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L’autoritarismo renziano e l’omertà “democratica”

di Francesco Colaci - 28/09/2015

Fonte: L'intellettuale dissidente


Matteo Renzi, insieme alla personale schiera di deputati e seguaci di partito, sottopone numerosi decreti a un’approvazione che si può considerare unilaterale, poiché le opposizioni sono state annichilite da una legge elettorale che attribuisce poteri decisionali quasi illimitati alla maggioranza.

  


Prosegue il piano di restaurazione neo-aristocratica e i piani di manipolazione giuridica nei confronti della Costituzione. L’opposizione è debole, quasi complice di un tacito abuso di potere.

E’ possibile definire democratico un paese in cui il parlamento e la rappresentanza siano stati del tutto privati di significato, ma soprattutto nel quale la cittadinanza politica ha perso ragion d’esistere? La risposta è talmente ovvia da generare indifferenza, poiché soltanto in questo stato di cose è possibile trasformare una repubblica in oligarchia. Un tentativo di minare il funzionamento istituzionale è già avvenuto negli anni ‘90, con la tanto discussa loggia P2, la quale si prefiggeva l’obiettivo di instaurare, sull’italico suolo, un sistema di potere improntato all’autoritarismo presidenziale e l’egemonia delle èlite finanziarie, nel quale politica e mass media potessero agire scevri da eventuali ostacoli, in maniera tale da condizionare l’opinione pubblica attraverso il pensiero unico e un conformismo politico dottrinale. Ciò che impedì la realizzazione di un simile disegno fu l’autorevolezza del sistema giudiziario italiano, che smascherò gli affiliati alla deviata loggia massonica di Licio Gelli, i quali avevano già conquistato capillarmente settori considerevoli dell’economia e della politica italiana. E’ anche vero che fra questi vi fosse il futuro presidente del governo S. B., il quale certamente si dimostrò favorevole all’attuazione di questo progetto, non portandolo tuttavia a compimento e “accontentandosi” in ogni caso di una parte abbastanza importante del mercato della comunicazione.

Si tratta di vicende o situazioni ormai considerate lontane, il cui cattivo odore, tuttavia, aleggia attualmente fra le aule di Montecitorio. Quel progetto, quel demone morto e sepolto, sembra essersi reincarnato nei nuovi propositi dell’attuale governo, il quale non esita ad attuare riforme anticostituzionali, come se il tempo si fosse fermato ai tempi dell’approvazione per decreto reale. Il Parlamento, infatti, non si è fermato neanche dinanzi alla delegittimazione operata della sentenza della Corte Costituzionale n.1 del 2014, che vietava l’attribuzione di poteri padronali al Presidente del Consiglio e il costituirsi, di fatto, di un monocameralismo. Matteo Renzi, insieme alla personale schiera di deputati e seguaci di partito, sottopone numerosi decreti a un’approvazione che si può considerare unilaterale, poiché le opposizioni sono state annichilite da una legge elettorale che attribuisce poteri decisionali quasi illimitati alla maggioranza. La soglia di sbarramento per le liste singole ha avuto un innalzamento dal precedente 4% all’8%, mentre la somma dei voti delle liste di coalizione dovrà raggiungere il 12 % e una lista interna a una coalizione il 4,5 %. Strategie volte, insomma, a eliminare qualsiasi eventuale rinascita di un’opposizone forte e l’ascesa di nuove forze politiche che possano attuare programmi differenti o “pericolosi” rispetto a ciò che i governi dell’aristocrazia liberale pro-Bruxelles propugnano. Vengono dunque esclusi dal panorama istituzionale italiano gli anti-atlantisti o gli anti-europeisti, o qualsiasi sorta di formazione “estremista” che possa mettere in discussione il sistema economico egemone.

Ci si domanda a questo punto come reagiscano, invece, le opposizioni parlamentari per impedire tutto ciò. Si può innanzitutto affermare che le aree “ribelli” del Partito Democratico siano inclini alla teatralità, allo spettacolo della lotta interna nel momento delle proposte di legge, la quale si conclude non soltanto con un esito sfavorevole per i sedicenti democratici rivoltosi, ma misteriosamente questi ultimi arrivano ad approvare addirittura ciò che inizialmente era oggetto di contestazione. Si guardi, per esempio, ai Cuperliani all’approvazione della “Buona Scuola”. Un polverone di polemiche è culminato nell’assenso finale all’emanazione della riforma. Matteo Renzi esercita dunque un controllo totale anche sulle minoranze interne al partito, fiaccando la resistenza di eventuali divergenze d’opinione. Come egli stesso ha affermato “Nessun passo indietro nelle riforme”, e, in effetti, alcun passo indietro è stato fatto. Il Movimento 5 Stelle o Sel, considerate le opposizioni più forti, sono in ogni caso rese inoffensive dalla maggioranza schiacciante del PD, sebbene non vi sia da discutere sul fatto che i grillini abbiano dimostrato una forte resistenza e capacità critica nell’arco delle recenti sedute parlamentari.
Se il popolo italiano ha avuto modo di assistere, impotente, all’abolizione dell’articolo 18, a una legge elettorale contraria ai propri interessi, ma soprattutto all’ennesima riforma destabilizzante per la scuola, è giunta l’ora dell’approvazione del TTIP, trattato il cui fine è quello di liberalizzare il commercio dell’intera area atlantica (soprattutto nell’ambito del settore alimentare), favorendo la concorrenza delle grande multinazionali e danneggiando così le micro-economie fondate sui prodotti agricoli, le quali costituiscono uno degli assi portanti della struttura economica italiana.

Si spera che le opposizioni siano in grado di fronteggiare almeno questo disegno di legge, dal momento che ciò rappresenterebbe l’ennesima sconfitta per la democrazia, l’ennesima vittoria del conservatorismo politico e sociale.