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Sbankitalia

di Marco Della Luna - Luigi Tedeschi - 18/05/2014

Fonte: Arianna editrice


1.    Gli accordi Ecofin di fine dicembre 2013, che prevedono la devoluzione delle funzioni di vigilanza bancaria alla BCE, il cui intento ufficiale sarebbe quello di rafforzare la capitalizzazione del sistema finanziario, al fine di scongiurare i rischi di default emersi all'indomani della crisi del 2008, in realtà rappresentano un ulteriore rafforzamento del sistema bancario centrale europeo, a danno degli stati e delle banche più deboli. Tra l'altro, verranno sottoposti a stress test i titoli del debito pubblico degli stati. In realtà il coefficiente di rischio del debito pubblico è quasi nullo. I titoli pubblici vengono acquistati e restituiti dalle banche alla scadenza allo stesso valore. Variazioni possono verificarsi solo se i titoli vengano alienati prima della scadenza, ai valori di mercato. Tali stress test di per sé aumentano artificialmente il coefficiente di rischio e quindi tale procedura, potrebbe distogliere gli investitori dall'acquisto dei titoli pubblici dell'area euro, con relativo aggravio degli interessi sul debito degli stati. Le nuove procedure di vigilanza sono particolarmente perniciose per gli stati più deboli, che, con gli evidenti segnali di deflazione manifestatisi recentemente, vedono aggravarsi la loro situazione debitoria, indipendentemente dai ribassi dello spread. Nell'ambito bancario invece, vengono penalizzate specialmente le banche locali (popolari, cooperative ecc.), che esercitano il credito a breve, in quanto sottocapitalizzate ai sensi dei principi di verifica degli stress test. Vengono quindi penalizzati gli istituti che esercitano il credito verso la piccola e media impresa e i privati, in quanto dette banche incontreranno maggiori difficoltà nell'erogare il credito, dovendo effettuare gravosi accantonamenti a fronte delle concessioni dei prestiti. Non è questo accordo una ulteriore fase del processo di dissolvimento della economia reale a favore della economia finanziaria?

R.: Certamente. La fase precedente era una fase di capitalismo finanziario, in cui il settore produttivo dell'economia era dominato dalla finanza e dalla sua logica budgetista, con tagli a investimenti, innovazione, impiantistica, formazione, e puntava alla massimizzazione della rendita del capitale. Ora, come spiega Nino Galloni, siamo entrati in una nuova fase, quella del capitalismo ultrafinanziario, in cui la finanza si interessa solo di sé, di congegnare, moltiplicare e collocare titoli prescindenti da qualsivoglia sottostante reale, e di riconfezionarli spacciandoli con nuove forme derivate quando entrano in crisi, e ultimamente di far intervenire, con enormi creazioni di denaro fresco, la banca centrale di emissione per assorbirli quando proprio divengono improponibili (cash for trash, q.e., ltro) e quando bisogna rifinanziare le banche destabilizzate dagli azzardi di chi le maneggia. Tutto questo senza curarsi del finanziamento dell'economia reale e di salvaguardare l'occupazione e il pil.


2.    Nel libro, viene qualificato il neoliberismo come falso liberismo. Infatti, non rientra nelle dottrine economiche liberiste e nella visione liberale della società il regime monopolistico delle banche centrali, l'asservimento dei poteri pubblici e delle istituzioni ad enti finanziari privati, la stessa adozione di una moneta unica in aperta violazione delle leggi di mercato. In realtà, a mio avviso stiamo assistendo ad una realizzazione in forma compiuta di quelli che erano i fondamenti ideologici ed economici della società liberale cosmopolita idealizzata nel '700. Il liberismo economico e la società capitalistica si basano su un presupposto indiscutibile, intrascendibile, irriformabile: la forma merce. Vale a dire che la società sussiste in quanto tutte le azioni umane, economiche e non, sono suscettibili di valutazione economica. Pertanto, è l'homo hoeconomicus il demiurgo del progresso, poiché, secondo un falso dogma ideologico, esiterebbe una perfetta corrispondenza tra l'utilità dell'individuo e il bene comune. Le dottrine economiche liberiste si sono rivelate dogmi ideologici indimostrabili. E' falso infatti affermare che il libero mercato determina la migliore allocazione delle risorse: la logica della massimizzazione del profitto impedisce spesso lo sviluppo della ricerca scientifica e la crescita economica. La concorrenza non si svolge mai in condizioni paritarie, ma opera una selezione darwiniana tra i concorrenti. Il libero mercato comporta, come esito finale, prima oligopolio e poi il monopolio. Quest'ultimo non genera ricchezza, né profitti subordinati al rischio, ma rendite finanziarie. A mio avviso non esiste liberismo e pseudo liberismo, perché la sua genesi è unitaria e oggi stiamo vivendo la fase terminale di un processo univoco. L'emergere della global class non ci induce a ritenere che sia falsa l'identificazione del liberismo con il progresso, dato che esso conduce ad una stratificazione della società tipica delle epoche premoderne?

R.: Concordo. Il libero mercato non esiste, perché non ne esistono le condizioni basilari, come la trasparenza e la neutralità delle istituzioni. Inoltre le risorse più importanti sono detenute da cartelli: moneta, credito, prodotti energetici, materie prime. Anche se esistesse, non è affatto provato che produrrebbe i risultati promessi dalla teoria, ossia la prevenzione/cura delle crisi, la piena occupazione dei fattori, l'ottimale allocazione di risorse e redditi, la massimizzazione della ricchezza prodotta. In ogni caso, la teoria dei mercati efficienti si riferisce – attenzione! - ai mercati dell'economia reale, mentre noi siamo sottoposti a un mercato di economia finanziaria, speculativa, che guadagna sull'ampiezza e frequenza delle variazioni, quindi proprio sulle crisi, prescindendo dalla produzione. I personaggi istituzionali che predicano la conformazione al mercato sono mistificatori e nemici pubblici. Ovviamente tanto questo liberismo dichiarato, quanto lo pseudoliberismo praticato con la socializzazione delle perdite da azzardo o pirateria finanziaria, non porta a un progresso complessivo della società, ma sicuramente apportano vantaggi a coloro che li impongono alla collettività.
3.    La problematica legata alla recente rivalutazione del capitale di Bankitalia, con conseguente devoluzione delle azioni rivalutate al patrimonio delle banche / enti privati soci della banca centrale per 7,5 miliardi di euro, è un evento significativo del processo di smantellamento degli stati perpetrato mediante l'appropriazione e l'assoggettamento delle istituzioni politiche degli stati alle holding finanziarie. Le istituzioni politiche avrebbero potuto e dovuto operare diversamente, e le proposte in tal senso mesi fa non mancavano. Si sarebbe dovuto infatti effettuare la rivalutazione delle nostre riserve auree in possesso della Banca d'Italia. Tale misura, date le attuali alte quotazioni dell'oro avrebbe potuto generare nuova liquidità e determinare un decremento del debito pubblico. La tassazione delle plusvalenze avrebbe potuto fornire alla Cassa Depositi e Prestiti le risorse necessarie per acquistare la maggioranza delle azioni di Bankitalia, che sarebbe tornata ad essere banca centrale dello stato. Le banche private, già azioniste, attraverso i profitti ricavati dalla cessione delle partecipazioni in Bankitalia, avrebbero incrementato i loro patrimoni e quindi avrebbero potuto disporre dei capitali necessari per erogare credito alle imprese e contribuire al rilancio della produzione. Tuttavia, tale strategia si rivela irrealizzabile perché non tiene conto del fatto che, essendo Bankitalia una banca centrale privata proprietaria delle riserva auree italiane, questa potrebbe non consentirne la cessione. L’Italia, disponendo di 2.451 tonnellate di riserve auree è al terzo posto nel mondo dopo USA e Germania. La quotazione dell’oro, a fronte della volatilità finanziaria e della crisi economica, si è costantemente incrementata. Tutti i paesi del mondo industriale (la Cina in primis), si affannano a ricostituire le loro riserve auree. In Europa la Germania invece invita l’Italia a cedere le sue ultime industrie strategiche detenute dallo stato, oppure a vendere le proprie riserve auree per risanare il debito pubblico. L’Italia può reagire a tale azione ricattatoria della Germania solo restituendo allo stato la sua banca centrale, già espropriata a seguito della dissennata privatizzazione del sistema bancario. La rivalutazione del capitale di Bankitalia, visibilmente incostituzionale e fraudolenta, si inserisce nel processo di privatizzazione dell'economia, delle istituzioni statuali, dei rapporti sociali, proprio della società globalizzata. Ma come mai a questa liberalizzazione globale, non fa riscontro uno stato minimo, prossimo alla sua utopica scomparsa, ma un super - stato oligarchico che abroga di fatto gli ordinamenti democratici?
R.: Nessuno prova più a riorganizzare uno Stato italiano, o una legalità costituzionale, perché oramai è provato e chiaro a tutti che l'Italia non funziona, non è vitale. L'unica cosa da fare è saccheggiare quanto rimane di buono in termini di risorse, aziende, mercati, nel sistema-paese, mentre si tira avanti consumando col fisco il risparmio, ad esaurimento. Ed è appunto questo che sta facendo la buro-partitocrazia come per conto della grande finanza straniera. L'Italia non funziona perché è un assemblaggio di nazioni e aree economiche e culturali molto diverse tra loro e che tra loro non hanno mai legato, anzi le differenze e le disfunzioni sono state amplificate dalle politiche di convergenza (trasferimenti e spesa assistenziale).
4.    Hai ben illustrato nel libro la genesi, l'evoluzione storica e delineato i possibili sviluppi del capitalismo finanziario oggi dominante. La trasformazione epocale del capitalismo produttivo in capitalismo finanziario ebbe luogo negli anni '70. In quegli anni, questa evoluzione avvenne sul presupposto che l'economia produttiva evidenziava scarsa crescita e decremento dei profitti, paventandosi una saturazione dei mercati. Il liberismo, oltre a fondarsi su equilibri di mercato astratti e mai verificabili nella realtà, non conosce il naturale principio della saturazione dei bisogni e dei consumi. Il liberismo presuppone illimitato sviluppo della produzione e del consumo. Occorre tuttavia rilevare che il capitalismo ha potuto nascere e svilupparsi sulla base di ordinamenti statuali in cui fino a pochi decenni fa sono sopravvissuti valori comunitari che gli hanno fornito una base etica, che gli hanno assicurato la necessaria coesione sociale, che hanno consentito di rimediare agli squilibri economici mediante misure di redistribuzione del reddito, che, attraverso lo stato sociale hanno garantito in misura sostanziale un equilibrio tra le classi sociali. Il liberismo finanziario inauguratosi con la Thatcher e Regan, ha potuto sussistere se e nella misura in cui gli stati hanno fatto fronte alle crisi da esso stesso generate, con relativo danno dei contribuenti. Oggi gli stati sono stati spogliati in larga misura della loro sovranità politica, il debito assorbe le loro risorse, le finanze pubbliche sono in molti paesi prossime al default, i popoli sono divenuti masse deprivate, oltre che dei loro diritti fondamentali, anche del lavoro stabile e della sicurezza sociale, possono generare un malcontento difficilmente controllabile. Un capitalismo finanziario cui manchi il sostegno degli stati e non riesca a realizzare un livello di produzione e consumo che possa assicurarne lo sviluppo è prossimo alla fine? O forse sussiste ancora perché ad esso mancano avversari politici adeguati?
R.: Riesce a persistere proprio separandosi dall'umanità reale, dal piano dei bisogni e dei consumi, facendosi autoreferenziale e autosostentandosi attraverso la strumentalizzazione delle banche centrali e del fisco degli stati: decine di migliaia di miliardi di dollari prodotti per sostenere il mercato dei titoli derivati, in un mondo caratterizzato dalla presenza di una ricchezza contabilizzata ma irreale, consistente in milioni di miliardi di tali titoli.
Per quando folle, il capitalismo ultrafinanziario non può avere consistenti avversarsi politici, perché, essendo capace di produrre moneta spendibile più di ogni altro sistema economico, può comperarsi il consenso di ogni organizzazione; inoltre, avendo la capacità di indebitare e destabilizzare finanziariamente ogni governo che gli si opponga, vince col ricatto ogni resistenza istituzionale. E' probabile che stia marciando verso la sua fine, perché instaura un ambiente morale, sociale, giuridico incompatibile con la sana vita dell'essere umano. Ma è anche vero che l'essere umano può competere degnamente coi topi nell'adattarsi alle condizioni di vita più grame.