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Da Aristotele a Deneault: la medietà che diventa il sigillo dei falliti

di Annalisa Terranova - 03/02/2017

Da Aristotele a Deneault: la medietà che diventa il sigillo dei falliti

Fonte: Lettera43

Nell’Etica di Aristotele la medietà è sinonimo di virtù: l’eccesso costituisce un errore e il difetto è biasimato, invece il giusto mezzo è lodato. «La virtù quindi è una certa medietà». Quello aristotelico era però l’uomo misurato e dunque saggio. La sua phronesis, il tenersi lontano dagli estremi delle passioni, lo rendevano un modello per l’etica antica.

METAFORA DEL POST MODERNO. Com’è potuto accadere, allora, che la medietà si sia trasformata in mediocrità, divenendo la cifra di una società senza più modelli? E, ancora, la mediocrità è una categoria antropologica o sociologica? Nel suo fortunato libro La mediocrità (edito ora in Italia da Neri Pozza) Alain Deneault ne fa la metafora del post moderno. Il concetto chiave che, come direbbe il filosofo Thomas Kuhn, dà l’impronta al nostro modo di conoscere. Il paradigma, dunque.

DIVERSE TIPOLOGIE UMANE. Deneault osserva come la mediocrità plasmi le tipologie umane: dal “derelitto” che si sottrae al potere costituito al “mediocre per difetto”, che finge di essere felice nell’adesione alle pratiche del tempo e alle chiacchiere che gli propinano. Dal “mediocre zelante”, maneggione e maestro del compromesso, al “mediocre suo malgrado”, che comprende la perversità dei meccanismi sociali ai quali però non può sottrarsi perché “tiene famiglia”. Salendo in questa scala dal basso verso l’alto troviamo al quinto e ultimo posto i fustigatori della mediocrazia, i “maledetti”. Ci salveranno dunque gli emarginati e i contestatori? Una visione un po’ troppo romantica, anche se non priva di fascino.

Se oggi non distinguiamo più sinistra e destra è perché la mediocrità produce una corsa all’estremo centro che snatura le appartenenze

Di sicuro è però interessante questa interpretazione applicata alla politica, che conduce al superamento dell’antica separazione tra destra e sinistra. In pratica, se oggi non riusciamo più a distinguere tra coloro che sono di sinistra e coloro che sono di destra è perché la mediocrità produce una corsa al centro, anzi all’estremo centro, che snatura le appartenenze di un tempo.

QUELLI LIBERALI, MA DI SINISTRA. Basta osservare le caratteristiche di coloro che si definiscono «liberali, ma di sinistra». Chi sono? Quelli che praticano «una militanza del tipo: possedere un’auto, ma piccola; bere latte di mucca, ma di una mucca felice; cedere al consumismo, ma equo e solidale; applicare le teorie del management, ma con uno stampo conviviale; vendere con atteggiamento aggressivo la merce, ma che sia merce di prestigio; prendere l’aereo, ma forniti di carbon credits; votare per un partito capitalista, ma liberal».

IL PESSIMISMO DEI POPULISTI. Nulla rimane in loro dell’identità di sinistra, una vuota etichetta per giustificare il loro conformismo, parente stretto della mediocrità. E a destra? Anche su questo versante abbiamo i liberali di destra, e poi i populismi, che pensano di ribaltare il tavolo sottraendosi al linguaggio della mediocrità ma scegliendo tonalità feroci, brutali, aggressive e sbandierando un pessimismo che non aiuta la rigenerazione della politica.

Il mediocre riconosce l’altro mediocre e stabilisce con esso una sorta di patto sociale infrangibile

Il mediocre riconosce l’altro mediocre e stabilisce con esso una sorta di patto sociale infrangibile. Si sta dentro il meccanismo tutti insieme dando agli altri l’illusione di poter scegliere ma di fatto sottoponendoli alla dittatura della mediocrità. «Tra i sintomi riscontrabili oggigiorno: un politico che spiega ai suoi elettori il dovere di sottostare al volere degli azionisti di Wall Street; un professore che giudica "troppo teorico e troppo scientifico" il lavoro di uno studente che, presentato con PowerPoint, va oltre le premesse sollevate; una produttrice cinematografica che insiste perché una celebrità "dia lustro" a un documentario con il quale non c’entra nulla; un esperto che snocciola dati sull’irragionevole crescita economica al fine di posizionarsi dalla parte della "razionalità"».

ASSOPIMENTO DEL PENSIERO. Ma il meccanismo, spingendo verso “un assopimento del pensiero”, rischia di compromettere definitivamente ciò che da sempre sta alla base di un soddisfacente vivere civile, cioè la creatività intellettuale. Qui, il j’accuse di Deneault diviene pungente e difficilmente contestabile: i docenti universitari «se ne stanno fuori dal mondo, specialisti in campi minuscoli ed estremamente marginali, incapaci di coscienza critica, fagocitati da tattiche per l’avanzamento di carriera e chiusi dentro un’appartenenza collegiale che ha le caratteristiche di una tribù». Rieccola, la Casta, a presidio di un’università ridotta a componente del dispositivo economico e ideologico.

ECONOMIA, QUADRO DRAMMATICO. Se volgiamo lo sguardo all’economia, l’analisi si fa drammatica. Il meccanismo in questo caso è fuori controllo, anche per gli analisti finanziari. «Molto semplicemente, il "mercato" non è più un soggetto sociale. La razionalità economica dipende ormai da programmi informatici che gli esperti gettano nella mischia, senza sapere esattamente cosa avverrà delle migliaia di miliardi che mettono quotidianamente in gioco. Questi dispositivi giocano dunque in Borsa i soldi dei piccoli risparmiatori, i debiti pubblici degli Stati e il valore delle monete colpendone in maniera sensibile il corso, a partire dal quale le agenzie di rating attribuiscono poi valutazioni cruciali alle istituzioni presenti sui mercati».

Il portato esistenziale più grave della mediocrità è uno stato d’animo rassegnato, disincantato, assente e succube

Per questa ragione siamo tutti, dinanzi al mercato imprevedibile e ai suoi capricci, come il personaggio di Kafka che afferma: «Mi dà l’impressione di qualcosa di difficile che io non capisco, è vero, ma che non si è nemmeno costretti a capire».

LA GRAVITÀ DELLA RASSEGNAZIONE. E qui si tocca un tasto chiave: il non essere costretti a capire, quindi la rassegnazione. Deneault non lo scrive nel suo libro ma il portato esistenziale più grave della mediocrità da lui denunciata è esattamente uno stato d’animo rassegnato, disincantato, assente, e in definitiva succube. Non si può porre rimedio a questa condizione confidando in un ribellismo individuale né rifugiandosi nell’arte capace di produrre choc collettivi (come sembra voler suggerire Deneault).

CI SALVERANNO LE BUONE LEGGI? Riavvolgiamo il filo e torniamo ad Aristotele: sono le buone leggi a fare il “cittadino virtuoso”. Gli intellettuali hanno il dovere della denuncia per procurare quella katharsis che renderà uomini e donne più consapevoli e quindi più capaci nella scelta delle classi dirigenti. Questa è l’unica strada percorribile. Le altre sono tutte gravate da una sociologia disperata e disperante che, in fondo, non fa che aiutare il dominio dei mediocri.