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Il bacio della pantofola

di Fulvio Scaglione - 29/07/2025

Il bacio della pantofola

Fonte: Insideover

Ursula von der Leyen (a Donald Trump): “Non è possibile fare qualcosa di migliore del 15%?”
Trump: “Nel senso di inferiore?”
Von der Leyen: “Sì”
Trump: “No, non è possibile”.
Non ci sarebbe bisogno di scrivere molto altro per commentare la sostanza politica dell’accordo sui dazi siglato ieri, nel golf club privato di Donald Trump a Turnberry in Scozia (sarà una questione simbolica ma già la scelta della location dice molto), da Ursula von der Leyen, presidentessa della Commissione europea, e il presidente degli Stati Uniti. Ed è superfluo anche citare testate come il Financial Times (“L’Europa si è arresa”) o Politico (“Trump ha ottenuto quello che voleva”). È più interessante, invece, citare l’incredibile dichiarazione che la stessa Von der Leyen ha diffuso subito dopo la fatidica firma. Eccone l’incipit: “L’accordo di oggi crea certezza in tempi incerti. Offre stabilità e prevedibilità, per cittadini e imprese su entrambe le sponde dell’Atlantico. Si tratta di un accordo tra le due maggiori economie mondiali. Scambiamo 1,7 trilioni di dollari all’anno. Insieme siamo un mercato di 800 milioni di persone. E rappresentiamo quasi il 44% del PIL globale. A poche settimane dal vertice NATO, questo è il secondo tassello fondamentale, che riafferma il partenariato transatlantico”.
Se non fosse che ogni tanto va a sbattere il naso contro la reltà, la politica sarebbe davvero il regno del meraviglioso. D’altra parte il vecchio e astuto Kissinger l’aveva teorizzato ai tempi della guerra del Vietnam: quando sei nella cacca, dì che hai vinto e vieni via. E così cerca di fare la nostra Ursula dopo aver baciato la pantofola all’amico americano. L’ormai famoso accordo prevede a carico dell’Europa: dazi doganali al 15% rispetto al circa 3% medio di prima (ma per i metalli industriali, acciaio e alluminio in testa, la tariffa resta quella di prima, il 50%, cosa che ha fatto imbufalire gli industriali tedeschi); in più, la Ue si impegna a investire 600 miliardi di dollari negli Usa, ad acquistare risorse energetiche Usa (soprattutto gas naturale liquefatto) per 750 miliardi di dollari in tre anni a tranche di 250 miliardi l’anno e a comprare armi americane per centinaia di miliardi (la cifra esatta non è ancora stata specificata).
Nelle pieghe dell’accordo ci sono, ovviamente, le situazioni particolari e le condizioni di miglior favore. L’automotive europeo è contento perché, alla fin fine, incassa una riduzione del dazio all’esportazione negli Usa. L’agroalimentare per certi versi festeggia e per altri (il vino, per esempio) piange. Farmaci e chip sono in trepidante attesa, perché in questi settori Trump minaccia di introdurre da agosto tariffe progressivamente crescenti. Il tempo chiarirà il quadro. E gli economisti ci spiegheranno chi più ci guadagna e chi più ci rimette, se ad aprirsi di più sarà il portafogli dei produttori europei o quello dei consumatori americani.
A noi qui interessa un altro aspetto. Ovvero, la totale sudditanza (politica, appunto) dell’Unione Europea al grande fratello americano. Un accordo si può definire tale se è preceduto da una discussione. Ma qui di discussione se n’è vista zero: Trump ha annunciato e Von der Leyen ha detto sì. Stop. Ha voglia di scrivere “rappresentiamo il 44% del PIL globale”. Siamo un po’ più precisi: loro di Pil fanno quasi 28 mila miliardi, noi 17. Ma soprattutto comandano loro. Loro decidono e noi obbediamo. Se loro dicono salta, noi saltiamo. Quando la Von der Leyen scrive che questo accordo “crea certezza in tempi incerti”, allude all’unica vera certezza che si è costruita in questi anni: la totale subalternità dell’Europa agli Usa.
Ed è significativo che la Presidentessa della Commissione Europea citi come un’altra meraviglia l’accordo siglato al recente summit Nato, quello che ha stabilito per i Paesi membri la soglia minima del 5% per le spese per la Difesa. I Paesi europei già oggi riversano sugli Usa il 48% di ciò che investono per acquistare armamenti, cifra che ovviamente crescerà con il crescere degli investimenti, visto che l’industria degli armamenti europea ancora cerca freneticamente di mettersi al passo. In più, con l’Accordo di Turnberry, la Ue si impegna a comprare armi negli Usa. Pensate quanto ridono i produttori americani. E pensate quante fanfaluche ci siamo sentiti raccontare a proposito del famoso piano ReArm Europe, quello che doveva rendere l’Europa autonoma dall’ombrello militare americano. D’altra parte, il summit Nato cui si riferisce la Von der Leyen era stato introdotto dal famoso Sms del segretario generale della Nato Mark Rutte a Donald Trump, quello in cui si diceva: “L’Europa pagherà, e pagherà caro”. A questo serviamo. E non possiamo certo dire che non ci avessero avvertiti.
D’altra parte, nei decenni in cui gli Usa hanno fatto di tutto pur di ottenere il decoupling dell’Europa dalla Russia, e soprattutto dalle sue forniture energetiche, proprio a questo miravano: trasformare l’Europa in un eunuco politico e in una disciplinata gallina dalle uova d’oro. L’invasione putiniana dell’Ucraina ha offerto l’oro l’occasione perfetta. E i Von der Leyen di ogni Paese, per insipienza o complicità, ci sono cascati in pieno. Invece di fermare la Russia e la guerra il più  presto possibile, sono saltati sul carro Usa della “sconfitta sul campo” da infliggere a Mosca, senza capire che per gli Usa era un conflitto come tanti altri, combattuto in casa altrui, mentre per noi europei era la strada verso il futuro. E oggi ci ritroviamo con mezza Ucraina distrutta, l’economia europea in tilt e la Casa Bianca che ci fa girare intorno a dito a suo piacimento. Viene ormai da chiedersi se l’Unione Europea, il sogno che avevamo così lungamente cullato, riuscirà a sopravvivere a questa seconda presidenza.