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Come uccidere 10 milioni di Afgani e non vincere

di Pepe Escobar - 27/07/2019

Come uccidere 10 milioni di Afgani e non vincere

Fonte: Comedonchisciotte

Siamo come poliziotti. Non stiamo combattendo una guerra. Se volessimo combattere una guerra in Afghanistan e vincerla, avrei potuto vincere quella guerra in una settimana. Ma non voglio uccidere 10 milioni di persone. L’Afghanistan potrebbe essere spazzato via dalla faccia della Terra. Non voglio seguire quella strada.”

Anche considerando le continue cronache del trumpismo più demenziale, rafforzato ogni singolo giorno da un torrente di tweet e citazioni oltraggiose, quello che avete appena letto è assolutamente stupefacente. Qui abbiamo il presidente degli Stati Uniti affermare che, 1) Gli Stati Uniti non stanno combattendo una guerra in Afghanistan; 2) Se gli Stati Uniti volessero una guerra, il presidente potrebbe vincerla in una settimana; 3) Ucciderebbe 10 milioni di persone, anche se non lo vuole; 4) “L’Afghanistan” nel suo insieme, senza apparente ragione, potrebbe essere spazzato via dalla faccia della Terra.

Trump ha detto quanto sopra mentre sedeva accanto al Primo Ministro pakistano Imran Khan che, con abile mossa, sta cercando di tenere buona la Casa Bianca, mentre delicatamente trasforma il Pakistan in un solido nodo di integrazione eurasiatica, accanto a Russia, Cina ed Iran.

Quando Trump afferma che gli Stati Uniti non stanno combattendo una guerra in Afghanistan, dice in parte la verità, anche se possiamo dubitare che il Team Trump abbia detto al proprio capo che quello che qui è veramente in gioco, e lo è stato fin dall’inizio, è la logistica del contrabbando di eroina da parte della CIA.

È anche dubbio che Trump possa chiedere consiglio al suo odiato predecessore, Barack Obama. Obama non avrà magari sterminato 10 milioni di persone, ma le forze sotto il suo comando avevano ucciso un numero considerevole di Afgani, compresi moltissimi civili. Eppure Obama non aveva “vinto,” tanto meno “in una settimana.”

Barack Obama aveva seriamente pensato di “vincere” la guerra in Afghanistan. Dopo essersi isolato a meditare per 11 ore, come dice la leggenda, aveva deciso un’escalation “metodica” in due fasi, 21.000 uomini più altri 30.000. Obama credeva che la guerra in Afghanistan fosse una nobile crociata e, durante la sua campagna presidenziale nel 2008, l’aveva sempre definita “la guerra giusta.”

Obama aveva giustificato questo crescente impegno con motivi umanitari e imperialisti: “per il popolo afghano, il ritorno del regime dei Talibani condannerebbe il paese ad una brutale forma di governo, all’isolamento internazionale, ad un’economia paralizzata e alla negazione dei diritti umani fondamentali per il popolo afgano, in particolare per donne e ragazze.” Il New York Times e il Washington Post avevano applaudito.

Ma, Kabul, abbiamo un problema. L’Afghanistan, bombardato e invaso sotto il regime di Cheney, non è mai stato una guerra “giusta” o una guerra “vera e propria.” Non c’è mai stata alcuna connessione talebana, provata dai fatti, con l’11 settembre. Il progetto e il finanziamento dell’11 settembre avevano coinvolto Sauditi e gruppuscoli in Germania, Pakistan ed Emirati Arabi Uniti. Il Mullah Omar non aveva mai mandato in America “terra-rist” con biglietto di sola andata.

Nonostante questo, la leadership talebana di Kandahar aveva concordato un accordo, mediato da Mosca, per costringere alla resa Osama bin Laden, che, senza neanche uno straccio di prova, era stato proclamato il malvagio colpevole dell’11 settembre, solo poche ore dopo il crollo delle Torri Gemelle. Il regime di Cheney aveva respinto l’offerta dei Talebani, così come una successiva, di consegnare Osama ad una nazione musulmana, dove sarebbe stato processato. Il regime di Cheney contemplava solo l’estradizione negli Stati Uniti.

Interviene lo SCO

Con il burattino Hamid Karzai che a malapena regnava a Kabul e con i Neoconservatori già concentrati sul loro vero obiettivo, l’Iraq, l’occupazione dell’Afghanistan era stata messa nelle mani della NATO. La cosa era già stata decisa ben prima dell’11 settembre, al G8 di Genova a luglio, quando era stato chiaro che Washington aveva un piano per colpire l’Afghanistan entro ottobre. Il regime di Cheney aveva assolutamente bisogno di una testa di ponte nell’intersezione tra l’Asia centrale e quella meridionale, non solo per tenere sotto controllo la Russia e la Cina, ma anche per coordinare il tentativo di conquistare i ricchi giacimenti di gas dell’Asia centrale.

Come ora si sa, la capricciosa storia nell’Hindu Kush ha fatto in modo che le cose andassero diversamente. I Talebani, dal 2010 in poi, avevano iniziato a guadagnare sempre più fiducia in loro stessi, al punto che ora controllano metà del paese.
Perfino quella fonte di vanità del generale David Petraeus, che aveva comandato le forze della Coalizione in Iraq, aveva sempre saputo che la guerra in Afghanistan non era vincibile. Almeno il disonorato generale Stanley McChrystal era stato più sincero: “Abbiamo sparato ad un numero incredibile di persone e ne abbiamo uccise parecchie e, per quanto ne so, nessuna aveva mai dimostrato di essere una vera minaccia.”

Tuttavia, divertimenti e i giochi di gran marca erano stati garantiti da apparati come i sistemi di artiglieria missilistica ad alta mobilità della Lockheed Martin, che avevano devastato i villaggi dei Pashtun e polverizzato le cerimonie nuziali. La propaganda del Pentagono sugli “scarsi danni collaterali” non ha mai camuffato l’assenza di informazioni reali e fruibili dal campo.

Seymour Hersh ha sostenuto che la versione di Obama dell’omicidio di Osama bin Laden nel maggio 2011 non era altro che un’elaborata opera di finzione, in seguito debitamente santificata da Hollywood. Un anno dopo l’escalation di Obama, in Afghanistan c’erano 88.000 soldati, oltre a quasi 118.000 mercenari. L’occupazione era poi defunta di una morte lenta e ignominiosa.

Chiunque abbia anche solo una remota familiarità con la difficile geopolitica dell’intersezione tra l’Asia centrale e meridionale, sa che, per il complesso militare-industriale-di sicurezza degli Stati Uniti, ritirarsi dall’Afghanistan è un anatema. Trump può anche emettere del rumore, ma è solo rumore. La base aerea di Bagram è una risorsa inestimabile dell’Impero per tenere sotto controllo l’evoluzione del partenariato strategico Russia-Cina.

L’unica soluzione possibile per l’Afghanistan è un meccanismo pan-eurasiatico,  promosso dall’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, con la Russia e la Cina al timone, l’India e il Pakistan come membri a pieno titolo e l’Iran e l’Afghanistan in qualità osservatori. L’Afghanistan verrà quindi pienamente integrato come nodo nella Nuova Via della Seta (o Belt and Road Initiative) nel corridoio economico Cina-Pakistan e nella mini Via della Seta indiana che attraverserà l’Afghanistan verso l’Asia centrale, partendo dal porto iraniano di Chabahar.

Questo è ciò che vogliono tutti i principali giocatori dell’Eurasia. È così che “si vince” una guerra.

Ed è per questo che non è necessario uccidere 10 milioni di persone.

 

Fonte: asiatimes.com
Link: https://www.asiatimes.com/2019/07/article/how-to-kill-10-million-afghans-and-not-win/
Tradotto da Markus per comedonchisciotte.org