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Aldous Huxley: la droga come strumento di potere

di Sonia Milone - 16/09/2023

Aldous Huxley: la droga come strumento di potere

Fonte: Come Don Chisciotte

Introduzione a cura della Redazione

Lo scorso luglio il viceministro degli Esteri iraniano per gli Affari politici Ali Bagheri Kani denunciava pubblicamente l’Occidente e il suo braccio armato, la Nato. Riferendosi alla ventennale presenza dell’Alleanza Atlantica a Kabul, svelava non proprio un dettaglio ma forse la chiave del conflitto e dell’occupazione militare: in Afghanistan, la produzione di narcotici è aumentata di 45 volte dall’inizio della cosiddetta “guerra al terrorismo” post 11 settembre 2001.

Droga e guerra; droga e Superpotenze; droga e governi; droga e crimine organizzato; droga e affari; droga e consumo di massa; droga e società; droga e evasione; droga e stordimento; droga e relazioni; droga e dipendenza; droga e psiche. Come nasce la cultura della droga.

In poche parole: l’uso politico della droga.

E’ questo il tema che il Gruppo redazionale Società, Inchieste e Reportage di ComeDonChisciotte.org ha affrontato, indagato e analizzato attraverso una serie di articoli tematici e di approfondimento sul fenomeno “droga”, ormai più che diffuso e gravemente penetrato nella nostra società, già disgregata e largamente impoverita; in cui aumentano costantemente aree di marginalità, di degrado urbano e suburbano, tanto da risultare uno dei principali vettori politici del caos.

In un mondo sempre più coscritto da obblighi e sofferenze, mascherati da libertà e opportunità, è importante chiedersi perchè i governi ormai tollerino e – come vedremo in diverse forme e maniere – promuovano e permettano la diffusione della droga. E cosa essa comporti davvero alla comunità, alla persona, sia individualmente che nel suo rapportarsi agli altri.

Alla fine, l’unico che gode veramente, è il Potere.

Buona lettura.

Aldous Huxley: la droga come strumento di potere

L’uso politico della droga – Capitolo III 

Con la II Guerra Mondiale termina quella che si può definire “la fase romantica” della droga, in cui le sostanze maledette vengono vagheggiate dai poeti per spalancare ebbrezze e paradisi artificiali in cerca del sublime. Negli anni Cinquanta cambia completamente l’orizzonte culturale in cui la droga circola e, in letteratura, viene “distribuita” da autori che avranno un’enorme influenza sui movimenti di contestazione del ’68.

Da “Junkie” (1953) di William S. Burroughs a “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (1962) di Ken Kesey, da “A scuola dallo stregone” (1968) di Carlos Castaneda ad Allen Ginsberg e alla Beat Generation, sono tanti gli autori che esaltano le sostanze.

L’opera che, però, ha inciso più di ogni altra nello sdoganamento culturale delle droghe, un vero e proprio best sellers della letteratura drogata, è “Le porte della percezione” (1954) di Aldous Huxley. I Doors, ad esempio, prendono il nome da qui.

Huxley tematizza la droga in molti libri ma questo è il primo che scrive  dopo averla sperimentata personalmente – sotto l’osservazione dello psicologo Humphrey Osmond – diventandone uno dei più autorevoli propugnatori. A lui si deve anche il termine “psichedelico” che conia durante uno scambio epistolare con Osmond nel 1956 .

Per Huxley le virtù chimiche degli allucinogeni aprono le porte ad un più elevato livello della coscienza fino ad una sorta di esperienza misticheggiante che, da allora in poi, non ha smesso di magnificare le potenzialità beatificanti di queste sostanze. I paradisi artificiali di Baudelaire aspiravano alla trascendenza, ora si possono disegnare chimicamente nella rete neuronale: l’infinito è alla portata di tutti.

Il libro trasmette anche l’idea dell’artista come individuo naturalmente drogato: “Un visionario senza talento può percepire una realtà ulteriore non meno grande, bella e significativa del mondo visto da Blake; ma egli manca completamente delle capacità di esprimere, in simboli letterari o plastici, ciò che ha visto”, scrive, aprendo le porte degli stupefacenti a una massa di geni incompresi.

Tale visione benefica viene ribadita anche nel romanzo “L’isola” (1962) dove risiede una società utopica nata da una rivoluzione psichedelica guidata da uno scienziato europeo e da un santone buddista. Nell’Isola c’è il meglio dell’Occidente, la tecnologia, e il meglio dell’Oriente, la saggezza. L’ingresso in società avviene attraverso un rito di iniziazione che consiste nella somministrazione di un potente allucinogeno. La famiglia non esiste più, è stata sostituita dal “circolo di adozione reciproca”, mentre eugenetica e controllo delle nascite sono alla base dell’organizzazione.

La concezione della droga di Huxley emerge, però, con più chiarezza in ben altri libri. Nel saggio “Ritorno al mondo nuovo” (1958) scrive: “Noi disponiamo di droghe che tranquillizzano, che producono visioni, che stimolano, senza alcuna grave penalizzazione fisiologica”. Poi precisa: “Come tutte le scoperte potremmo usarle per il bene e per il male […], probabilmente, giacché la scienza è imparziale e olimpica, quelle droghe serviranno a fare schiavi e liberi, a sanare e a distruggere”.

Aldous sa che la scienza non è né imparziale né olimpica come ha appreso dal nonno Thomas, uno dei massimi esponenti del darwinismo sociale e, soprattutto, dal fratello Julian, influente scienziato a cui si deve il traghettamento dell’eugenetica dalla prima alla seconda metà del ‘900, riuscendo a oltrepassare persino lo scandalo di un olocausto. D’altronde, Julian, prima di diventare direttore dell’Unesco, aveva lavorato  a Tavistock, quel centro oscuro che unisce ricerche militari e studi psichiatrici dove erano iniziati i primi  esperimenti sulla droga come strumento di condizionamento mentale.

Lì vigeva la massima del direttore-generale John Rawlings Rees: “le guerre non si vincono uccidendo l’avversario, ma minando e distruggendo il suo morale e conservando il proprio”. La guerra da vincere per i fratelli Huxley è, soprattutto, quella per la manipolazione occulta delle masse finalizzata alla creazione di un nuovo modello sociale e all’affermazione di poteri tecnocratici sovranazionali così come erano stati elaborati nei circoli delle élites inglesi fin dall”800.

Di tutto ciò Aldous offre un resoconto lucido e preciso, sebbene mascherato sotto le sembianze di finzione narrativa, ne “Il mondo nuovo” (1932), in cui compaiono, per la prima volta, anche gli stupefacenti.

Lungi dall’aprire fantomatiche dilatazioni della coscienza, nel romanzo, la droga viene usata politicamente per annichilirla e impedire, così, la ribellione del popolo. Il libro descrive, infatti, una società futura dominata da una dittatura sanitaria totalitaria che è, al contempo, repressiva e tollerante. La privazione di qualsiasi forma di libertà viene, infatti, anestetizzata grazie alla droga, al consumismo, all’edonismo e alla tecnologia. Nulla è lasciato all’ iniziativa del singolo, tutto è rigorosamente programmato ma appare agli occhi degli individui frutto della loro volontà.

Nel nuovo mondo il sesso è libero, si mastica “gomma agli ormoni” per essere sempre desideranti e si assumono quotidianamente psicofarmaci e psicotropi (come il “soma” dai forti tratti psichedelici) per controllare l’umore e i sentimenti.

A fondamento della società c’è la manipolazione eugenetica che forgia chimicamente i tipi caratteriali fin dalla coltura in vitro degli embrioni. La procreazione è, infatti, esclusivamente artificiale, le parole madre e padre sono proibite. E siamo nel 1932!

Lo scrittore immagina, quindi, un futuro dominato da un rigido determinismo biotecnologico che assoggetta non solo il corpo ma anche il pensiero e la morale. La droga viene distribuita dallo Stato  affinchè ognuno stia pacificamente al suo posto e il potere medico venga mantenuto. Ventisei anni dopo, Huxley tornerà a riflettere su questo libro definendo, non a caso, la droga “la religione dei popoli” in cui ribalta la famosa massima di Marx. (1)

Come nessun altro Aldous ha saputo prefigurare che il potere nel futuro sarà manipolativo, seduttivo e sedativo piuttosto che punitivo e coercitivo,  come è invece in “1984” di George Orwell, l’altro grande romanzo distopico del secolo. Scrive, infatti: “Entro la prossima generazione sono persuaso che i leader mondiali scopriranno che il condizionamento infantile e la narcoipnosi sono strumenti di governo più efficienti del pugno di ferro e delle prigioni”.

Se Huxley è il primo autore a descrivere l’uso politico della droga non è per particolari doti immaginative ma per l’influenza del fratello Julian che in quegli stessi anni è a Tavistock dove vengono compiuti studi sulla manipolazione occulta delle masse.

Ingenuamente la critica si affanna a scrivere che la visione cinica della droga presente ne “Il mondo nuovo” sia dovuta al fatto che non ha ancora sperimentato l’Lsd. Prova ne è che in “Ritorno al mondo nuovo” non fa alcun passo indietro rispetto al primo testo. Che significato hanno, allora, i romanzi degli anni Sessanta che magnificano gli psicotropi investendoli di virtù sapienziali che promettono la diffusione di massa dell’estasi?  Ingegneria sociale architettata linguisticamente.

Aldous inaugura il decennio psichedelico irrorando l’Lsd nelle principali arterie culturali americane, proprio mentre la CIA inizia a cospargerne le strade. I movimenti giovanili erano nati spontaneamente e crescevano; andavano fermati portandoli nel vicolo cieco della droga. La soluzione verrà adottata anche in Italia dove avrà un ruolo di primo piano Ronald Stark, uomo dei servizi segreti, amico di Tymothy Leary che era il principale compagno di viaggio di Aldous per la Rivoluzione psichedelica in atto. (2)

Huxley è l’anello di congiunzione tra tutti i mentori dell’ Lsd, dai carismatici intellettuali che ne profetizzano la massima propagazione fino agli incantatori di serpenti come Leary, professore di Harvard, che sogna una palingenesi sociale a base di acido lisergico sostenendo la natura antiautoritaria di queste sostanze. Una visione che influenzerà anche il pacifismo chimicamente indotto degli hippie. Leary sperimenta lo psicotropo sia su pazienti schizofrenici sia sui detenuti della prigione di Concord per raddrizzarne la personalità facendo tabula rasa del vecchio io.

Il romanzo di Huxley del 1932 pare anticipare anche le teorie sociologiche della Scuola di Francoforte. Con il ‘68 si afferma il totalitarismo del relativismo, il diritto ad avere diritti senza limiti alla libertà personale: vietato vietare. Ma dietro il fenomeno dei movimenti di contestazione giovanile c’è l’influenza culturale esercitata dalla Scuola di Francoforte che spezza deliberatamente il codice sociale fondato sulla tradizione demolendo scientificamente ogni principio d’autorità a cominciare dalla carneficina del ruolo paterno che incarna l’archetipo della Legge e del Limite.

L’obiettivo è creare l’uomo nuovo, moderno, democratico, individualista, liberato dai tabù sessuali, dall’oppressione gerarchica e dai doveri sociali e familiari. Per tale scopo viene mobilitato l’intero esercito dei maggiori esperti delle scienze umane – in gran parte membri della Scuola di Francoforte -che, nel secondo dopoguerra, si trasferiscono (tutti!) dalla Germania agli Stati Uniti.

Nel 1949, Adorno, Brunswick, Levinson e Sanford pubblicano “The Authoritarian Personality” in cui si prefiggono di dimostrare che la nascita di regimi totalitari è il prodotto della famiglia patriarcale dove l’autorità paterna viene obbedita, interiorizzata e ammirata, condizionando le nuove generazioni. La soluzione adottata è la dissoluzione totale della famiglia, cellula fondante la società: “anche un crollo parziale dell’autorità dei genitori all’interno della famiglia avrebbe potuto aumentare la capacità di una futura generazione di accettare un cambiamento sociale”, scrivono.

Lo studio spiana la strada all’attacco successivo contro le restrizioni sessuali. Combinando Marx e Freud, Marcuse teorizza la liberazione del principio del piacere. “Fate l’amore, non fate la guerra” è uno dei suoi slogan più famosi diffuso durante la guerra del Vietnam. Contemporaneamente, Abraham Maslow prevede che “il prossimo passo nell’evoluzione personale sarà una trascendenza della mascolinità e della femminilità in una umanità generale”.

La ricca e potente comunità ebraica di intellettuali porta avanti una feroce “critica negativa” di ogni sfera della vita allo scopo di abbattere quello che considerano l’ordine “oppressivo”, cioè la tradizione, necessario per provocare un salto di paradigma sociale. Per la Scuola di Francoforte la vera rivoluzione doveva essere, innanzitutto, culturale perchè demolisce una società dall’interno senza colpo ferire: “le forme moderne di sottomissione sono caratterizzate dalla dolcezza”, scrivono. Adorno, ad esempio, si incarica di guidare gli studi sulla musica fiducioso che gli americani, come scrisse, sarebbero stati messi in ginocchio grazie alla radio e alla televisione, non trascurando nemmeno di collaborare con Hollywood.

La Scuola di Francoforte chiude i battenti nel 1953 ma i suoi esponenti colonizzano le principali università americane. Le conseguenze, i danni e i semi velenosi delle sue teorie impregnano tutt’oggi buona parte del mondo occidentale. Gender e cancel culture nascono, ad esempio, da lì.

Con la rivoluzione psichedelica, la droga guadagna consensi sempre più vasti legandosi ai movimenti di contestazione giovanile che coinvolgono tutto l’Occidente fra il ’68 e il ’72. È un momento storico centrale nel processo di riconoscimento dei giovani come nuovo gruppo sociale portatore di valori alternativi rispetto a quello degli adulti. In questo clima  la droga agisce come segno di appartenenza generazionale rafforzando lo spirito comunitario e demarcando la differenza dal mondo dei padri.

Il consumo di droga si normalizza culturalmente e diventa di uso comune. Nell’immaginario collettivo  viene a rappresentare uno strumento di liberazione dagli schemi imposti dalla tradizione e uno dei possibili modi di sperimentare atteggiamenti nuovi, alternativi e ribelli.

Il movimento del ’68 lascia in eredità agli anni a seguire la questione giovanile: il giovane, appunto, che verrà progressivamente integrato nel sistema tramite un meccanismo di riconoscimento che passa attraverso la mercificazione della cultura giovanile. I ragazzi vengono individuati come un segmento specifico di mercato, incluso quello della droga. O meglio, soprattutto quello della droga.

Easy Rider (1969) è il film cult eletto a simbolo dell’epoca hippie in cui si celebra l’uso degli allucinogeni. La controcultura della droga travalica il confine della letteratura che ne era stata il principale veicolo fino alla prima metà del Novecento e si diffonde ora avvalendosi di nuovi mezzi espressivi come il cinema. Ma il veicolo da sempre prediletto da Dioniso è la musica.

“Sesso, droga e rock and roll” è la trinità che ha segnato gli anni ’60 fondando quella relazione – a quanto pare indissolubile – fra musica e stupefacenti come la immaginiamo ancora oggi. Da “Sister morphine” dei Rolling Stones a “Heroin” dei Velvet Underground, sono moltissime le canzoni composte con lo stesso leitmotiv di fondo: la droga.

L’immagine di Lou Reed che si inietta – o finge di iniettarsi, poco importa – eroina sul palco sintetizza come l’abuso di sostanze diviene, nell’immaginario collettivo, parte integrante del mondo delle rockstar. Vite di eccessi che finiscono spesso in tragedia sotto la lente dei mass media catapultando i cantanti nella leggenda.

Il cimitero rock della droga è affollatissimo: il primo è stato Brian Jones degli Stones, annegato in piscina per overdose nell’estate del ’69, seguito, dopo pochi mesi, da Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison e tanti, tantissimi altri, fino ai giorni nostri con Kurt Cobain ed Amy Winehouse, morta nel 2011.
Quanto talento bruciato. La fenomenologia dell’estremo non perdona, Nietzsche aveva avvertito: Dioniso, il dio dell’eccesso e della dissoluzione di sé, deve sempre abbracciare Apollo, il dio del limite e della moderazione. Altrimenti l’ebbrezza diventa solo una vena atrofizzata nel rito collettivo di un concerto. L’epica della droga esige le sue vittime sacrificali in una società già protesa verso lo stupefacente più potente di tutti: il circuito dei mass media. È il collasso definitivo del simbolico, nascono i miti di massa.

“Le droghe ci annoiano con il loro paradiso. Ci diano, piuttosto un po’ di conoscenza. Noi non siamo un secolo da paradisi”. (3)

Di Sonia Milone per ComeDonChisciotte.org

(L’uso politico della droga – Continua – 3/8)

 

LEGGI  L’USO POLITICO DELLA DROGA – CAPITOLO I

LEGGI  L’OPPIO PER I POPOLI – L’USO POLITICO DELLA DROGA – CAPITOLO II

NOTE

(1) L’OPPIO PER I POPOLI – L’uso politico della droga – Capitolo II – Il circolo vizioso tra oppressione e dipendenza: perché non riusciamo a liberarcene? – Di Lea Ghisalberti per ComeDonChisciotte.org

(2) L’uso politico della droga, Capitolo IV – Di Sara Iannaccone per ComeDonChisciotte.org

(3) Henri Michaux, “Conoscenza degli abissi”, 1961