Bombe sul Paese mediatore, Israele senza limiti attacca in Qatar. Ucciso capo negoziatore di Hamas
di Andrea Muratore - 09/09/2025
Fonte: Insideover
Bombe sui nemici, bombe sui Paesi neutrali, ora perfino attacchi negli Stati mediatori: Israele non ha limiti e ha dichiarato di aver colpito obiettivi legati ad Hamas a Doha, capitale del Qatar che da oltre un anno sta cercando di mediare la pace a Gaza. Un nome da brividi: Operazione “Giorno del Giudizio”. Una definizione che nasconde tutto lo spregiudicato millenarismo che ammanta la strategia bellica di Israele in Medio Oriente.
Ufficialmente, Tel Aviv dichiara di aver preso di mira “membri della leadership di Hamas che hanno guidato le operazioni dell’organizzazione terroristica, sono stati direttamente responsabili del brutale massacro del 7 ottobre e hanno orchestrato e gestito la guerra contro lo Stato di Israele”. Hamas ha dichiarato che i bersagli erano i negoziatori in città per discutere della proposta di pace. Khalil al-Hayya, capo negoziatore di Hamas, è stato dichiarato morto. Insomma, parliamo di un passaggio spericolato che apre l’ennesima ferita nella crisi mediorientale.
In primo luogo perché, solo pochi giorni fa, Hamas si era detta pronta a trattare sull’ennesima proposta confezionata dall’amministrazione Usa di Donald Trump, dietro cui il lavoro silenzioso della diplomazia qatariota si era consolidato da tempo. Colpire un nemico nel cuore del Paese mediatore mentre quest’ultimo ha accettato di negoziare, per l’ennesima volta, mostra che Israele non sembra aver intenzione di porre fine alla guerra di Gaza. Né il suo governo di aver alcuna cura della vita degli ostaggi rapiti il 7 ottobre e messi a repentaglio da questa manovra avventata.
In secondo luogo perché colpire in Qatar significa mostrare un senso di irresponsabilità politica tale da rendere difficile qualsivoglia prospettiva diplomatica futura. Doha non era solo mediatrice sull’asse Israele-Gaza ma anche nel quadro del difficile confronto regionale con l’Iran e assieme alla Turchia, ai ferri corti con Tel Aviv, è il patrono della nuova Siria con cui Benjamin Netanyahu da tempo porta avanti una relazione duale fatta di bombe e abboccamenti diplomatici.
Il Qatar vanta un poderoso apparato di difesa aerea, con assetti americani come Patriot e Thaad. L’ombra dell’attacco si staglierà anche su Doha, che ora si trova stretta tra la potenziale accusa di aver lasciato fare e il rischio di apparire inadatta a difendere il suo territorio. E dunque potenzialmente indebolita sul piano politico-strategico.
In terzo luogo, colpiscono le dinamiche dell’attacco. Israele ha colpito in pieno giorno, in maniera mirata e rivendicato apertamente l’azione come un “attacco mirato”, dunque come un atto chirurgico volto a rimuovere una minaccia esplicita. Inoltre, l’Israel Defense Force ha rivendicato di aver colpito assieme all’Israel Security Agency, lo Shin Bet, mostrando dunque di aver informazioni di intelligence chiare sul posizionamento dei leader di Hamas.
Lo Shin Bet, e non il Mossad (servizio estero) controlla Hamas perché Gaza è ritenuta, da Tel Aviv, fronte interno. Israele ha dunque scelto di colpire l’ottavo territorio mediorientale (dopo Gaza, Cisgiordania, Libano, Siria, Iraq, Iran e Yemen) dal 7 ottobre 2023 a oggi. Un Paese impegnato sia nel sostegno alla mediazione che legato a doppio filo tanto con Hamas quanto, in prospettiva, con lo stesso Stato Ebraico: Doha era una delle capitali attenzionate da Tel Aviv per l’estensione degli Accordi di Abramo prima del 7 ottobre.
Bombardare dei negoziatori nemici nel Paese mediatore, in questo caso, significa voler tutt’altro che metaforicamente bombardare la pace. La vera nemica del governo di Netanyahu, che assieme alla stabilità regionale trascina a fondo l’immagine internazionale di Israele. Una vecchia regola della diplomazia è sacra da secoli: gli ambasciatori non sono un bersaglio militare e nemmeno i negoziatori. Dal 7 ottobre Israele ha bombardato ambasciate (quella iraniana a Damasco) e ora, se confermato, dei mediatori. Un simbolo di un tempo brutale in cui ogni regola della pace e della guerra è sconvolta. E lo Stato Ebraico è responsabile di un imbarbarimento del clima politico internazionale che perturba la stabilità mondiale.