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Addio al filosofo Alasdair MacIntyre, teorico del comunitarismo

di Simone Paliaga - 27/05/2025

Addio al filosofo Alasdair MacIntyre, teorico del comunitarismo

Fonte: Avvenire

“Stiamo aspettando: non Godot, ma un altro San Benedetto, senza dubbio molto diverso”. Sono le parole, risalenti al 1981, che concludono Dopo la virtù (Armando editore), l’opera più celebre di Alasdair MacIntyre, il filosofo spentosi l'altro ieri all’età di 96 anni. Non si tratta di un testo accademico. È piuttosto una sassata lanciata nel lago. La filosofia morale e politica, recuperando la tradizione delle virtù fino ad allora (e ancora oggi) messa sotto traccia dall’esaltazione dei diritti proposta dalla tradizione liberal, con MacIntyre recupera le energie per tornare a pensare l’uomo e la vita di là dalle astrazioni. Dopo la virtù apre una pista di riflessione per costruire un progetto alternativo sia alla modernità razionalistico-empirista d’impronta illuminista sia alla deriva nichilistica-libertaria della postmodernità. Senza nostalgie per il passato, contro conservatorismi e pensieri nostalgici, MacIntyre aspira “alla costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale possa essere sostenuta, in modo che sia la civiltà sia la morale abbiano la possibilità di sopravvivere all’epoca incipiente di barbarie e di oscurità”. Il filosofo scozzese, nell’ultimo scampolo del secolo scorso e dopo la pubblicazione di questo testo, incontra una grande notorietà nel mondo anglosassone e in parte pure in Italia. Ma la radicalità delle sue posizioni, l’opposizione al liberalismo trionfante e la critica ai professionisti della filosofia portano a un suo progressivo isolamento benché sia stato capace di toccare il nervo scoperto del vivere insieme e di evidenziare nell’individualismo, nell’emotivismo e astrazione etica i tre eleemtni che impediscono la costruzione di una comunità e la pratica delle virtù.
Nato nel 1929 a Glasgow, Alasdair MacIntyre studia alle università di Londra, Manchester e Oxford per poi dedicarsi all’insegnamento in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Dotato di una chiarezza esemplare nello stile e di una strategia di pensiero iconoclasta dinanzi ai dogmi utilitaristi dell’epoca, passa dalla fase marxista degli anni verdi, culminata nei testi su Marcuse e in Marxismo e cristianesimo (Nova Europa), alla successiva tradizione aristotelico-tomista. La svolta avviene, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, grazie al confronto con il lavoro di Elisabeth Anscombe, e sotto l’influsso delle opere del cardinale Newman e, in tarda età, del pensiero di Edith Stein, protagonista di una delle sue ultime monografie (Edizioni EDUSC). Non si tratta solo di passaggi intellettuali. Anglicano per nascita, dopo una fase atea, MacIntyre si converte al cattolicesimo attraverso la lettura di San Tommaso d’Aquino che, con Aristotele, gli fornisce pure l’armamentario per pensare la comunità tra uomini in epoca moerna e postmoderna, sottraendosi così all’individualismo e all’economicismo presenti nel pensiero di Marx.
Edificare la comunità ai tempi della tarda modernità non è facile. A renderlo complicato sarebbe quello che MacIntyre chiama emotivismo, vale a dire la convinzione che chiunque emetta un giudizio morale adombri, dietro una dichiarata verità generale, una preferenza personale. Qualsiasi considerazione morale diventa pertanto un’espressione consapevole o non riconosciuta di preferenze individuali. Esse però difettano di qualsiasi principio di valutazione razionale rendendo ardua la costruzione di un progetto di vita condiviso. Di questo il filosofo di Glasgow ne discute, nel 1988, nei due volumi di Giustizia e razionalità (Anabasi) in cui espone la sua concezione non universale sia della giustizia sia della razionalità. Una posizione testimoniata meglio dal titolo originale del lavoro, Whose Justice? Which Rationality?. Per il filosofo scozzese infatti non esiste una morale astratta e universale. Esistono costumi specifici e pratiche locali, entrambi iscritti in una tradizione, idea presa in esame nel 1993 in Enciclopedia, Genealogia, Tradizione. Tre Versioni Rivali di Ricerca Morale (Massimo Edizioni). Le pratiche locali non nascono dal nulla, dunque, ma si costruiscono per rispondere a particolari sfide sorte in contesti particolari. Accadde in passato, per esempio, con la moralità omerica, moralità stoica, moralità vittoriana e per molte altre. A caratterizzarle però, rispetto all’emotivismo è che ciascuna di esse prevede una concezione condivisa della virtù, del coraggio, della magnanimità.
Solo entro questo orizzonte condiviso può sorgere però quell’io narrativo che consente di porre a confronto e discutere le ragioni di una scelta, impossibili a pensarsi invece per un “io emotivista, che manca di qualsiasi criterio di valutazione razionale”. La pratica delle virtù di un io narrativo offre l’opportunità di uscire dal disordine morale dei tempi della tarda modernità e rende l’uomo capace di costruire una comunità edificata da quelle reti di dare e ricevere, che sono al cuore dell’ultima tappa condotta da Alasdair MacIntyre nella sua ricerca sulla comunità, Animali razionali dipendenti (Vita e Pensiero). L'ultimo suo titolo apparso in italiano è stato L’etica nei conflitti della modernità (Mimesis).