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Come gli orefici divennero banchieri, e poi…

di Francesco Lamendola - 02/10/2019

Come gli orefici divennero banchieri, e poi…

Fonte: Accademia nuova Italia

Ormai è nozione comune che le banche dominano il mondo, non solo a livello finanziario ed economico, ma anche politico e mediatico; che le banche dominano il mondo per mezzo di denaro che, in realtà, non possiedono, per la semplice ragione che non esiste; e quindi che la dittatura finanziaria mondiale si regge su un gigantesco bluff, sostenuto da meccanismi psicologici di massa abilmente pilotati: tipico esempio, la minaccia dello spread, che – noi italiani ne abbiamo fatto l’esperienza nel 2011 – è abbastanza forte da poter abbattere il governo democraticamente eletto di un grande Paese. Con tanti saluti alla democrazia.

C’è stato un tempo – quanti hanno almeno una cinquantina d’anni se lo ricordano benissimo – in cui la gente si fidava delle banche: e non solo perché era poco informata, ma perché la maggior parte degli istituti di credito erano delle banche “vere”, cioè delle casse di risparmio, dove si depositava il proprio denaro e dove si ottenevano dei prestiti, sulla base di un rapporto fiduciario nel quale i clienti e il personale della banca si conoscevano personalmente e sapevamo di aver a che fare con un interlocutore affidabile. Ma poi per la maggior parte le piccole banche di risparmio sono state acquisite e inglobate in banche molto più grosse, di dimensioni internazionali, che sono, in sostanza, delle banche speculative. È sparita la figura del direttore di banca che parla coi clienti per qualsiasi necessità; gli impiegati si avvicendano continuamente, vengono spostati in altre sedi; e i clienti diventano dei numeri  anonimi, che non conoscono nessuno e che non sono conosciuti, e che hanno la sensazione di aver perso la disponibilità concreta dei propri risparmi. Ciascuno di noi avrà fatto l’esperienza, al momento di voler disinvestire delle somme più o meno ingenti, o addirittura di voler chiudere il proprio conto corrente e vendere i titoli in proprio possesso, di una sorda resistenza, di una sottile opera di dissuasione da parte della banca o delle poste. Di solito il cliente, in quei casi, viene accompagnato da un consulente finanziario che gli spiega come sia poco conveniente, per lui, disinvestire il proprio denaro; che gli offre condizioni nuove e quote d’interesse più appetitose; e se il cliente appare timido e disorientato, e soprattutto se appare inesperto di cose finanziarie, il consulente, non riuscendo a persuaderlo con le buone, potrebbe anche diventare aggressivo, quasi minaccioso, e forse giungere fino al punto di dirgli che lui non ha il diritto di ritirare quel denaro, quasi che non fosse più suo, ma della banca o delle poste, presso cui lo ha depositato. A quel punto, anche il più inesperto ed ingenuo dei risparmiatori comincia a farsi due domande, e si chiede: perché la banca faccia di tutto perché non ritiri i suoi denari. E allora intuisce anche la risposta, terribilmente semplice, ma al tempo stesso inquietante: perché non li ha. O per dir meglio, perché non sarebbe in grado di restituire a tutti i clienti i loro denari, se si presentassero agli sportelli per disinvestire, per la banale ragione che quel denaro non c’è più. E allora verrà in mente al cliente un’altra cosa: che la banca, da molti anni, ha smesso di gradire i suoi depositi in conto corrente: è come se il suo denaro liquido non lo volesse, gli desse fastidio; in compenso, ogni volta che lui si trova a disporre di una certa somma, la banca si affretta a proporgli delle forme d’investimento finanziario a medio o lungo termine, facendogli acquistare dei prodotti che gli garantiscono, in teoria, un buon interesse, ma dei quali, in verità, egli capisce poco, pochissimo, tranne il fatto che deve apporre la sua firma innumerevoli volte su una quantità di fogli che, in effetti, non gli viene offerto di portarseli a casa per leggerli con calma, ma il cui contenuto gli è semplicemente riassunto dall’impiegato che ha di fronte. E allora, forse, al nostro cliente sorgerà un ulteriore dubbio: vuoi vedere che la banca dirotta i suoi risparmi in titoli e obbligazioni sempre per la stessa ragione per cui è tanto restia ad accettare di buon grado che egli disinvesta il suo denaro, e cioè perché, una volta sottoscritte quelle carte, quel denaro, di fatto, cessa di essere veramente suo, perché cessa di esistere in quanto denaro, e subisce una misteriosa trasformazione nominale che lo rende atto alle manovre speculative della banca sui mercati nazionali e internazionali?

Tutto questo, dicevamo, ormai è divenuto nozione comune, almeno per quelle persone che sono ancora capaci di ragionare con la propria testa e che hanno la volontà d’informarsi non per mezzo dei mass-media politicamente allineati, cioè tutti o quasi tutti i giornali che si comprano in edicola e tutti i telegiornali delle reti televisive pubbliche e private, ma attraverso canali alternativi che si trovano sulla rete informatica, e che, con un po’ di esperienza e di buona volontà, si finisce per scovare – fino a quando il grande potere finanziario, che già controlla tutto il resto, non troverà il modo – e da tempo si sta adoperando attivamente in tal senso - di spegnere anche questi ultime fonti d’informazione libera e indipendente. Tuttavia, se abbiamo capito, a grandi linee, queste cose, la maggior parte di noi sarebbe fortemente imbarazzata se dovesse spiegare come concretamente e storicamente si sia verificata questa ironica e paradossale situazione: la creazione di denaro inesistente che, però, è talmente “reale” nella psicologia della gente, da determinare effetti quanto mai concreti nel mondo della vita quotidiana, e perfino decidere la sopravvivenza o la fine dei governi di questo o quello Stato. Quando, come, dove, si è originato questo strano e perverso meccanismo, che consente a una piccolissima oligarchia, che ha in mano solamente dei pezzi di carta, d’imporre la sua legge a tutti quelli che realmente lavorano, producono e, quindi, creano denaro autentico? Probabilmente non sono in molti a sapere che la nascita delle banche e il passaggio dalle casse di risparmio alle banche d’affari e infine alle banche centrali, che sono delle super-banche speculative, parte da una figura che, in origine, non ha niente a che fare coi prestiti e con il sistema creditizio: quella dell’orefice. L’orefice, nel tardo Medioevo, è colui che compra e vende oro, ma è anche colui che possiede i forzieri più sicuri, proprio per la delicatezza della sua professione, che lo espone a furti e rapine. Pertanto, se qualcuno vuole mettere i suoi risparmi in un luogo veramente sicuro, sa dove rivolgersi: al banchiere, che glielo custodirà nei suoi forzieri. Il meccanismo delle banche nasce lì e prende consistenza attorno al 1600, che è il vero inizio della modernità: il gioielliere, divenuto custode dei deposti altrui, comincia a servirsi di quel denaro per ampliare il suo giro d’affari, prestando denaro a chi ne ha bisogno, naturalmente dietro interesse. Ecco che il banchiere comincia a fare soldi con del denaro che in realtà non possiede; che non è suo; che si è impegnato a restituire in qualsiasi momento, su richiesta dei depositari-risparmiatori. E qui si vedono le radici psicologiche del moderno sistema finanziario: finché i risparmiatori hanno fiducia nel banchiere, non hanno motivo di ritirare il loro denaro, che rende loro una percentuale d’interessi. Il banchiere gioca su questo: ne presta abbastanza da ricavare un profitto sempre maggiore, ma non lo presta mai tutto, perché, se lo facesse, si esporrebbe al rischio di non poterlo restituire, qualora gli venisse richiesto. A quel rischio se ne aggiunge poi un altro: non sempre quelli che ottengono un prestito da lui, sono in grado di restituire le somme ricevute. Se si tratta di privati, poco male: ci sono sempre le vie legali, c’è il pignoramento dei beni, ci sono le ipoteche sulla casa che si trasformano automaticamente in passaggio di proprietà. Ma se il debitore è lo Stato, vale a dire la persona del sovrano (perché nel 1600 non c’è differenza fra le due cose)? Se il sovrano, per finanziare una guerra, ha chiesto e ottenuto un prestito molto grosso, e poi non riesce a onorare il suo debito, che altra prospettiva può aprirsi per la banca, se non il fallimento? Rischi a parte, le possibilità di guadagno sono immense; inoltre, finanziando un sovrano, il banchiere comincia ad avvicinarsi alle stanze del potere: non ci metterà molto a chiedersi perché non dovrebbe sfruttare la sua posizione privilegiata per influenzare la politica stessa, per favorire la carriera dei ministri o dei funzionari che gli sono amici e che, un domani, renderanno ancor più lucrosi i suoi affari, assicurandogli sempre nuovi prestiti, nonché altre forme d’investimento agevolato dei suoi grossi capitali. La sua professione è rischiosa, ma esaltante: in nessun altro ambito dell’attività umana  è possibile fare tanta strada così in fretta, e arrivare così lontano. Le grandi dinastie dei banchieri internazionali nascono così, sovente da inizi assai modesti o modestissimi: i Fugger e i Welser, più tardi i Warburg, i Rotschild, i Rockefeller. E il passaggio del potere reale dagli Stati alle grandi banche incomincia allora: oggi è divenuto pressoché un fatto compiuto.

Per chiarire questi concetti, citiamo alcuni significativi passaggi dal libro di Carluccio Bianchi e Francesco Campanella, Economia politica (Milano, Hoepli, 1982, pp.223-225):

 

Nel XVII secolo, gli orefici, i quali erano per loro stessa natura i più esposti al rischio di furto dei metalli preziosi e di conseguenza i più attrezzati a cercare di prevenirli, presero l’abitudine di tenere nei loro forzieri, IN DEPOSITO, anche le monete di altre persone, le quali ritenevamo che il loro oro fosse più al sicuro nelle casseforti degli orefici che a casa propria. In cambio di tale deposito, queste persone ricevevano dall’orefice UNA RICEVUTA. Ci si rese ben presto conto che tali ricevute potevano essere utilizzate benissimo per effettuare pagamenti diretti, senza dover necessariamente recarsi dall’orefice a ritirare l’oro, consegnarlo al creditore, il quale a sua volta lo avrebbe ridepositato presso l’orefice. Le ricevute di deposito degli orefici iniziarono in tal modo a circolare e ad essere utilizzate da tutti per i pagamenti, in maniera del tutto analoga alle moderne banconote, mentre l’oro che esse rappresentavano rimaneva inutilizzato nei forzieri degli orefici. Tale circostanza non poteva tuttavia passare inosservata agli occhi di costoro, i quali arguirono che potevano guadagnare molto di più di quanto ricevevano in compenso del semplice servizio di deposito se avessero prestato a terzi l’oro depositato, dietro pagamento di un compenso o INTERESSE, commisurato alla somma prestata e al tempo di durata del prestito. La domanda di prestiti, sia da parte di sovrani impegnati in spedizioni militari, sia da parte di individui che volevano intraprendere attività commerciali e produttive, era d’altra parte elevata, e costoro erano disposti a pagare interessi anche salati pur di avere il denaro necessario. Con l’inizio dell’effettuazione dei prestiti, si compie il processo di trasformazione degli orefici in banchieri, e si pongono le premesse della nascita del moderno sistema bancario. Contemporaneamente a tale trasformazione, avviene anche un fenomeno che ha sempre meravigliato molti, ma che in realtà è molto semplice da spiegare: la possibilità, da parte delle banche, di “creare” nuova moneta, cioè di aumentare la quantità complessivamente esistente di mezzi di pagamento. (…)

Prima dell’inizio dell’effettuazione dei prestiti, la quantità di banconote circolanti è esattamente uguale in valore all’oro depositato nei forzieri degli orefici: ad esempio entrambi sono pari a L. 1.000. Supponiamo ora che l’orefice utilizzi L. 100 dell’oro giacente nei suoi forzieri per effettuare un prestito. In cassaforte rimarranno soltanto L. 900 di oro, ma in compenso l’orefice avrà un credito di L. 100 nei confronti di chi ha ricevuto il prestito. Costui, probabilmente, utilizzerà il prestito ricevuto per effettuare acquisti di beni, che pagherà con ‘oro ottenuto col prestito. È molto probabile infine che il venditore che ha ricevuto l’oro in ultima istanza lo depositi nuovamente presso l’orefice, ottenendo in cambio un certificato di deposito. Terminato tale processo, il valore complessivo delle banconote (o ricevute di deposito) sarà pari a L. 1.100 (le 1.000 precedenti più la nuova ricevuta), mentre l’oro esistente nei forzieri sarà sempre pari a L. 1.000. La quantità totale di moneta cartacea è quindi aumentata di L. 100, senza che vi sia stato alcun incremento nella quantità fisica di oro; in questo modo il banchiere ha quindi “creato” nuova moneta. Lo stadio finale del processo sopra descritto si ha quando l’orefice-banchiere concede prestiti non attraverso la consegna fisica di oro, ma solo tramite il rilascio di banconote che possono essere convertite, su richiesta del possessore, nell’oro depositato nei forzieri. In tal caso, il processo di creazione di nuova moneta è ancor più evidente: il banchiere ha emesso nuove banconote, senza che l’oro esistente nei suoi forzieri sia stato neppure spostato.  È chiaro che un sistema monetario in cui circolano banconote che non sono completamente coperte da depositi di oro si fonda in maniera esclusiva sulla fiducia di tutti che il banchiere sia in grado in ogni momento di consegnare oro in cambio delle banconote emesse, se qualcuno desidera effettuare la conversione. In tempi normali, in cui tale fiducia esisteva, ben poche persone si presentavano agli sportelli dei banchieri per chiedere la conversione delle banconote in oro. Ai banchieri era quindi sufficiente una riserva di oro inferiore alla quantità di banconote emesse; riserva della dimensione minima richiesta per far fronte alle normali richieste di pagamento. Una volta soddisfatto tale vincolo, il banchiere poteva espandere al massimo l’emissione di banconote e l’ammontare dei prestiti. Così facendo, però, il rapporto tra riserva aurea e banconote emesse diventava sempre più basso, per cui se un numero sufficientemente elevato di persone si fosse presentato alla banca per chiedere la conversione delle banconote in oro, questa sarebbe stata incapace di farvi fronte, e avrebbe dovuto chiudere gli sportelli.

Resta da dire che i banchieri, proprio per tutelarsi dal rischio di fare bancarotta di fronte a un grosso debitore insolvente, a un certo punto decisero di appoggiarsi ad una banca particolarmente solida, che si facesse garante di finanziare le banche temporaneamente in difficoltà, prestando loro, in caso di bisogno, i capitali necessari a mantenerle in vita, con tutto il loro giro d’affari. Questo è l’ulteriore meccanismo da cui nasceranno le banche centrali. La prima sarà la Banca d’Inghilterra, nel 1694. Le banche centrali otterranno la facoltà di stampare ed emettere il denaro per conto dello Stato, e, un po’ alla volta, otterranno l’esclusiva in tal senso, escludendo le altre banche, che per un certo tempo facevano la stessa cosa. Una volta che la banca centrale ha conquistato il monopolio nella emissione del denaro, si profila l’ipoteca della banca sullo Stato medesimo, perché la sovranità monetaria, teoricamente detenuta dallo Stato, di fatto è passata, o sta passando, alla banca centrale, la quale, a sua volta, nata come banca “pubblica”, cioè al servizio degli interessi dei suoi clienti, finisce per diventare a tutti gli effetti una super-banca privata.  Sempre in Inghilterra, nel 1565 un privato, il finanziere Thomas Greisham (1519 ca.-1579) aveva fondato e costruito a sue spese la Borsa di Londra. Anche da questo lato, è evidente l’origine privata del sistema borsistico e si capisce quel che valgono le affermazioni dei mass-media di regime i quali, all’unisono, ripetono che i “mercati” si limitano a fare il proprio interesse, premiando o punendo gli Stati a seconda della loro affidabilità finanziaria (come se il famigerato spread, ad esempio, fosse opera dello Spirito Santo). Ma la verità è un po’ diversa, e cioè che le banche private possiedono i mezzi per fare in modo che un determinato Stato sia affidabile, o meno, secondo i loro interessi, al fine di poterlo meglio sfruttare o ricattare. Per l’Italia, le grandi banche speculative hanno deciso che essa debba essere spogliata del suo apparato industriale, che debba ridiventare un Paese di emigranti, come cento anni fa, e che debba servire come campo profughi d’Europa e come laboratorio per la sostituzione di popolazione programmata dai vari Soros e compagni.

Due ultime riflessioni.

La prima è che la storia della finanza ci viene raccontata dai libri di scuola e da tutti i mass-media in maniera falsa ed edulcorata. Così come ci vene detto che, sì, agli inizi la rivoluzione industriale produsse una classe operaia estremamente misera e maltrattata, ma che poi, assestandosi la nuova economia produttiva, la condizione dei lavoratori è immensamente migliorata, e oggi nessuno vorrebbe tornare indietro; così ci viene detto che, sì, secoli fa i banchieri esercitavamo realmente un ricatto smisurato sui loro debitori, ma oggi quei tempi son passati, le banche non praticano più l’usura e insomma non c’è motivo di lamentarsi, perché le banche, dopotutto, per quanto criticate, sono pur sempre un’istituzione utile e al servizio del cittadino. La realtà, invece, è che l’usura non solo non è finita, ma ha raggiunto dimensioni planetarie: è il sistema dell’usura, come bene aveva visto Ezra Pound, a far pesare il suo ricatto sulla vita non solo dei singoli, ma dei popoli e delle nazioni. Tutto il meccanismo del debito pubblico è stato pensato e creato per alimentare la ricchezza dell’oligarchia finanziaria mediante un immenso sistema di usura mondiale, davanti al quale siamo senza difese, mentre nel “buio” medioevo le difese c’erano, eccome, e le pubbliche autorità non stavano a guardare, come ora accade.

La seconda riflessione è, in realtà, la constatazione di un dato di fatto. Molti dei primi usurai, dei primi orefici, dei primi banchieri, erano ebrei; e lo sono anche oggi. Questa non è una teoria del complotto, ma una realtà, palese e verificabile da chiunque. Ciascuno, poi, ne può trarre le conclusioni che ritiene giuste e opportune: ma il fatto è quello. Perciò dovrebbero smetterla, i libri di storia, di presentarci i secoli passati come dominati da una specie di furore antisemita da parte degli europei, magari per motivazioni religiose improntate al fanatismo e al fondamentalismo cristiano: la verità è che gli ebrei erano poco amati perché le figure sociali dell’usuraio, dell’orefice e del banchiere erano di per sé poco amabili: si veda Il mercante di Venezia di William Shakespeare, anno del Signore 1597 circa. E infatti non erano amate. Onestamente, chi può amare un signore come George Soros, con la sua Open Foundation, se non chi riceve i suoi finanziamenti: e cioè, fra gli altri, Greta Thunberg, le O.N.G. che spadroneggiano nel Mediterraneo, e la signora Emma Bonino, che sventola esultante l’assegno che il filantropico miliardario ha staccato per sostenere il Partito radicale?