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Prepararsi alla “calata degli avvoltoi”

di Luciano Lago - 08/09/2014

Fonte: Controinformazione



Che in questo paese fossimo arrivati ormai “alla frutta” lo si era capito da un pezzo : con uno Stato che vanta il debito pubblico record di oltre 2.166 miliardi di euro, corrispondente al 137,9% del PIL) : solo negli ultimi dodici mesi, tra aprile 2013 e aprile 2014, il “buco” nelle finanze statali è cresciuto di 103,5 miliardi di euro, pari a una media di 8,6 miliardi al mese. Vedi: Cosa si nasconde dietro l’enorme aumento del debito pubblico

Lo Stato italiano che, grazie all’euro, non dispone più di una propria moneta, è costretto a ricorrere al prestito di una moneta straniera (denominata euro) che deve richiedere dietro interessi al cartello bancario sovranazionale che “graziosamente” gli concede questi denari dietro interessi che, per il solo finanziamento del debito, costano circa 80/90 miliardi all’anno.

 

La crescita del debito pubblico ha continuato a salire nonostante o/ a causa delle politiche di austerità imposte da Bruxelles, con il livello stratosferico di tassazione che grava su imprese e famiglie, che hanno prodotto la contrazione dell’economia, chiusura di migliaia di aziende, disoccupazione record, con effetto di arretramento del PIL e di conseguenza il calo delle entrate fiscali e lo sballo di tutte le previsioni di crescita fatte dal governo. Dal governo Monti, fiduciario delle centrali finanziarie, seguito da quello di Enrico Letta e, da ultimo, dal parolaio fiorentino, Matteo Renzi, la situazione non è cambiata anzi si è aggravata ed è sempre più vicina al default.

Tutti questi governi si sono limitati ad applicare le ricette demenziali dei burocrati di Bruxelles e di Francoforte ed i risultati si vedono.

Per chi non lo avesse ancora capito, Il debito pubblico italiano è già tecnicamente impagabile.
Tuttavia per mascherare questa grave situazione il governo Renzi, quando si è insediato, ha proclamato la sua irrinunciabile volontà di fare le riforme (una al mese aveva detto in un primo tempo) affermando che con queste riforme tutto dovrà cambiare: l’economia riprenderà il suo corso, ci sarà la crescita, la disoccupazione dovrà calare, gli imprenditori torneranno ad investire e tornerà la fiducia e l’Italia sarà un paese più moderno, con un sistema del lavoro flessibile come in Germania, con una Pubblica Amministrazione più snella e più moderna (che pagherà i suoi debiti con le imprese, ci aveva detto), con un sistema giudiziario degno di un paese civile, una scuola più avanzata, ecc. ecc..

Un buona parte degli italiani, incantati dalle chiacchiere dell’imbonitore fiorentino, sempre presente in TV ed al centro di una formidabile “campagna di persuasione”,
con la sua squadra di “belle ministre”, giovani ed avvenenti, ne sono rimasti incantati, gli hanno creduto ed hanno votato per il suo partito, il PD, visto che erano in quel periodo le elezioni europee.

Sono passati i primi sei mesi e di riforme si è vista in marcia (con i suoi tempi lunghi di approvazione circa 2 anni) soltanto quella del Senato, che non è esattamente quello che possa smuovere l’economia.
Molte promesse e molte chiacchiere ma per la fantomatica “spending review” (tagli alla spesa pubblica), ancora non si sono visti che tagli marginali ma niente di sostanziale.  L’enorme apparato burocratico clientelare continua come prima a macinare denaro pubblico, come anche le corporazioni super pagate dei dirigenti statali, dei manager pubblici, dei magistrati, dei dipendenti di organismi pubblici, dalla Banca D’Italia, alla Corte dei Conti ,alla Corte Costituzionale, nonchè le oltre 5.000 società partecipate da Regioni, Province e comuni, fra stipendi, gettoni di presenza, rimborsi spese, consulenze, ecc..  I crediti delle imprese non sono stati pagati e molte di queste sono andate in fallimento.  Le Province, pur se nominalmente abolite ,continuano ad avere il loro personale a carico, i partiti hanno continuato ad incassare il finanziamento pubblico (appena ridotto dal 2015) i giornali continuano ad avere il finanziamento pubblico, in più lo Stato italiano si è accollato la spesa per accogliere ed assistere oltre centomila fra immigrati e rifugiati provenienti da Africa e Medio Oriente, mentre il ministro Alfano continua a strepitare che “l’Europa deve farsi carico del problema” (?!?).

L’unico segnale di riduzione di spese da ultimo dato da Renzi è stato quello di ridurre del 3% le spese di ogni Ministero: dalla Pubblica Istruzione alla Difesa, all’Interno, ecc.. Esttamente i tagli lineari che venivano fatti durante i governi Berlusconi e Tremonti. Dove sarebbe la novità? Si è chiesto qualcuno che riteneva Renzi un grande “innovatore”.

Tuttavia il segnale più grave e sintomatico di quale sia la situazione reale è stato dato qualche giorno fa, dall’affascinante quanto inesperta ministra Madia, quando questa ha comunicato ai sindacati e rappresentanti del pubblico impiego che non ci sono i soldi per l’adeguamento delle retribuzioni del pubblico impiego ferme da cinque anni.

Apriti cielo: in Italia non era mai accaduto che un governo di coalizione di centro sinistra negasse gli adeguamenti al pubblico impiego, incluse forze di Polizia, carabinieri, Finanza e Forze Armate, ai dipendenti pubblici in genere, quelli che da sempre sono in buona parte il bacino elettorale del PD. Questo significa che la situazione inizia ad essere davvero grave se lo Stato ha difficoltà a pagare insegnanti, infermieri, impiegati pubblici, poliziotti, carabinieri e tutti gli altri comparti dell’impiego pubblico.

Infatti la situazione è grave, anzi gravissima ma proprio i dipendenti pubblici, quelli che fino ad oggi hanno avuto sempre il posto e lo stipendio garantito non lo avevano compreso. Questi poveretti, illusi dalle chiacchiere del “gelataio fiorentino” avevano pensato che questo avrebbe per l’ennesima volta garantito e migliorato il loro status e magari, con la ripresa dell’economia, fatto trovare un posto di lavoro nella Pubblica Amministrazione anche al figlio o al nipote disoccupato. Quindi lo avevano votato entusiasti del “nuovo che avanza”.

L’impiego nell’Amministrazione P. si sa che in Italia è sempre stato considerato un comodo rifugio con posto garantito a vita, godendo di una serie di privilegi sconosciuti alle altre categorie, dalla illicenziabilità alla possibilità di permessi, malattie ed aspettativa, fino alla inamovibilità dalla sede di lavoro, senza dover per questo rispondere di produttività e di efficienza. Il rag. Fantozzi è stato il prototipo di questo impiegato pubblico ma a volte la realtà supera persino la fantasia se consideriamo ad esempio il comparto dei dipendenti della Netezza Urbana di Napoli o della Forestale in Calabria. Naturalmente questo discorso non vale per chi deve davvero lavorare al massimo delle sue possibilità come gli infermieri in certi ospedali pubblici, gli insegnanti nelle scuole disagiate o i poliziotti e carabinieri che rischiano la vita nelle strade o i vigili del fuoco che si prodigano nelle tante calamità che affliggono il paese.

Mettere in dubbio questa estesa fascia di popolazione garantita significa dare a vedere che la situazione è ormai fuori controllo e chi ha un minimo di perspicacia e di senso critico intende che la prospettiva di una situazione tipo Grecia con massacro sociale generalizzato, licenziamento di parte dei dipendenti pubblici e riduzioni di stipendio è ormai davvero dietro l’angolo.

Il problema che ancora non tutti percepiscono è quello dell’impoverimento generale della popolazione italiana, questo è un flagello che inizia dal ceto medio, quello composto da piccoli imprenditori, artigiani, partite Iva, professionisti, medi dirigenti di aziende private, ecc. che, per l’effetto combinato della crisi e dell’assurdo carico fiscale, nonchè della mancanza di credito, sono costretti a chiudere le loro attività o vedono perso il loro posto di lavoro senza avere possibiltà alternative e senza sussidi. Dopo questa fascia sociale viene subito dopo colpita la base operaia, che si trova spiazzata dalla chiusura o ridimensionamento delle aziende, godendo tuttavia per un certo periodo dei soli sussidi quali cassa integrazione e similari ma con scarse o inesistenti possibilità di lavoro alternativo.

La situazione precipita quando la mancanza di liquidità costringe lo Stato a ridimensionare e limitare il pagamento dei dipendenti pubblici, esattamente quello che è successo in Grecia, con conseguenti scioperi, interruzione dei servizi, manifestazioni e possibili disordini sociali.

In Italia stiamo iniziando ad entrare in questa fase che diventa la più delicata perchè richiede una forte capacità da parte dei governi di gestione delle tensioni sociali e questa, possiamo stare sicuri, non sarà lasciata al “gelataio fiorentino” ed alle sue “belle ministre”.

Possiamo scommettere che interverrà la Troika (Commissione Europea, BCE e FMI) con tutto il suo stato maggiore, data l’importanza dell’Italia (si tratta del terzo paese europeo), con i suoi funzionari e fiduciari, con giubbetto anti proiettile e scorta armata, con il suo carico di provvedimenti imposti, “impopolari ma necessari” ci diranno come hanno detto in Grecia, mentre un nuovo corpo di polizia europeo (l’Eurogendor) interverrà per sostituire la Polizia italiana in sciopero.

Le avvisaglie ci sono già, “dobbiamo dare direttamente a Bruxelles la gestione delle riforme in Italia”, si è lasciato scappare l’altro giorno il ministro dell’economia Padoan, l’uomo di fiducia del FMI e delle centrali finanziarie, installato da queste nel governo Renzi. L’unico personaggio non di immagine del governo ma che sa gestire le situazioni difficili come dicono che abbia saputo fare anche a suo tempo in Argentina, per conto del FMI (da quel paese sono stati però cacciati da una rivolta popolare). Vedi: Padoan getta la maschera

Questo la dice lunga su quale sia la prospettiva. Privatizzazioni, svendita del patrimonio pubblico e, come molto probabile, cessioni di parte del territorio demaniale in cambio delle quote del debito.

Lo esigono da Bruxelles e dal FMI per avere le garanzie sul debito publico dell’Italia. Le grandi banche d’affari, Goldman Sachs in testa e le mutinazionali sono pronte ad accorrere in Italia a fare business, come già avvenuto nel 92 all’epoca delle prime grandi privatizzazioni.

Prepariamoci alla calata degli avvoltoi su quel che resta del “bel paese”.