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USA, il Congresso dei milionari

di Michele Paris - 29/01/2014


    

L’approvazione da parte del Congresso americano di ripetute misure volte sostanzialmente a colpire le fasce più deboli della popolazione e a favorire le élite economico-finanziare è la diretta e inevitabile conseguenza della natura di classe di un intero sistema che per molti continua a rappresentare un modello di autentica democrazia.

A mettere ulteriormente in luce una realtà nella quale le classi privilegiate negli Stati Uniti controllano indisturbate l’apparato del potere è stato un recente rapporto dell’organizzazione non-profit Center for Responsive Politics (CPR), dal quale emerge come per la prima volta nella storia di questo paese i milionari costituiscano la maggioranza assoluta dei due rami del parlamento di Washington.

L’aumento decisivo che ha fatto superare questa soglia simbolica è avvenuto tra il 2011 e il 2012, quando il “valore netto” medio dei singoli parlamentari americani è passato da 966.000 a 1.008.767 dollari. A godere dello status di milionari nell’attuale 113esimo Congresso sono 268 membri su 534 totali, contro i 257 dell’anno precedente.

Al di sopra della media risultano poi coloro che fanno parte dell’organo più élitario della politica americana, il Senato, dove la media dei singoli membri ha sfiorato nel 2012 i 2,8 milioni di dollari, con numeri generalmente superiori per i repubblicani rispetto ai democratici.

Senatori e deputati d’oltreoceano non sono stati dunque nemmeno lontanamente sfiorati in questi anni dall’impoverimento forzato subito da decine di milioni di loro concittadini, dal momento che i primi, in media, hanno visto aumentare in un solo anno i propri averi del 10,8%, mentre i membri della camera bassa del 4,6%.

A guidare la classifica dei “congressmen” più ricchi è ancora una volta il deputato repubblicano della California, Darrell Issa, con una fortuna stimata tra i 330 e i 597 milioni di dollari. Quest’ultimo ha costruito la propria fortuna grazie al business degli antifurto per automobili ed ha riconquistato il titolo di parlamentare più benestante dopo che nel 2011 era stato sopravanzato dal collega repubblicano del Texas, Michael McCaul, sceso quest’anno in quinta posizione.

Gli occupanti dei primi otto posti della classifica stilata dal CRP hanno tutti un “valore netto” medio superiore ai 100 milioni di dollari e tra di essi figurano ben sei democratici: i senatori Mark Warner (Virginia, 257 milioni), Richard Blumenthal (Connecticut, 103 milioni), Jay Rockefeller (West Virginia, 101 milioni) e i deputati Jared Polis (Colorado, 197 milioni), John Delaney (Maryland, 154 milioni), Scott Peters (California, 112 milioni).

Le ricchezze così attribuite ai membri del Congresso risultano nettamente sottostimate, visto che i dati aggregati dal CPR non includono abitazioni, automobili e opere d’arte di loro proprietà. Inoltre, praticamente esclusi dai conteggi risultano anche i beni dei rispettivi mariti o mogli, i quali nelle dichiarazioni dei parlamentari possono da quest’anno essere riportati in maniera estremamente generica, ad esempio con indicazioni come “oltre 1 milione di dollari” o “oltre 50 milioni di dollari”.

I membri del Congresso hanno investito il loro denaro in titoli delle maggiori corporation americane. General Electric e il colosso bancario Wells Fargo risultano le preferite, ma la lunga lista comprende, tra le altre, anche Microsoft, JPMorgan, Apple, Procter & Gamble, IBM, Bank of America, AT&T e Cisco Systems.

Il settore prediletto da deputati e senatori per far fruttare il proprio denaro è però quello edilizio, dove investono complessivamente una cifra tra 450 milioni e 1,4 miliardi di dollari. In azioni ci sono invece tra gli 86 e i 259 milioni, nel settore “petrolio e gas” tra i 34 e i 97 milioni, mentre in quello farmaceutico - beneficiario della “riforma” sanitaria di Obama approvata dal Congresso nel 2010 - tra i 30 e i 96 milioni.

I palesi conflitti di interesse che coinvolgono politici chiamati spesso a promulgare leggi su questioni che riguardano compagnie nelle quali essi detengono ingenti investimenti sono quasi sempre aggirati. Come se non bastasse, scrive il CPR nel suo rapporto, “migliaia di compagnie ottengono contratti pubblici per il valore di miliardi di dollari ogni anno e molte di esse fanno attività di lobby in maniera diretta sul Congresso”.

Inoltre, “alcune di queste compagnie possono essere oggetto di indagini congressuali a causa di pratiche di business discutibili, incidenti o addirittura disastri. Il tutto nonostante i parlamentari detengano azioni o intrattengano altre relazioni finanziarie con queste stesse corporations”.

A svuotare del tutto il sistema teoricamente democratico degli Stati Uniti è dunque una struttura reale di potere controllata ad ogni livello da una vera e propria oligarchia di super-ricchi che rappresenta unicamente gli interessi di una classe ben precisa.

Tutto ciò è rafforzato da cicli elettorali che comportano la spesa di quantità enormi di denaro, assicurando che i candidati di entrambi gli schieramenti, una volta ottenuto l’incarico per cui hanno corso, siano ben disposti verso banche o grandi aziende che, direttamente o indirettamente, li hanno finanziati.

Per i servizi resi nel corso del loro mandato, infine, un numero sempre crescente di parlamentari viene gratificato con incarichi estremamente redditizi nel settore privato una volta conclusa la propria carriera politica.

Questo sistema influisce in maniera inevitabile sulle percezioni di ogni singolo membro del Congresso quando è chiamato a legiferare teoricamente in nome del “popolo”, risolvendosi in politiche rigorosamente di classe lontane anni luce dalla fantasia del bene comune o dell’interesse collettivo degli Stati Uniti.

La conseguenza è una distanza sempre più incolmabile tra la grandissima maggioranza della popolazione e i suoi teorici rappresentanti, tanto da fare apparire quasi ovvio il fatto che il Congresso più ricco della storia americana sia anche quello più impopolare da quando esistono i rilevamenti statistici. Una recente indagine dell’istituto Gallup ha infatti mostrato come l’attuale organo legislativo statunitense raccolga consensi nel paese che non arrivano nemmeno al 10 per cento.

In termini concreti, perciò, l’aristocrazia del Congresso di Washington ha inciso in maniera determinante nella creazione di una realtà nella quale la distribuzione delle ricchezze ha ormai raggiunto livelli paragonabili a quelli del XIX secolo o le protezioni e i diritti dei lavoratori continuano ad essere smantellati.

Questo processo, parallelo all’approdo alla Camera e al Senato di uomini e donne sempre più benestanti, si è intensificato a partire dal 2008, quando la politica – negli USA come altrove – ha risposto prontamente alle esigenze dei grandi interessi economici e finanziari minacciati dalla crisi, facendo gravare il costo del salvataggio del sistema capitalistico interamente sulle spalle delle classi più disagiate.

Ad esemplificare alla perfezione la realtà di un governo dei ricchi e per i ricchi è stata così una recentissima dichiarazione del deputato repubblicano dell’Oklahoma, Frank Lucas, al termine dei negoziati tra i due partiti al Congresso su un pacchetto atteso da tempo riguardante il settore agricolo.

Il presidente della commissione Agricoltura della Camera - accreditato dal rapporto del CPR di un “valore netto” medio di 1,6 milioni di dollari - senza l’ombra di un qualche imbarazzo si è detto cioè “orgoglioso” degli sforzi bipartisan per giungere ad un accordo su un provvedimento che, tra l’altro, taglierà altri 8 miliardi di dollari destinati al finanziamento di buoni alimentari per le fasce più impoverite della popolazione americana.

Questa ennesima impietosa iniziativa della spietata classe dirigente americana va ad aggiungersi, ad esempio, agli 11 miliardi di dollari già tagliati alla fine del 2013 e al mancato rinnovo dei sussidi di disoccupazione straordinari federali, lasciando rispettivamente senza cibo per svariati giorni al mese quasi 50 milioni di persone e senza alcuna fonte di reddito un altro milione e mezzo di senza lavoro.