L’infantilismo dell’Ue disfa i piani per Kiev
di Fabio Mini - 27/11/2025

Fonte: Il Fatto Quotidiano
Se il teatrino europeo riesce a far fallire ancora i negoziati, Putin potrà dimostrare agli alleati dei Brics che non è colpa suaE passare così all’opzione militare, la sola cosa che conta nelle trattative
I piani sono cose serie, sono l’articolazione delle strategie e della politica. Il presunto piano per l’Ucraina di 28 punti di Trump e quello di 18 degli europei non sono piani.
Sebbene siano attribuiti alla mente maligna di Putin, a quella rapace di Trump e ai geni europei sono solo i prodotti maldestri, ingenui e raffazzonati che qualche burocrate statunitense o europeo ha tratto da una cosa seria: l’elenco delle quattro o cinque priorità e condizioni che Trump e Putin concordarono in Alaska, a voce ma opportunamente registrate, stenografate e verbalizzato. Una lista di ciò che Putin aveva sempre e pubblicamente dichiarato e che Trump sembrava aver capito. I punti che lo stesso Putin aveva illustrato ai leader dei Paesi amici della Russia che nel frattempo, durante la guerra, sono aumentati. La Russia non ha mai fatto mistero dei propri interessi e principi fondamentali riguardanti l’Ucraina: neutralità, denazificazione e demilitarizzazione e cessione dei suoi territori acquisiti con le operazioni militari e con i referendum popolari. Tutto il resto apparso nei 28+18 punti era fuffa, che però eccitava in particolare gli europei votati a sostenere il martirio ucraino come altrettanti politici americani ed europei.
L’ex generale Kellogg e il repubblicano Lindsay Graham sobillano ancora gli ucraini e gli europei blaterando di vittoria ucraina e questi ultimi fingono di crederci arrivando al paradossale impegno a proseguire l’aiuto all’Ucraina anche sapendo che ha già perduto la guerra e che lo stesso aiuto non sarà sufficiente a ribaltare le sorti. In pratica questi “maschi” europei che incitano alla guerra si comportano nei riguardi dell’Ucraina come il mitico Achille che continuò a stuprare l’amazzone Pentesilea anche dopo morta. D’altra parte le vergini (si fa per dire) amazzoni europee, inclusa l’Ucraina, la Germania, la Francia, la Gran Bretagna e tutta la serie di bellicisti che si aggirano per i corridoi dell’Unione europea, della Nato e dei vari governi nazionali tra cui l’Italia brandiscono la spada contro l’Achille russo bramando proprio di essere stuprate anche da morte.
Oggi ci troviamo nello stesso schema già visto in precedenza: i russi e gli americani si parlano per concordare, gli europei e l’Ucraina si parlano per discordare dagli uni e dagli altri. Trump propone e gli europei fanno controproposte che annullando le proposte stesse diventano inaccettabili per la controparte. Il tutto solo per poter affermare che la Russia non vuole la pace e scaricare su di essa la responsabilità del fallimento.
Gioco terribilmente infantile che però funziona perché Trump ogni volta ritorna sui suoi passi e abbraccia la macabra linea degli europei e dell’Ucraina. In Alaska fu proprio Trump a proporre a Putin una soluzione. Putin si disse d’accordo sul considerarla un base per un futuro piano di pace e sollecitò la formalizzazione della proposta. Trump promise di darla, ma non è mai arrivata. Anzi di fronte alle rimostranze degli europei e della stessa Ucraina venivano introdotte nuove misure contro la Russia, sanzioni secondarie sugli importatori di petrolio russo e si avanzò l’idea di dare all’Ucraina i missili a lunga gittata Tomahawk. Una telefonata di Putin fece riflettere su questo e allora Kirill Dmitriev per conto russo e Steve Witkoff per conto Usa, s’incaricarono di fornire ulteriori dettagli. Ad esempio: per la Russia non è necessario e nemmeno opportuno cessare le operazioni militari prima di un accordo, la priorità è la normalizzazione delle relazioni fra Russia e Usa nella consapevolezza che solo tale presupposto può favorire la costruzione della sicurezza internazionale.
L’ancora di salvezza in extremis dell’Ucraina è la sopravvivenza dello Stato in una forma che garantisca la pace in Europa. Un altro dettaglio è la fretta di Trump di concludere o far saltare un accordo prima che la russofobia e l’eurofobia americane non lo scalzino dal potere. D’altronde i russi non hanno fretta di perdere a tavolino ciò che hanno guadagnato sul terreno. Gli americani non hanno bisogno dei pizzini russi per capire come sia la situazione in Ucraina. Da 11 anni la controllano accertandosi che i governanti facciano ciò che loro dicono e pagano; da 10 gestiscono la guerra per procura contro Mosca e da 3 anni dirigono anche le operazioni sul terreno. La sconfitta ucraina è in sostanza la loro sconfitta che Trump sta cercando disperatamente di scaricare sull’amministrazione Biden, pur sapendo che è di tutta l’America rappresentata da quanti hanno puntato solo sull’uso della forza per mantenere l’egemonia globale. È la politica americana degli ultimi trent’anni a esser sconfitta. E ciò né i Democratici né i Repubblicani son disposti a riconoscere qualunque cosa dica o faccia Trump.
L’Ucraina sta perdendo ogni giorno di più territori, risorse e motivazione, e non da ieri gli americani hanno iniziato la revisione dei conti e delle relative corruzioni: due anni fa la Cia presentò a Zelensky una lista di 33 politici e funzionari statali da rimuovere perché corrotti. Lui ne rimosse solo 11, lasciando che gli altri facessero anche peggio perché incoraggiati dalla copertura e perché conoscevano anche il coinvolgimento dello stesso presidente nei loro affari. Oggi sono sempre gli stessi americani e l’Fbi a sostenere il lavoro del Nabu (il Bureau anti-corruzione) e il Sapo (la Procura anti-corruzione) che lo stesso Zelensky ha cercato più volte di chiudere. Con le ultime inchieste si sono dileguati altri oligarchi e ministri, ma il cerchio si stringe proprio attorno al presidente e lo stesso Yermak, suo stretto collaboratore, non vive notti serene. Eppure è lui che ancora rappresenta l’Ucraina ai colloqui con gli europei e detta loro le sue condizioni.
Da parte sua la Russia non si preoccupa molto delle posizioni altalenanti di Trump e nemmeno delle minacce e degli insulti europei. Qualche giorno fa al Consiglio di sicurezza russo che sollecitava una soluzione militare, Putin rispose che per quanto lo riguardava era d’accordo e avrebbe preferito la soluzione militare, ma aveva illustrato agli “alleati” dei Brics e altri il piano proposto da Trump in Alaska e aveva chiesto il loro parere. Essi avevano approvato l’approccio diplomatico sulla base di quella proposta. Ora, se il giochetto europeo riesce ancora una volta a far fallire i negoziati la Russia potrà dimostrare ai propri alleati che non è colpa sua. E avrà il loro consenso per passare all’opzione militare. Ma c’è di più: in pratica con tale consultazione Putin ha voluto dimostrare che la visione russa del futuro non è né unipolare né bipolare. È multilaterale ed è questa idea che tiene insieme i Brics e che alletta altri paesi a volerne far parte. Se la diplomazia fallisce, e le probabilità che ciò accada sono sempre più alte, la Russia si concentrerà sui risultati militari che, come in tutte le guerre, sono quelli che contano ai tavoli della pace prevalendo perfino sui tavoli del diritto internazionale. È una questione di giorni o al massimo qualche mese e l’Europa dovrà decidere se e come entrare in guerra contro la Russia. In tv giornalisti, politici e generali sostengono cose rassicuranti: la Russia è un nano economico e un bluff militare, rimane da spiegare perché sia una minaccia per l’intero continente. L’Europa oggi ha capacità militari in grado di far fuori per sempre la Russia, ma rimane da spiegare perché ci dobbiamo riarmare. L’Ucraina deve vincere, anche se per farlo dovrà perdere sovranità, persone e risorse. L’Europa deve aiutare l’Ucraina a difendersi, anche se si esclude che possa farcela mentre aumentano i dubbi che gli europei, dopo essersi dissanguati con i ricatti americani, abbiano ancora qualcosa da dare. Però bisogna fare in fretta perché il “nemico è alle porte”. Non avremo tempo per costruire i robot da mandare allo sfascio e allora dovranno partire le cartoline di mobilitazione per mandare uomini e donne al macello. Sperando che questa volta l’onore di morire in guerra non tocchi solo agli ignari ma anche ai figli e nipoti di quelli che la guerra l’hanno voluta e costruita con tanto impegno e chiacchiere.

