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Arrivano gli ‘xenobot’, primi robot viventi fatti di cellule. Ma dove vuole arrivare la tecnologia?

di Marco Staffiero - 19/01/2020

Arrivano gli ‘xenobot’, primi robot viventi fatti di cellule. Ma dove vuole arrivare la tecnologia?

Fonte: Il format


Dove vogliono arrivare, cosa hanno in mente? La super tecnologia, sembra aver cancellato tutto in nome del progresso. Si chiamano ‘xenobot’, sono fatti di cellule viventi e sono forme di vita completamente nuove. Gli scienziati che li hanno creati li definiscono i primi robot viventi. “Una nuova classe di artefatti: un organismo vivente, programmabile”, spiega Joshua Bongard, l’informatico ed esperto di robotica dell’University of Vermont (Usa) che ha co-guidato la ricerca pubblicata su ‘Pnas’. Il team che li ha ‘generati’ ha preso delle cellule viventi da embrioni di rana e le ha assemblate. La promessa che li accompagna è quella di far progredire la capacità dei farmaci di arrivare a destinazione, ma non solo: ci sarebbe spazio per loro persino nella pulizia dei rifiuti tossici. Per far capire di cosa si sta parlando, gli esperti fanno qualche esempio. Un libro è fatto di legno, ma non è un albero, evidenziano. Così gli xenobot sono “nuove macchine viventi”, afferma Bongard. “Non sono né un robot tradizionale né una specie conosciuta di animali”. Sono 100% Dna di rana, ma non sono rane. Le nuove creature sono state progettate su un supercomputer nell’ateneo del Vermont e poi assemblate e testate da biologi della Tufts University. Un film di fantascienza. Come spesso accade, si pubblicizza la scoperta, l’uso delle macchine ecc. Nessuno pone dei punti interrogativi etici sulla scienza e sulla tecnologia. Alcuni scienziati sono diretti e non guardano in faccia a nessuno, come se ci fosse un progetto da portare a termine. La tecnologia, i robot sostituiranno l’uomo. Secondo un rapporto presentato a Davos, nel 2016 nel meeting del World economic forum, entro il 2020 i robot si prenderanno 5 milioni di posti di lavoro prima occupati da altrettanti uomini in 15 Paesi del mondo. All’interno della comunità scientifica c’è anche chi invita a tenere alto il livello di guardia. E’ difficile quantificare, ma il 50% dei posti di lavoro nei prossimi anni sarà messo a rischio dai progressi dell’intelligenza artificiale.Bart Selman professore di Computer science all’Università Cornell di Ithaca, nello stato di New York, nel 2015, insieme ad altre centinaia di ricercatori, ha firmato una lettera aperta rivolta ai governi di tutto il mondo. Tra gli aderenti, anche il fisico inglese Stephen Hawking e l’imprenditore Elon Musk. I firmatari chiedevano di valutare le opportunità, ma anche i rischi, dell’evoluzione dell’intelligenza artificiale.L’esperto prese come esempio i magazzini di Amazon: “Qui si muovono migliaia di robot tra gli scaffali. Ci sarà ancora qualche magazziniere per gestire le squadre di robot, ma la forza lavoro umana è ridotta del 90%. Allo stesso modo, i sistemi di diagnosi medica non elimineranno la richiesta di radiologi, ma ridurranno significativamente il loro numero, perché la maggior parte delle diagnosi di routine possono essere fatte ugualmente, se non meglio, usando le macchine”.In un articolo del 2016 de Il Fatto Quotidiano, viene sottolineato, che nel 2014, per esempio, sono stati venduti 230mila robot industriali con una crescita del 30% rispetto all’anno prima. E si prevede che sarà così anche per i prossimi anni. In Cina si registra la prima fabbrica “deumanizzata”, dove gli operai di un’azienda di componenti per cellulari sono passati da 650 a 20, seguendo un programma industriale dal nome quanto mai esplicito: “Robot replace human“. La lista è lunga. Tra dieci anni (sicuramente anche meno) le case potrebbero essere così connesse da automatizzare le nostre vite e decidere per noi cosa farci mangiare o se è il momento di fare più esercizio fisico o avviare una lavatrice. La previsione rilasciata lo scorso anno è di Amy Webb, docente della New York University Stern School of Business e fondatrice del Future Today Institute. “La tua casa intelligente è una prigione intelligente e non c’è via di scampo, – ha raccontato Amy Webb – puoi scollegare il tuo forno a microonde, ma non puoi scollegare l’intera famiglia dal sistema”, facendo intendere che la nostra futura vita tecnologica sarà sempre più dipendente da una grande azienda tech al punto che non saremo più in grado di sfuggire “al sistema operativo in cui viviamo”. Sono tre, secondo Amy Webb, i fattori che favoriscono questo scenario. Il primo è la proliferazione dei dispositivi intelligenti. A questo si unisce la diffusione degli smart speaker, gli altoparlanti dotati di assistenti virtuali oramai sempre più diffusi nelle nostre case. Il terzo fattore, infine, sostiene l’esperta, è l’impegno di tutti i big della tecnologia nel settore della salute – spesso con partnership con ospedali e assicurazioni – che registrano sempre di più le nostre abitudini. C’è un altro grande problema: tutto questo sarà “gestito” da una super connessione, che porta il nome di 5G. Connessioni ultraveloci, oggetti più interconnessi, internet ovunque. Ci saranno milioni di nuove stazioni base 5Gsulla Terra, 20.000 satelliti in più nello spazio, 200 miliardi di oggetti trasmittenti. Il wireless funziona utilizzando impulsi estremamente rapidi di radiazione a microonde, la stessa dei forni a microonde. Studi clinici sugli effetti nocivi gravida esposizione alle frequenze radio in uso (fino al 4G) sono ormai migliaia anche sugli animali e sulle piante e sempre più sentenze di tribunale sanciscono il nesso causale tra cancro ed elettrosensibilità. Oltre all’aumentato rischio di cancro anche stress cellulare, danni genetici, cambiamenti strutturali e funzionali del sistema riproduttivo, disturbi neurologici, deficit di apprendimento e memoria, cambiamenti ormonali. Che dite è giusto porsi delle domande? È in gioco la nostra sopravvivenza: conoscere le ricerche e gli obiettivi nel campo del post-umano può aiutarci a fermare questa deriva prima che siano le macchine a ribellarsi ai propri inventori, come nei peggiori incubi. Sull’argomento, molto interessante il libro “Cyberuomo” di Enrica Perucchietti, di qualche mese fa. Intelligenza artificiale, chip dermali, nanorobotica, crionica, mind uploading, progetti filogovernativi per resuscitare i morti, creazione di chimere per xenotrapianti, clonazione, tecnosesso, uteri artificiali, super soldati. Tutto ciò sembrerebbe fantascienza, eppure si tratta delle più moderne innovazioni nel campo della scienza e della tecnologia. Per la scrittrice, l’entusiasmo e l’esaltazione acritica nel progresso stanno oscurando il lato nascosto di queste ricerche: si vuole realizzare una tecno-utopia, una società “perfetta” e altamente tecnologica, in cui non ci sia spazio per la violenza, le emozioni incontrollate o il pensiero autonomo. Siamo sull’orlo di una rivoluzione antropologica che intende snaturare l’Uomo della propria umanità, per renderlo sempre simile a una “macchina” e al contempo più manipolabile e controllabile. Dal darwinismo sociale al transumanesimo, la scienza è diventata uno strumento per traghettare l’umanità verso un orizzonte distopico.