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L’Europa delle banche: una oligarchia finanziaria contro i popoli

di Luigi Tedeschi - 16/07/2017

L’Europa delle banche: una oligarchia finanziaria contro i popoli

Fonte: Italicum

 

 

I leaders artificiali dell’Europa oligarchica
L’Europa attuale è simile ad una fortezza. Data la sempre più evidente conflittualità tra gli stati, la Brexit, le crescenti diseguaglianze, lo sfaldamento progressivo degli equilibri sociali, il potere tecnocratico – finanziario europeo ha eretto a sua difesa una fortezza istituzionale in cui l’oligarchia possa esercitare il proprio potere assoluto, che è tale, in quanto indipendente dalla volontà degli stati e dei popoli.
Ed è in questa logica di potere finanziario incontrastato, che costituisce il fondamento del governo oligarchico europeo, che va interpretata l’irresistibile ascesa di Macron, un fenomeno virtuale – mediatico perfettamente compatibile con i governi di unità nazionale della Germania e di altri paesi UE. Infatti in Francia è stato creato dal nulla un partito artificiale con un leader non politico, ma noto esponente del mondo finanziario, che ha ottenuto una maggioranza parlamentare bulgara. Macron non ha fondato una nuova forza politica alternativa agli schieramenti tradizionali di destra e sinistra, ma ha solo assorbito i consensi dai vecchi partiti ormai screditati e privi degli originari contenuti identitari. Macron è il leader di una Francia in cui domina l’astensione, che rappresenta, con la percentuale del 57%, la maggioranza assoluta del corpo elettorale. In conclusione la travolgente vittoria di Macron si traduce in una percentuale rappresentativa degli elettori francesi poco al di sopra del 21%.


L’astensione, sempre più diffusa anche in Italia, esprime certo il distacco e l’avversione dei popoli nei confronti di un sistema politico da cui non si sentono rappresentati, ma in tale fenomeno, si manifesta anche l’assenza di forme di opposizione in grado di interpretare le idee e le istanze politiche delle masse economicamente e politicamente condannate alla emarginazione sociale. In realtà con l’avvento della UE e la devoluzione ad essa di larga parte della sovranità degli stati, si è instaurato quel sistema oligarchico delle élites finanziarie privo di legittimazione democratica che esercita una materiale sovranità sui popoli. La sovranità europea prescinde dal consenso popolare e dagli orientamenti degli stessi governi nazionali: la politica fa parte di un retaggio ideologico novecentesco, ormai soppiantato dal governo globalista europeo.
Partiti artificiali, fondati sul personalismo mediatico di leaders virtuali, governi di unità nazionale sempre più diffusi, sono chiare manifestazioni del tramonto di una dialettica democratica basata sul confronto – scontro tra proposte politiche ed ideologiche contrapposte. Questo processo di omologazione della politica al governo finanziario – oligarchico dell’Europa, va di pari passo con le riforme strutturali che progressivamente, emarginando il ruolo dello stato, impongono, in maniera sempre più accentuata, la società dell’individualismo assoluto, con relative liberalizzazioni e privatizzazioni nell’economia, nei servizi sociali, nella giustizia, nella cultura, nei costumi. E tale processo avanza quasi incontrastato, nonostante le diffuse critiche all’Europa germanocentrica, circa l’assenza di solidarietà europea, le prevaricazioni continue degli stati dominanti, la disgregazione sociale devastante in tutta l’Europa.

 

Il governo occulto (ma non troppo) della Troika in Italia

 

Identici fenomeni si registrano nella politica italiana. Si pensi alla legge elettorale: è bastato il niet del presidente – ombra Napolitano (che già impose il governo Monti in Italia su pressioni della Troika), su di una riforma elettorale ispirata al modello tedesco, che godeva in sede parlamentare di un consenso ultra – maggioritario. Tale legge, a causa di un ridicolo emendamento sul voto nel Sud Tirol è naufragata in un giorno! E’ certo che si sarebbe votato in autunno, ma in ottobre deve essere varata una legge di stabilità “lacrime e sangue” imposta dalla UE e l’esito delle eventuali elezioni si presentava incerto. Quindi il panorama politico italiano non offriva garanzie sufficienti per l’oligarchia della UE, che invece richiede governi subalterni alla eurocrazia e quindi sottratti al consenso del popolo, la cui volontà è verosimilmente difforme rispetto alle manovre finanziarie liberiste, corredate immancabilmente di macelleria sociale.

 

L’urgenza di una legge di stabilità “lacrime e sangue”, viene millantata paventando mali peggiori, quali l’applicazione delle clausole di salvaguardia (aumenti dell’IVA ecc…), atte a riportare il deficit ed il debito entro i parametri europei. Viene inoltre evocato lo spettro dell’avvento della Troika, che prefigura un futuro destino italiano simile alla Grecia. In politica si paventano sempre mali futuri onde occultare quelli presenti. Infatti la Troika, sotto le mentite spoglie dei governi italiani non eletti degli ultimi sette anni, è già attiva ed operante, visto il susseguirsi di manovre deflattive antisociali e l’accrescersi costante della pressione fiscale. Il risultato dell’austerity imposta all’Italia è evidente: aumento del debito, disoccupazione, impoverimento generale del paese. Possono cambiare i leaders, ma il governo della Troika rimane immutato. In Italia il governo Monti non è mai stato nei fatti dimissionato.
Si continueranno quindi ad elaborare artificiosi progetti legislativi circa una possibile legge elettorale che garantisca maggioranze compatibili con i poteri forti della UE, con la Merkel e Macron. Verranno varate ulteriori leggi impopolari in attuazione del processo riformatore imposto dall’Europa. Riforme dissolutorie dello stato in cambio di qualche elemosina di punto di flessibilità nei conti pubblici: questa è la filosofia dominante dei governi succedutisi in Italia da oltre 20 anni.

 

Con la crisi migratoria in atto, e con una Italia rimasta isolata e costantemente umiliata in Europa, il governo vuole imporre la legge dello jus soli, millantata come una norma di civiltà. Tale riforma comporterebbe l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di 800/900.000 immigrati extracomunitari, che con ogni probabilità (dato che gli immigrati non voterebbero certo per Salvini), costituirebbero un bacino elettorale garantito per un PD in crisi di consensi.

 

Quanto più aumenta il disagio sociale degli italiani dinanzi ai flussi migratori, tanto più il governo, i media, la Chiesa, la cultura ufficiale, proclama la necessità votale dell’immigrazione per l’Italia, data la natalità in declino e la mancata copertura delle pensioni per i giovani. L’immigrazione incontrollata è un fenomeno derivante dalla globalizzazione, quale conseguenza della libera circolazione degli individui e dei capitali.

 

Essa costituisce per il capitalismo una inesauribile fonte di manodopera a basso costo e priva di protezione sociale e ha favorito la mafia degli scafisti. Poiché i migranti difficilmente svolgono la loro intera vita lavorativa stabilmente in uno stesso stato, larga parte di essi non riuscirebbero a maturare il diritto alla pensione. Pertanto l’INPS (così come accade da decenni in Germania), avrebbe la possibilità di risanare i propri bilanci, incassando per decenni enormi flussi contributi previdenziali, senza poi erogare le relative prestazioni pensionistiche.

 

La presenza dei migranti viene considerata indispensabile per l’economia italiana, ma non si considerano le ingenti risorse umane inutilizzate del paese, dovute alla disoccupazione giovanile a livelli record, che peraltro ha comportato negli ultimi anni l’esodo dall’Italia di circa 500.000 lavoratori.

 

Uno stato succube del sistema bancario

 

L’Europa è un sistema bancocentrico, teso alla autoreferente salvezza e sopravvivenza di sé stesso. In questa luce possono essere interpretati i salvataggi bancari effettuati in Italia. Per le banche venete, dopo anni perduti in diatribe governative, che hanno avuto solo l’effetto di incrementarne il default, non è stato possibile procedere alla ricapitalizzazione precauzionale come nel caso di MPS, per la mancata adesione di investitori privati. Si è dato luogo quindi alla liquidazione coatta amministrativa con relativo intervento dello stato, onde evitarne il fallimento. Inutile soffermarsi sulla retorica di regime che ha accompagnato il salvataggio statale millantando nobili cause quali la salvaguardia della “stabilità finanziaria” e il pericolo di “crisi sistemiche”.

 

Le banche venete sono state cedute ad Intesa San Paolo per la cifra simbolica di 1 euro. Intesa ne ha acquisito però le sole attività valutate per 50 miliardi, in crediti (in bonis), depositi diretti ed indiretti, obbligazioni ed altre attività, oltre ad un patrimonio immobiliare valutato in bilancio (il valore di mercato è di certo assai superiore), per 500 milioni. Intesa non ha dunque acquisito i crediti deteriorati o inesigibili, che ammontano a quasi 20 miliardi, i quali verranno devoluti ad una “bad bank” a carico dello stato. Inoltre, lo stato ha dovuto erogare 5,2 miliardi, di cui 3,5 per cassa, per la sottoscrizione della quota capitale di Intesa ed 1,3 per la gestione degli esuberi. Lo stato dovrà garantire Intesa per 12 miliardi, qualora i crediti acquisiti dalle banche venete si rivelassero un domani incagliati o inesigibili. In tal caso tali crediti deteriorati non verrebbero coperti dalle garanzie statali, ma ceduti alla “bad bank” pubblica non per il loro valore effettivo (cioè ad un prezzo svalutato), ma al loro valore nominale.

 

Non è un mistero che tale cessione si sia rivelata una generosa donazione pubblica a Banca Intesa, la quale a fine giugno ha visto crescere il valore del proprio titolo in borsa del 3,52%, con una capitalizzazione di 1,5 miliardi che si tramuteranno quindi in ulteriori relativi dividendi per gli azionisti.

 

L’operazione Intesa è stata compiuta nel rispetto delle norme europee, ma innumerevoli sono le violazioni commesse per quanto concerne il diritto italiano. Con il decreto governativo è stato ripetutamente violato il codice civile, la legge fallimentare, la normativa Antitrust (Intesa esercita nel Veneto una posizione dominante), le norme energetiche e sugli abusi edilizi. Intesa ha quindi assunto una posizione dominante che di fatto ha esautorato il Parlamento. Nel contratto è prevista una clausola secondo cui, qualora nell’iter parlamentare il decreto subisse modifiche, si darebbe luogo alla risoluzione del contratto stesso. La subalternità dello stato al potere bancario è palese.

 

Il costo sociale delle crisi bancarie

 

Le banche venete verranno ristrutturate con relativi danni per dipendenti, correntisti, clienti e azionisti. I dipendenti in esubero delle banche venete assorbite da Intesa sono 3.874 e per la gestione di tali esuberi, lo stato ha erogato 1,3 miliardi a fondo perduto. Intesa si è riservata la facoltà di procedere ad ulteriori tagli del personale nei prossimi anni.

 

Analoga, ma più grave, è la situazione degli esuberi evidenziata nel piano di ristrutturazione di MPS. Tale banca, già oggetto di salvataggio pubblico per 20 miliardi, ha programmato il taglio del 30% delle filiali e di 5.500 dipendenti. La ristrutturazione di MPS comporterà un taglio di costi pari a 2,16 miliardi ed il ritorno ad un utile valutato per 1,2 miliardi nel 2021. Lo stato finanzia i costi dei default delle banche, perché queste ultime producano utili per i soci. I costi sociali di tali manovre, in termini di perdita di posti di lavoro sono assai gravosi per la collettività e nemmeno quantificabili per il prossimo futuro.

 

Tale operazione recherà certo pregiudizio agli imprenditori in una regione con un tessuto industriale assai esteso. Anziché disporre di tre linee di credito, potranno usufruire di una sola (Intesa), a condizioni non certo più favorevoli, date le condizioni di quasi monopolio assunte da Intesa sul territorio.
Secondo Luigi Zingales (Il Sole 24Ore – 25/06/2017), al danno dei risparmiatori truffati, farà però riscontro il profitto degli speculatori. Mentre per i risparmiatori sarà già molto se verranno rimborsati dei loro titoli, gli speculatori che hanno acquistato nel corso della crisi i titoli delle banche venete deprezzati fino al 70% del loro valore, verranno rimborsati per l’intero importo.

 

L’Europa devolve i rischi finanziari sugli stati e i cittadini

 

Le crisi bancarie europee non sono causate solo dalle cattive gestioni del management (che non è stato finora chiamato a rispondere del proprio operato, tra l’altro Zonin risulta nullatenente!), ma dalla normativa del bail – in, che si è dimostrata devastante per la tenuta del sistema bancario. Il bail – in, normativa secondo cui in caso di default bancario sono chiamati a rispondere azionisti, obbligazionisti subordinati, altri obbligazionisti e correntisti oltre i 100.000 euro, fu varata per impedire che i salvataggi bancari venissero effettuati a carico dello stato e quindi dei contribuenti. Il bail – in si è invece rivelata una normativa generatrice di crisi e nociva per la stabilità del sistema finanziario. Ondate speculative possono dar luogo a crisi del debito, produrre panico nei mercati finanziari, determinare svalutazioni improvvise, esporre a rischi sistemici il pubblico risparmio. Le ricorrenti crisi bancarie in Europa ne sono la dimostrazione.

 

E’ da rilevare la sciagurata ed improvvida mancata opposizione in Europa da parte del governo Renzi alla entrata in vigore di tale normativa dal 1° gennaio 2016. Il governo era consapevole dello stato di crisi di alcune banche italiane, ma soprattutto era a conoscenza del fatto che tali banche avevano venduto a piccoli risparmiatori inconsapevoli obbligazioni subordinate, titoli cioè che con l’entrata in vigore del bail – in diventavano titoli ad alta rischiosità.

 

L’Europa dunque, al di là delle sue normative, dà il proprio assenso ai salvataggi bancari statali, riversando sui contribuenti i costi delle crisi bancarie. L’Europa viene meno ai principi ispiratori della progettata unione bancaria: è chiara la volontà della Germania e dei paesi dominanti di non istituire un sistema unitario europeo di garanzia sui depositi, scaricando sulle economie e sulle finanze degli stati i costi e le responsabilità delle classi dirigenti nazionali ed europee. La normativa europea ha dunque generato la traslazione dei rischi finanziari: dal sistema finanziario alla collettività dei cittadini, con la chiara volontà degli stati dominanti di non essere coinvolti nelle crisi degli stati deboli.

 

Dalla vicenda delle banche venete emerge un ulteriore effetto perverso della globalizzazione: alla destrutturazione degli stati nazionali fa riscontro l’affermazione delle “piccole patrie”, dei poteri regionali, patrie fondate su interessi e privilegi locali, sorte dall’indebolimento dei poteri centrali le cui leggi sono largamente disattese. Infatti nel Veneto, tali banche avevano erogato finanziamenti a pioggia a favore delle classi politiche ed imprenditoriali locali senza adeguate garanzie, dirottando i risparmi dei cittadini inconsapevoli verso investimenti ad alto rischio. Esse subordinavano la concessione dei mutui all’acquisto delle proprie azioni, il cui valore risultava sopravvalutato, attraverso quotazioni artificiose effettuate nei marcati ristretti. Il tutto avvenne peraltro con la complicità degli organi di vigilanza: non è raro il caso di funzionari di Bnkitalia o statali poi divenuti consulenti delle banche controllate.

 

I guasti prodotti dalle normative europee sono evidenti e le conseguenze negative per l’economia e la società sono di pubblico dominio. L’Europa è un sistema oligarchico – bancocentrico autoreferente, chiuso in sé stesso, teso alla preservazione di sé stesso a discapito dei popoli. Il destino di questa Europa è quello di dibattersi in perenni crisi ricorrenti, nella incapacità congenita di qualunque riforma o trasformazione.

 

La UE, non è uno stato, ma una unione risultante dalla somma di tanti egoismi e prevaricazioni delle classi dominanti e pertanto è incapace di costituirsi come soggetto geopolitico autonomo, dato che sin dalla sua fondazione essa è stata concepita come entità subalterna alla Nato e agli USA.
L’Europa della UE, con il declino della potenza americana, è destinata a sfaldarsi perché non è in grado di sostenere il confronto con le potenze geopolitiche emergenti in un mondo multipolare. Sapranno i popoli europei sopravvivere ad essa?