Caso Limes e molto altro: quattro anni di disastro informativo e moralismo un tanto al chilo
di Fulvio Scaglione - 19/12/2025

Fonte: Inside Over
Del “caso Limes” si è già occupato da par suo Paolo Mossetti in queste pagine e non è c’è ragione di aggiungere altro. Vorrei invece scrivere qualche riga su un aspetto della questione a prima vista secondario ma che invece spiega tanto del disastro informativo che l’opinione pubblica italiana (e in larga misura anche europea) ha subito in questi quasi quattro anni di guerra.
Una delle “colpe” che vengono imputate a Lucio Caracciolo, direttore di Limes ed editorialista dei giornali del gruppo Gedi, è di aver sostenuto, all’epoca, che la Russia NON avrebbe invaso l’Ucraina. È un questione che conosco bene perché, tra fine 2021 e inizio 2022, anch’io, nel mio piccolo, avevo detto e scritto la stessa cosa. Previsione clamorosamente sbagliata, come si è visto, ed è inutile ora ricostruire qui i perché e i percome di quella mia idea. Seguì, ovviamente, aggressione verbale sui social, inviti a cambiare mestiere ecc. ecc.
Bisognerebbe ricordare che, persino nelle ultime settimane prima dell’invasione, anche Volodymyr Zelensky ed Emmanuel Macron (8 febbraio 2022: “Da Putin ho ottenuto che non ci sarà escalation”, si legga qui), smentivano la possibilità di un’invasione. Come peraltro il nostro ministro degli Esteri Luigi di Maio, che dichiarava: “Già nei giorni scorsi il ministro della Difesa ucraino Reznikov era intervenuto affermando che l’entità e lo stato di preparazione delle forze russe al confine non risulterebbero, agli occhi di Kiev, tali da lasciar presagire un’operazione bellica a tal punto impegnativa. Il presidente Zelensky ha ribadito tale analisi nel suo colloquio con il presidente Biden del 28 gennaio. I vertici ucraini riterrebbero poco probabile e tanto meno imminente un’offensiva massiccia – o un’invasione – considerando più verosimile un’eventuale azione destabilizzante su vasta scala, in formato ibrido, da parte di Mosca ai danni delle istituzioni ucraine. Ipotesi che ci preoccupa ugualmente”. Insomma, si era in buona compagnia.
Ma la cosa davvero grottesca è che aver sbagliato previsione non viene considerato un errore ma una colpa. Come se aver ragionato (sempre il mio caso, non voglio certo parlare per Caracciolo) sui pro e i contro della Russia nell’immaginare un’invasione e aver concluso (erroneamente, ribadiamolo) che i contro erano più dei pro, fosse una chiara prova di complicità con il Cremlino.
Restiamo comunque sul tema delle previsioni. Ma davvero i “buoni”, gli insospettabili, quelli che danno agli altri lezioni di competenza e soprattutto di correttezza politica hanno le credenziali giuste? Davvero le hanno azzeccate tutte? Proviamo a fare qualche caso concreto, con tutto il rispetto dovuto a persone di indubbia professionalità. Cominciamo dal caso più emblematico e clamoroso: il 4 settembre del 2022, Ursula von der Leyen ridicolizza ogni senso comune dicendo al Parlamento europeo che “i militari russi usano i microchip delle lavapiatti per far volare i missili” e che “l’industria militare russa è a pezzi” (si veda qui). Una colossale scemenza. Quanti dei “buoni”, quelli che vedono putiniani in ogni angolo, alzarono il dito per dire anche solo “signora, attenta, forse non è proprio così”? Non ne ricordo nessuno. Forse che le ragioni della propaganda erano più forti di quelle del buon senso e della correttezza dell’informazione?
Andiamo avanti. In questi quasi quattro anni di guerra abbiamo assistito a uno slittamento semantico di non poco conto, annegato però in un fiume di parole che l’hanno progressivamente annacquato. Adesso nessuno più ricorda qual era il mantra del 2022, passata la paura dei primi giorni dell’invasione: l’Ucraina deve vincere e vincerà la guerra. Anzi, sta già vincendo. La Russia sarà sconfitta sul campo. Lo sa bene Nona Mikhelidze (responsabile di ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali nonché editorialista di La Stampa e Il Foglio), che di questa linea è stata una delle interpreti più in vista, assiduamente presente in una miriade di trasmissioni televisive e radiofoniche (un esempio qui). Nel video appena linkato “sposava” la tesi di Zelensky, ovvero che l’Ucraina voleva tornare ai confini pre-invasione (che peraltro era già una variante rispetto al primitivo “tornare ai confini del 1991”, vale a dire recuperando anche la Crimea). Adesso la studiosa dice che “la Russia non sta vincendo la guerra”: affermazione dibattibile (ma non qui e non ora), comunque molto diversa da un pronostico di sicura vittoria ucraina, fosse sui confini del 2022 o su quelli del 1991.
E non solo. In una delle sua recenti apparizioni Tv (questa), la Mikhelidze ha tenuto ad assicurare che in tre anni e mezzo di guerra la Russia è riuscita a occupare solo il 6% del territorio ucraino, “perché il 14% l’aveva occupato nel 2014”. Questa la valutazione di adesso. Perché nell’altro video, quello del 2022 (link qui) la Mikhelidze diceva che tra il 2014 e il 2022 “la Russia non controllava il Donbass ma solo Donetsk e Lugansk e una piccola parte della regione”. Donetsk, Lugansk e una piccola parte della regione farebbero quindi il 14% dell’intera Ucraina, che è il secondo Paese d’Europa per estensione dietro la Federazione Russa?
E delle previsioni di crollo economico della Russia? Non vogliamo dire niente? Rilevare che la Russia sconti difficoltà anche molto pesanti è banale: decine di migliaia di sanzioni e blocchi non potevano che ottenere questo risultato. Ma per molto tempo non ci siamo sentiti dire che la Russia sarebbe stata in difficoltà ma che sarebbe crollata. Crollata. Nel maggio del 2022 il premier Mario Draghi (un economista) aveva annunciato che “il momento di massimo impatto di tutte le sanzioni fin qui approvate nei confronti della Russia sarà da questa estate in poi”. In quell’anno, il primo dell’invasione, il Pil russo calò del 2,1%, non poco ma molto meno di quanto fosse stato in generale pronosticato. Ma nel 2023 lo stesso Pil russo crebbe del 3,6% (più di quello Usa e di quello Ue), nel 2024 del 4,3% e nel 2025 di una cifra tra lo 0,6 e l’1%. Brusca frenata, certo. Ma quello dell’Italia, Paese non in guerra e non sanzionato, dovrebbe essere dello 0,5% secondo le stime Istat o dell’1,6% secondo quelle Bce.
Nel frattempo, aspettando il crollo prossimo ventura dell’economia russa, Federico Fubini, vice-direttore del Corriere della Sera ha annunciato due o tre volte l’inesorabile crollo del rublo (una volta qui). “La moneta russa precipita senza rete”, diceva, mentre il rublo è di fatto tornato alle quotazioni pre-invasione.
Ci fermiamo qui, agli esempi nobili, che peraltro si sono ben guardati dal commentare gli scandali di corruzione vissuti a Kiev e denunciati come una responsabilità di Zelensky non tanto da noi (o meglio: anche da noi, che però siamo cattivoni prevenuti) ma soprattutto da giornali ucraini come Kiyv Independent e Ukrainska Pravda. che scrivono cose come questa: “Le debolezze di un sistema di leadership che concentra avidamente il potere, non tollera critiche e giustifica l’incompetenza in nome della lealtà. Zelensky ha governato in questo modo da quando ha assunto l’incarico nel 2019. Ma ora, a quasi quattro anni dall’inizio della guerra su vasta scala, i difetti di questo stile di governo sono così profondi da minacciare la sopravvivenza stessa del Paese”. E dici niente.
E non proviamo nemmeno ad addentrarci nei vari “i russi combattono con le pale”, “la rivolta degli oligarchi”, “i russi scavano trincee nel terreno contaminato di Chernobyl”, “Putin è malato e si cura con il sangue di cervo”, “i russi prendono pastiglie che consentono loro di combattere anche se feriti”, insomma le cazzate solenni, che però sono state regolarmente pubblicate su testate di tutti i livelli, anche quelle che si considerano pilastri della democrazia.
Tutto questo ha costituito il piatto principale del pasto informativo servito agli italiani in questi anni, e non c’è caccia al putiniano che possa dimostrare il contrario. Così come non conta, a questo riguardo, ripetere che c’è stato un aggressore, la Russia, e un aggredito, l’Ucraina. Conta solo la realtà dei fatti e, per quanto riguarda che scrivono o parlano in pubblico, quanto corrisponda ai fatti ciò che si cerca di trasmettere a lettori e ascoltatori. Sarebbe quindi opportuno andarci piano con le lezioni. Molto piano.

