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Ci hanno rubato pure l’elaborazione del lutto

di Claudio Risé - 08/12/2020

Ci hanno rubato pure l’elaborazione del lutto

Fonte: Claudio Risé

A chi è in analisi, di questi tempi, capita di sognare di camminare, e trovarsi tra le gambe dei cadaveri, che li spaventano e rendono difficile andare avanti (l'ho visto direttamente, e in chi lavora con me). Il significato è abbastanza trasparente: il percorso di chi cammina, si muove, vive, è oggi ingombrato dagli oltre 57 mila morti a causa del Covid 19, che ci ricordano la situazione e chiedono di non essere calpestati. C'è però anche un aspetto del sogno che non riguarda solo il sognatore, ma tutta la società, e chi la governa (il sogno, infatti, è frequente ).
I morti per Covid stanno diventando ingombranti per chi cerca di muoversi. Ciò ha una precisa spiegazione psicologica, e nei fatti. È infatti quasi totalmente mancata ciò che la psicologia chiama "l'elaborazione del lutto" da parte di chi rimane in vita. Un impegno che nelle tragedie collettive, come questa, tocca innanzitutto ai leader, a chi governa la società. In quest'occasione, però, questo prezioso lavoro, indispensabile alla continuazione della vita sociale, è completamente mancato (forse chi ci governa non sapeva neppure che esistesse).
I morti sono stati invece utilizzati per controllare i vivi: ci hanno spiegato che dovevamo smettere di lavorare, non andare più a messa, non cantare, interrompere ogni attività, per rispetto verso di loro, i morti per il Covid. In ciò, però, non c'è né il lutto, né la sua elaborazione. C'è solo il tentativo di fermare la vita, la moltiplicazione della paura e l'invito alla passività. Mai come in questo periodo chi è uscito dalla vita è stato lasciato solo (spesso fin da quando era ancora vivo), congedato velocemente, con partecipazioni ristrette ai minimi termini, e infine tolto da ogni presenza, anche simbolica, nella società. Nell'elaborazione del lutto, invece, il lamento (che non può mancare) guarda al domani; al dopo; che comincia però subito, oggi. È cosa ben più profonda e partecipata dei giochini miserabili della politica, o dei galloni della burocrazia. È vita che va avanti e si rinnova, anche nel nome e in onore dei morti, è la costruzione personale e convinta del passaggio tra la morte e la vita.
Non si trattava certo di andare ai funerali e stringere al mano alle vedove e ai figli, con riprese TV. Onorare i morti non consiste poi, di sicuro, neppure nel farli contare ossessivamente in video da parte di burocrati trasformati in star mediatiche. Ancora meno sbandierare etichette da capitalismo-fumetto, chiamando task force gruppi di lavoro che hanno a che fare con la vita e la morte della Nazione, non stanno giocando ai marines. Elaborazione del lutto vuol dire partecipare profondamente e con serietà a una fase drammatica per le persone e la collettività, e trasformarla in comportamenti e attività con nuove direzioni e forme di vita, più sane e forti. Pensare ad esempio a modalità produttive meno omicide, che non abbandonino le nostre operose pianure nello stato attuale di killer dei polmoni di chi vi trova, per via delle micidiali polveri respirate (come lo sguardo selvatico ha già raccontato), e insieme cominciare a rinnovarle.
Sembra che le nostre aziende, tutt'altro che stupide e cui dobbiamo quel po' di sviluppo che c'è in Italia, ci stiano pensando e si stiano muovendo verso modi di produzione più avanzati e meno dannosi per la salute. È però assurdo che il governo non le accompagni attivamente e con consapevolezza, e non eserciti la funzione di guida per la quale si trova in quel posto. Anche questa sarebbe elaborazione positiva del lutto: inserire gli sforzi delle aziende in un piano coerente e opportunamente valorizzato e comunicato. Insomma abbandonare lo show degli Stati Generali e il Grande Fratello e fare politica seria. Generare e finanziare, d'accordo con tutte le forze produttive, un percorso e un modello culturale, economico e sociale che onori coi fatti (e non con considerazioni sentimentali ad effetto), coloro che proprio a causa di forme produttive antiquate sono già morti. Anche per evitarne altri, oggi e domani. Per l'Italia si tratta, da alcuni decenni, secondo le statistiche dell'Unione europea, di 70 mila morti l'anno: non proprio una sciocchezza. Negli altri paesi, dove i morti sono molto meno, dopo l'ultimo tragico inverno è subito partita una robusta riconversione produttiva. Esattamente il contrario di ciò che si è fatto da noi, costringendoci a tapparci in casa in situazioni irreali, tra liti interne allo stesso governo e un caos comunicativo imbarazzante, lasciando che la vita e le ricche capacità del Paese andassero allo sbaraglio.
È per questo che l'elaborazione del lutto dei morti per cause sociali appartiene in ogni paese agli obblighi civili e alla cultura di governo. I morti per cause collettive costituiscono il cemento delle nazioni. Non a caso le vittime della prima guerra mondiale sono considerati la vera fondazione dell'ancora giovane Nazione italiana. Essi vengono invece dimenticati o (peggio ancora) strumentalizzati, nei Paesi che rinnegano la loro storia e anima, e anche per questo affondano. Si tratta infatti di una trascuratezza non casuale, ma rivelatrice della visione ristretta e grettamente materialista della classe politica di governo. Quella che rompendo il legame con i morti e la storia rivela la propria incapacità nell'interpretare e rappresentare il Paese in un modo ampio e di lungo periodo, non limitato ai propri interessi di potere e alle contingenze del momento.
È la stessa visione, superficiale e opportunistica, a provocare anche le altre vite mancate a causa dell'epidemia: quelle dei bambini che non nascono affatto, anche per il modo alterato e antivitale con cui il Covid 19 è stato affrontato e gestito (ne ha parlato Marcello Veneziani su La Verità del 3.12.2020). Vivere in modo autentico e non formalistico il lutto per i morti insomma, porta a impegnarsi perché la vita continui in tutte le sue forme, senza imbrigliarsi in forme difensive (come i ripetuti lock in) che sono in realtà profondamente distruttive. La posizione psicologicamente sana e socialmente produttiva invece, come osservava Carl Gustav Jung ne I simboli della trasformazione, porta a "un istinto vitale continuo, una volontà di vita che attraverso la conservazione dell'individuo vuole ottenere la propagazione diretta di tutta la specie." L'istinto vitale ti porta a voler vivere con pienezza l'esistenza con le sue difficoltà, così come a elaborare seriamente il lutto per i morti, che poi ti impegnano ancora di più nella vita e nella sua continuazione. Il resto sono acrobazie mentali, che nascondono un sostanziale egoismo e uno sguardo terrorizzato sull'esistenza. Sono queste "influenze ambientali" negative che secondo Jung sono tra le più decisive "forze motrici" delle nevrosi. È venuto il momento di abbandonarle e passare al fare. E farlo bene.
Anche per i nostri morti.