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L'emergenza è finita

di Adriano Segatori - 25/03/2015

Fonte: Italicum

 

 

Stiamo vivendo da decenni all’insegna dell’emergenza. Dalle inondazioni alle frane, dall’afa alla grandine, dalla criminalità all’influenza, in questo Paese disastrato, senza progetto né destino, ogni evento naturale è sempre stato vissuto ed interpretato all’insegna dell’allarme generalizzato.

Finalmente, un fenomeno non può più definirsi ‘emergenza’, essendo stato denunciato da tempo immemorabile, da altrettanto tempo minimizzato e affrontato con parametri irrealistici, e strutturato in termini di quotidiana abnormità: è l’invasione allogena.

Come la mafia è organica alla democrazia e fu partecipe antifascista alla costruzione di questa repubblica, così l’afflusso di clandestini sul suolo italiano è un dato storico ed etnico ormai assodato e non risolvibile, quanto meno con i mezzi e la mentalità imbelle di questo corrotto metodo di governo.

Il sistema politico che da quasi settant’anni si è impadronito con l’invasione dell’Italia non ha compreso la complessità del fenomeno ‘immigratorio’, e attraverso operazioni di vergognosa mistificazione linguistica e di manomissione delle coscienze ha negato la stessa realtà.

Quando i regimi comunisti sono caduti – non con la violenza di una coalizione armata, ma per un’implosione determinata dal capitale e dal fallimento interiore – sono arrivati i primi ‘profughi’ dalla Romania e dall’Albania. Sono arrivati quando i nuovi governanti – giustamente dal loro punto di vista – hanno spalancato le galere e hanno imbarcato i criminali per altri lidi (l’Italia) non volendo mantenere ulteriormente la feccia nella loro nazione di origine.

Prima ancora, i cinesi, ben ammaestrati sulla facilità di azione e di imprenditoria per gli stranieri nel nostro paese, hanno conquistato intere città, hanno preso possesso di grandi quartieri, hanno acquistato immobili e licenze, sfruttando gli stessi connazionali e sfuggendo alle maglie dei controlli e delle pressioni burocratiche che hanno invece operato in termini di strozzinaggio nei confronti delle economie e delle iniziative locali.

Poi sono arrivati i fenomeni della pseudo politica italiana. Servi da sempre dei ‘liberatori’, si sono aggregati al carro dei falsari della storia e della legalità, supportando le menzogne sulle armi di distruzione di massa nascoste da Saddam Hussein, sulle violenze liberticide e antidemocratiche di Muammar Gheddafi, sui fantasiosi genocidi con il gas ordinati da Bashar al-Assad. Hanno inneggiato – gli utili idioti della Cia e del Mossad, della finanza internazionale e del capitalismo usuraio – alle ‘primavere arabe’ e alle nuove democrazie, esaltando l’esportazione di questo già fallito e fallimentare metodo di governo europeo.

Risultato: eliminazione di due figure chiave per la tenuta della mentalità sanguinaria e tribale dell’Iraq e della Libia; messa in difficoltà del legittimo governo della Siria; costruzione a tavolino delle varie organizzazioni da Al-Qaida e l’Isis.

Chiunque si addentri nel web può trovare vergognose manifestazioni di extracomunitari supportate e condivise da una sinistra senza orrore di se stessa – per rubare le parole del grande Petrolini. Da un lato, una sinistra alla ricerca disperata di un nuovo proletariato da buttare sulle piazze o da mettere in fila per votare a sconclusionate e truffaldine primarie. Dall’altro, un’accozzaglia di neri che ulula contro il razzismo e il fascismo, ovviamente indottrinata dai tragici figuri di cui sopra.

A corollario di tutto, gli intellettuali della bontà e della comprensione che denunciano il fittizio scontro tra civiltà. Fittizio perché gli altri – i clandestini, gli invasori, i nuovi barbari – non sono portatori di alcuna cultura. Noi siamo stati i costruttori della civiltà, mentre gli altri vivono ancora di parassitismo e di fatalismo naturale.

Dentro questo quadro desolante di mistificazione prima di tutto semantica – Confucio diceva che il cambiamento interiore comincia prima di tutto dal linguaggio – dove il clandestino diventa migrante, un’invasione diventa un fenomeno migratorio, dove di fronte ad una dichiarazione di guerra si invocano le vie diplomatiche, dove pace e accoglienza diventano sottomissione alla prepotenza altrui, l’unica cosa che risulta evidente è la vigliaccheria del potere politico.

Éric Zemmour, nel suo pamphlet Sii sottomesso, centra perfettamente il valore simbolico di questo comportamento. L’uomo europeo si è femminilizzato. Dopo il frustrato tentativo delle donne di diventare uguali agli uomini contravvenendo alle stesse leggi della natura, gli uomini hanno pensato bene di forzare loro queste leggi e di assomigliare sempre più alle donne. Dalla cosmesi al vestiario, dall’andatura alla gestualità, l’uomo si è svirilizzato, ma soprattutto ha codardizzato la sua mentalità: <<Abbiamo rifiutato la soluzione da uomini, quella che respinge chiunque venga percepito, anche inconsciamente, come rivale nella competizione per la conquista della donna. Abbiamo preferito la dolcezza di una di una soluzione femminile, l’accoglienza, l’integrazione>>. E a proposito dello spirito con il quale gli allogeni entrano nei nostri paesi, Zemmour inquadra con profondità psicologica il loro atteggiamento, e noi possiamo benissimo sostituire la Francia con l’Italia che le modalità non cambiano: <<Vogliono fottersi la Francia. La Francia questa troia, questa puttana. Bruciano, distruggono, sacrificano i simboli della sua dolce protezione materna. Respingono a sassate gli unici uomini che gli vengono mandati contro per difenderla: i poliziotti. Gli odiati sbirri. È uno scontro in cui è in gioco il predominio virile. Uno scontro che, con ogni probabilità, abbiamo già perso>>.

Il Papa non è il leggendario pontefice Leone Magno che nel 452 andò incontro ad  Attila, re degli Unni, presso il Mincio bloccando il suo ingresso in Italia, né si vedono condottieri come Carlo Martello che, con i suoi Franchi armati di ascia bipenne, fermò l’invasione arabo-islamica a Poitiers nel 732.

Il tempo odierno offre spettacoli sordidi di complicità e di stupida cecità. È il tempo della più becera bontà, del più laido servilismo, della peggiore resa al pacifismo.

Se dovessimo basarci sul principio di autorità, dovremmo convenire che questa non appartiene più all’Europa, ridotta a ricettacolo della feccia mediterranea. L’autorità, purtroppo, appartiene ai popoli che credono, che osano e che sognano. Essa appartiene alle tribù islamiche che hanno fatto della religione una politica che supera i criteri di vita e di morte, che hanno individuato un nemico e lo combattono perseguendo un loro sacro destino. Quelle tribù che non sono corrotte dal buonismo ipocrita, dal viscidume diplomatico e dalla vocazione alla tolleranza, ma che sono determinate alla conquista e alla vittoria, senza inutili sbavamenti dialettici ed esasperanti mediazioni. Sono quelle tribù che rifiutano ogni forma di programmazione e di concertazione, ma che sono disposte a tutto purché il sogno si concretizzi in realtà.

Una battaglia probabilmente persa, afferma Zemmour, e noi condividiamo, perché ormai corrotti nello spirito grazie a decenni di monetizzazione di ogni valore e di deterioramento di ogni orgoglio e della minima dignità.

Una battaglia che probabilmente perderemo non in uno scenario di epocale tragedia, ma in una miserevole sceneggiata di immorale e farsesca vergogna.