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Italia in svendita

di Irene Sabeni - 07/10/2014

Fonte: Il Ribelle

 


 

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Da Il Ribelle del 2-10-2014 (N.d.d.)

Matteo Renzi ha messo le mani avanti ammettendo di non essere più nelle grazie dell'Alta Finanza. Quelli che, in base ad un abusato termine, vengono chiamati “Poteri Forti” e che, a suo dire, vorrebbero sostituirlo. In un Paese caratterizzato da un evidente e palpabile declino come l'Italia, un declino che è al tempo stesso economico, sociale, politico e morale, i “Poteri Forti” reali non sono altro che le Banche et affini. La Fiat e gli Agnelli contano ormai ben poco. Elkann e Marchionne hanno avviato infatti da tempo la chiusura della produzione di auto in Italia dopo aver dovuto prendere atto della fine degli aiuti pubblici. Le imprese un tempo pubbliche (vedi la Telecom) sono state prima spezzettate e poi regalate ai privati. E pure l'Eni, dopo tutte le privatizzazioni delle quote azionarie, è ormai controllata di fatto dai fondi di investimento anglofoni, mentre due soggetti pubblici come il Tesoro e la Cassa Depositi e Prestiti, sono stati ridotti in minoranza e destinati ad essere messi nell'angolo. Stessa sorte si prospetta per l'Enel che, come l'Eni, aveva avuto la brutta idea, sotto Berlusconi e Prodi, di stabilire stretti rapporti economici con la Russia. E con la Libia. E abbiamo visto come è finita, con la caduta di Gheddafi ad opera dei soliti noti. L'economia pubblica aveva rappresentato un elemento fondamentale che aveva permesso il boom economico del dopoguerra e aveva consentito all'Italia di ricavarsi uno spazio autonomo in politica estera, pur rimanendo dentro l'alleanza militare atlantica e sposando lo spirito dei tempi. 

Il primo colpo all'economia pubblica italiana venne avviato nel 1992, il 2 giugno per essere precisi (la festa della Repubblica, o la festa alla Repubblica), il giorno della famigerata Crociera del Britannia da Civitavecchia all'isola del Giglio e ritorno. In quella occasione il panfilo reale dei Windsor venne affittato da British Invisible, una associazione che promuove il made in Britain nel mondo, i cui dirigenti, legati agli ambienti della City londinese, intrattennero i gentili ospiti sulla bontà e sulla necessità delle privatizzazioni. I gentili ospiti erano dirigenti di aziende pubbliche che, appena scoppiata Mani Pulite, si sentivano un po' sbandati non sapendo o forse intuendo perfettamente cosa stava per avvenire, e sapendo che la loro classe politica di riferimento stava per essere spazzata via e sostituita con un'altra che, nella logica della City, avrebbe dovuto essere il Pci-Pds di Occhetto ormai trasformatosi, gioco forza, in socialdemocratico. Poi le cose andarono diversamente ma questa è un'altra storia. A ricevere gli ospiti, e a scendere poco prima della partenza, c'era Mario Draghi, all'epoca direttore generale del Tesoro e al quale, in seguito, venne affidata la delega (guarda, guarda) alle privatizzazioni. 

In seguito Draghi andò a lavorare alla Goldman Sachs che svolse un ruolo fondamentale nella privatizzazione di società pubbliche come Telecom, Eni ed Enel, durante i governi di Prodi e D'Alema (già, proprio loro due). 

In ogni caso, tanto per dimostrare che la crociera non era una chiacchierata amichevole tra amici ma qualcosa di maledettamente più serio, un vero e proprio ultimatum, in autunno partì la speculazione contro la lira, operata, guarda caso, dalla City di Londra. La lira venne svalutata del 30% e molte aziende pubbliche, di modesta grandezza, vennero messe in vendita con uno sconto reale equivalente. Giusto per saggiare il terreno. 

Ora la storia sembra ripetersi. Giorni fa si è avuta infatti a Milano un'altra riunione del genere organizzata questa volta dalla J. P. Morgan. Si tratta della prima Banca al mondo per il valore del suo patrimonio e delle sue attività. Parecchi dirigenti di Banche, di società finanziarie e di fondi di investimento stranieri, si sono riuniti per discutere della maniera migliore e meno dispendiosa (per loro) di comprarsi l'Italia e le sue aziende pubbliche e private. Dall'altra parte del tavolo c'erano dirigenti e proprietari di importanti imprese italiane, quelli che, ad un primo contatto, si sono dimostrati disponibili a passare la mano. Tra i gruppi italiani rappresentati all'incontro c'erano Intesa San Paolo, Fincantieri, Danieli (un'azienda specializzata nella realizzazione di impianti siderurgici), Terna, Impregilo (colosso delle costruzioni) e Mediaset. Mancavano, non a caso, Eni ed Enel. Non a caso perché anche Renzi si è detto favorevole a far scendere ancora la quota azionaria pubblica in entrambe le società. 

La conclusione che bisogna trarne è che l'Italia è ancora appetibile per la finanza estera. Le Banche anglofone, perché di quelle si tratta, nonostante il debito pubblico sia al 135% del Pil, reputano che si possano fare ancora affari in Italia. Fare ad esempio man bassa di azioni (pagandole due euro) per poi ricollocarle con lauti profitti e provvigioni (per la intermediazione) sul mercato internazionale. L'Italia insomma viene vista ancora come terra di conquista, una terra dei morti se si considera che l'economia è di fatto ferma e la politica naviga a vista e ha perso ogni senso dell'interesse nazionale. Un'Italia che in molti, all'estero, vorrebbero trasformare in un ulteriore mercato di assorbimento di prodotti esteri. Una fine ingloriosa per quella che un tempo era una delle prime potenze industriali del mondo. Una fine ingloriosa alla quale ha contribuito in particolare una classe politica di idioti e di criminali, incapaci di vedere al di là del proprio naso. E del proprio tornaconto.