di qualcosa di esterno. Forse siamo creature e non signori del creato; forse il nostro sbaglio è la speranza/pretesa che la Natura obbedisca alle nostre pensate balzane; ma l’acqua, per esempio, non andrà mai in salita, nemmeno se l’uomo glielo imponesse per legge o la minacciasse, perché la Natura ha stabilito diversamente. In discesa siamo padroni di incanalarla a destra, a sinistra o come ci pare, ma in salita non va, e se ve la portiamo, lì non ci resta.

Una volta capito che si fatica di meno a vivere rispettando certe regole basilari, diventa importante conoscerle. Quei princìpi, quei modi di essere e di agire, che, fatti propri, oltre al vero progresso e al massimo profitto, ci danno la felicità piena (anche se con un po’ di fatica), vengono chiamati “Valori”. Essi, forse non serviva nemmeno dirlo, non sono tanto graditi all’uomo, che preferirebbe vivere senza regole, ma sono altamente salutari per lui e per la vita di società. I Valori principali sono: l’onestà, la passione per il lavoro, l’amicizia sincera, il perdono, l’umiltà, l’amore per la conoscenza, il rispetto per la vita, la dedizione alla famiglia, l’altruismo, la temperanza, la giustizia, la prudenza, la preghiera, la carità, la fede, la costanza, la fedeltà e la speranza: tutta roba che, in un modo o in un altro, ha a che fare con Dio.

I Valori non si possono acquistare con i soldi o ricevere in eredità, è necessario apprenderli pazientemente cominciando fin da piccoli. Sono fortunati quelli che nascono in un ambiente che difende, trasmette e affina i Valori! Oggi invece, il mondo, esaltatosi per il miracolo economico e per il progresso tecnologico, che senza dubbio hanno del buono, sta dimenticandoli. Io concordo che è bene essere aperti alle innovazioni, ma solo dopo averle ben pesate, e comunque non cestinando brutalmente le tradizioni, che, quasi sempre, sono un distillato di saggezza.

Un ragazzo educato ai Valori subisce in un certo senso una violenza, perché gli vengono frenate alcune tendenze naturali e inculcate altre, ma quando sarà grande si troverà bene a saper maneggiare quegli strumenti vincenti. Approvo perciò una certa “violenza” educativa digradante progressivamente fino alla maggior età, poi, libertà assoluta di azione, come si addice ad un uomo. È un po’ come domare degli animali selvatici: si tratta di un lavoro difficile e di pazienza, ma una volta fatto essi diventano docili, socievoli e capaci di rendersi utili. Dovendo vivere assieme a questi animali, costa meno un periodo limitato di cure intense, che dover stare in allerta e sulle difensive per tutta la vita (per evitare aggressioni). Se metà degli sforzi che lo Stato fa per tenere sotto controllo gli individui cresciuti allo stato brado (egoisti), fossero dedicati a educare cittadini altruisti, la società ne avrebbe un utile enorme e tutti avanzerebbero tempo per godersi la vita. Se gli istruttori sociali fossero validi, i piccoli monelli non diventerebbero mai grandi delinquenti.

Le persone capaci di autocontrollo diventano autosufficienti e non creano problemi alla società, anzi risolvono di comune accordo quelli che incontrano, senza aspettare l’intervento dello Stato che, essendo il ritrovo di personaggi mal educati ai Valori, è inadatto a risolverli.

Poiché nelle istituzioni e nei partiti troviamo anche molti cristiani “impegnati”, non sarà che, visti i loro risultati deludenti, la Buona Novella sia anch’essa insufficiente?

L’errore però non sta nel Vangelo, ma nel loro voler essere più cristiani di Cristo, quando basterebbe che fossero semplici cristiani. Essi credono di poter instaurare il regno di Dio attraverso la scorciatoia del potere (scorciatoia che Cristo non avrebbe visto), senza bisogno di percorrere la più difficile via della croce, del servizio e della testimonianza. Poveri illusi! allungano colpevolmente il percorso e masticano amaro.

Prima di pensare ad altro è indispensabile imparare a controllare il proprio egoismo a ad amare il prossimo, cioè fare propri i Valori; poi, tra quelli che hanno dato prova di elevarsi sia moralmente che culturalmente sopra gli altri, il gruppo sceglierà le persone a cui assegnare il governo del gruppo stesso. Sapendo che nessuno può essere la Giustizia in persona e conduttore impeccabile, il popolo confida che i prescelti ci vedano meglio di chiunque altro, perciò si obbliga ad obbedire loro e ad accettare i molti inevitabili piccoli errori. Le decisioni vengono prese dalla maggioranza che, conscia di non essere depositaria della Verità, lascia alla minoranza il compito di mettere in risalto gli eventuali errori grossolani. In un clima simile le discordie e gli errori vengono superati facilmente; tutti contribuiscono secondo le loro capacità alla crescita sociale e si respira “un’aria” salùbre.

L’anello forte di questa catena è il popolo che nomina i capi a cui tutti devono obbedienza, ma che li destituisce se le loro azioni non sono soddisfacenti. Invece, se ognuno pensa a sé stesso, il popolo si divide e diventa debole; ai vertici arrivano i prepotenti e i cialtroni e il potere non appartiene più al popolo: la Democrazia diventa un regime autoritario che opprime anziché guidare.

Una società di questo tipo assomiglia ad un branco di grossi predatori con seguito di iene e avvoltoi, che si spartisce una mandria di individualisti sparpagliati e perciò deboli. Qualora la mandria-popolo scoprisse qualcosa capace di legare strettamente tra di loro i suoi componenti, diventerebbe forte e farebbe morire di fame tutti i carnivori. Fondamento della democrazia perciò è un popolo forte e unito, docile ai capi che ha eletto, ma capace di un forte controllo su di essi.

Credere in Dio non è facile, è già un punto di arrivo di un lunghissimo cammino, ma coloro che ci riescono si trovano ad avere in comune lo stesso Dio il quale offre come compenso la piena felicità a chi fa morire l’egoista e il selvatico che c’è in lui e serve il prossimo. Fosse anche per inseguire egoisticamente la felicità personale, l’altruismo intanto sviluppa l’unione tra le persone, e l’unione fa la forza. Il popolo forte esercita il suo potere sopra quelli che ha eletto come governanti, perciò, questi, stando sotto, sono dei servitori. Questa sana forma di governo quindi, può svilupparsi quando i cittadini si legano fortemente tra di loro, e ciò è possibile solo tra chi crede in Dio e osserva il suo comandamento che spinge gli uni a legarsi agli altri. Il lavorare per Dio risolve insieme il problema sociale, perché instaura pace e giustizia, e quello personale, perché procura soddisfazione e felicità. Trascurando Dio, la democrazia degenera e tende alla dittatura dei “tristi”, invece, ascoltandolo, cresce un popolo di Pro-Dio che si assoggetta al governo dei servi più fedeli a Dio.

Nelle democrazie senza (o con poco) Dio, gli individualisti litigano fra di loro e alla fine non trovano di meglio che farsi governare dalla forza dei dittatori o sottostare alle mille pastoie dei burocrati; se invece litigano e tendono ad unirsi è perché hanno conosciuto Dio sul serio ed hanno rinunciato ad esercitare il potere; perciò la democrazia, nella pratica, non esiste: chi la realizza escludendo Dio, cade nell’autoritarismo, e chi la cerca appoggiandosi a Dio l’abbandona ben presto, perché troppo scadente. La Democrazia, invocata ed osannata da tutti, è un ideale inattuabile: un’utopia.

E come comportarsi nei confronti dei non credenti e dei mal credenti? Essi non aderiscono al potere dei servi di Dio, perciò i “servi scelti” non hanno potere su chi non si assoggetta volontariamente ad essa. Non resta che condannare con forza la zizzania senza però volerla strappare; essa deve capire da sola che è vantaggioso vivere secondo i Valori. E quando i Pro-Dio saranno tanti, allora la struttura inefficiente dello Stato si sgonfierà da sola. Per quanto il Demonio ci metta la coda, il male può solo rallentare il processo di crescita del regno di Dio, e se il Per-dio non si rifiuta di faticare e soffrire, può elaborare il male che lo colpisce e trasformarlo in elemento di crescita.

Detto in parole povere, servire significa che se c’è una carta per terra la devi raccogliere senza aspettare lo stradino comunale, e se c’è un bisognoso nella tua contrada devi dargli una mano senza aspettare l’assistente sociale; eviterai di mantenere quei due “operatori” e tutta la burocrazia che li attornia; il tuo servizio sarà più celere, meno costoso e, conoscendo direttamente i problemi, le tue soluzioni saranno più efficaci. Ciò che sai fare da solo non lasciarlo al Comune, ciò che puoi fare come città non lasciarlo alla Provincia, alla Regione o allo Stato; così il potere sulla tua casa sarà insediato vicino a casa e tu potrai controllarlo.[rif. L1/108]