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Controllo sociale e tecnocapitalisno nell’epoca del postumano

di Flavio Ferraro - 24/04/2020

Controllo sociale e tecnocapitalisno nell’epoca del postumano

Fonte: Il Primato Nazionale

In un articolo pubblicato il 18 dicembre 2019 sul sito della Rice University, è stato annunciato lo sviluppo di una tecnologia da parte di un team guidato da Kevin McHugh, professore di bioingegneria. Si tratta in sostanza di punti quantici a base di rame, i quali verrebbero iniettati assieme al vaccino: una volta inseriti sotto la pelle diventerebbero simili ad un tatuaggio con codice a barre, il quale potrebbe essere letto da uno smartphone (notizia ripresa dall’Ansa il 2 gennaio 2020). La Fondazione Gates, la quale ha commissionato e finanziato questa ricerca, ha intenzione di utilizzarla nella vaccinazione dei bambini, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.
È facile indovinare che questa tecnologia verrà adoperata non appena sarà disponibile un vaccino per il coronavirus, e dal momento che tutto lascia presagire che esso sarà reso obbligatorio, ciò significa che tale procedimento permetterà di stabilire all’istante se una persona è stata vaccinata oppure no. Sicuramente si tratta di un validissimo aiuto nella caccia agli “untori” che ben presto si scatenerà, rendendo sempre più difficile sfuggire alle maglie di un sistema di controllo che diviene ogni giorno più asfissiante, e che ha assunto ormai le sembianze di un vero e proprio regime sanitario-poliziesco.

Il tecnocapitalismo all’assalto della vita
D’altronde nell’epoca del postumano simili notizie non possono destare stupore. È da parecchi anni ormai che il tecnocapitalismo − ad esempio attraverso tecniche come la manipolazione genetica degli embrioni − si è lanciato alla conquista dei corpi, per ottenere il controllo della vita nella sua totalità, al fine di raggiungere la reificazione integrale dell’esistente. Inoltre le teorie transumaniste e accelerazioniste − ormai ampiamente sdoganate e non più appannaggio di qualche strampalato circolo nerd − grazie allo sviluppo delle biotecnologie e delle neuroscienze, stanno rapidamente imponendo all’immaginario collettivo un nuovo modello antropologico (o meglio postantropologico): quello di un individuo potenziato dalla tecnologia, in cui la componente organica sia ridotta al minimo, se non del tutto assente. Ed è così che si è giunti a parlare di utero artificiale, di mind uploading, di individui capaci di autofecondarsi o cambiare sesso a piacimento.

Questa figura dell’individuo postumano ha già da tempo conquistato i Moloch della Silicon Valley, basti pensare a Elon Musk o Peter Thiel, fervidi sostenitori e finanziatori delle associazioni transumaniste. E prima ancora che nei deliri di qualche CEO californiano, il postumano ha trovato piena legittimità in ambito filosofico e culturale: si pensi al cyborg di Donna Haraway, o al soggetto nomade e “il divenire macchina” di Rosi Braidotti. Anche nelle opere di queste pensatrici si afferma la necessità di superare l’uomo, di innestare nella sua carne peritura e fragile delle protesi meccaniche in grado di trasformarlo in una macchina, in un ibrido di organico e inorganico. Un soggetto cangiante, frammentato e decentrato, che fa della non appartenenza la sua identità – un’identità sempre mutevole e provvisoria − e il cui corpo, ridotto a superficie malleabile, può essere liberamente modificato, scomposto e riassemblato (come non pensare qui “al corpo senza organi” di cui parlava Deleuze?). In fondo già Michel Foucault, in Le parole e le cose, aveva decretato la morte dell’uomo, e la stessa Braidotti dichiara candidamente di non avere “alcuna nostalgia dell’uomo” (soprattutto se maschio, bianco ed eterosessuale), e si rallegra di fronte al crollo “dell’umanesimo eurocentrico e androcentrico” ( si veda in particolare la sua ultima opera, The Posthuman). Quella a cui stiamo assistendo è insomma la scomparsa dell’immagine tradizionale dell’uomo, del soggetto così come ci è stato tramandato dal pensiero greco e dall’Umanesimo, oltre che da tutte le tradizioni spirituali.

Il “marchio della Bestia”
Ma quello che dal nostro punto di vista è interessante osservare, è che l’ossessiva tendenza del tecnocapitalismo − nonché dei suoi innumerevoli mandarini sparsi nel mondo culturale e scientifico − a violare la sacralità del corpo umano, un corpo postbiologico che si vorrebbe ricoperto di protesi, microchip o impianti neurali, ha qualcosa di sinistro che rimanda ad un celebre passo de L’Apocalisse. Come non pensare infatti, tornando alla notizia da cui abbiamo preso spunto per il nostro articolo, a quel passo (XIII, 16-17) nel quale si parla di un “marchio della Bestia”, un marchio che verrà impresso a tutti “sulla mano destra e sulla fronte”, a “piccoli e grandi, ricchi e poveri” e senza il quale “nessuno potrà comprare e vendere”.

Dopo aver deturpato la sua anima – riducendo gli individui ad una serie di atomi interscambiabili, meri consumatori in un mondo la cui unica legge è quella del profitto e dello scambio commerciale – gli agenti della dissoluzione stanno cercando di profanare l’ultimo tempio: sbarrata ogni via ascendente, reciso ogni legame con il sacro, ora si vuole distruggere l’ultima traccia della forma humanitatis. Alla fine il nemico di queste forze sovversive – le quali vedono nell’uomo soltanto una monade sradicata in perpetuo mutamento − è sempre ciò che rimanda all’Essere, al Principio immutabile ed eterno della manifestazione: in definitiva, è sempre Dio il bersaglio degli attacchi sferrati dagli ideologi del postumano e della cultura della morte. E se è vero, come diceva Gόmez Dávila, che la salute ossessiona solo l’ammalato, è facile comprendere per quale ragione uno degli slogan preferiti dai progressisti sia proprio “stay human”.