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Così in Italia la ricchezza è cresciuta più del reddito È la società signorile di massa

di Carlo Formenti - 22/10/2019

Così in Italia la ricchezza è cresciuta più del reddito È la società signorile di massa

Fonte: Carlo Formenti

Segnalo un interessante articolo sull'ultimo libro del sociologo torinese Luca Ricolfi (in calce) sul Corriere della Sera di oggi. L'allievo di Claudio Napoleoni si chiede perché in Italia, alla faccia della crisi e di una composizione sociale in cui i cittadini che non lavorano sono molti di più di quelli che lavorano, si continua a consumare come se fossimo un paese opulento. La risposta è spiazzante: questo succede perché siamo una "società signorile di massa". Che vuol dire con questa definizione? Semplicemente che siamo in molti a vivere di rendita sulla ricchezza reale (case, ecc.) e finanziaria (titoli, azioni, ecc.) accumulata dai nonni. Ecco perché tanti giovani laureati che non trovano lavori all'altezza delle competenze acquisite (la produzione di titoli è sovradimensionata alla domanda di lavoro qualificato) possono permettersi di rifiutare lavori dequalificati, preferendo piuttosto non lavorare. A svolgere quelle mansioni al posto loro provvede una "struttura paraschiavistica" fatta di lavoratori stagionali, precari, colf, facchini della logistica, badanti, ecc. Questo stupefacente equilibrio fra rentiers e schiavi, scrive Ricolfi, è tuttavia destinato a non durare, perché prima o poi "la stagnazione diverrà declino". Non so se la diagnosi (che pure avevo già sentito formulare da alcuni sociologi dell'univeristà di Bari che avevano fatto una ricerca sul "welfare famigliare") rispecchi fedelmente la realtà nazionale o ne esageri certe caratteristiche. Noto però che la tesi di Ricolfi ricalca quelle di Piketty, secondo cui la ricchezza cresce più rapidamente del reddito perché la rendita cresce più in fretta di profitti e redditi da lavoro. Se ha ragione Ricolfi, il caso italiano offrirebbe una clamorosa conferma empirica di questa teoria.
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Così in Italia la ricchezza è cresciuta più del reddito È la società signorile di massa
 
Dario Di Vico

Come si concilia la fine della crescita economica con l’affermarsi di un consumo opulento di massa? Come possono stare insieme due fenomenologie apparentemente opposte come quella dei Neet e dei ristoranti pieni? Alle domande che in diverse occasioni ci siamo posti un po’ tutti arriva oggi una risposta secca del sociologo torinese Luca Ricolfi: «L’Italia è un tipo unico di configurazione sociale. È una “società signorile di massa”, il prodotto dell’innesto di elementi feudali nel corpo principale che pure resta capitalistico». La vis polemica di Ricolfi è conosciuta e apprezzata da tempo ma nel suo ultimo lavoro, La società signorile di massa (La nave di Teseo) il sociologo torinese si è dato un obiettivo più ambizioso: una rilettura delle basi sia antropologiche sia materiali di una società dove il numero di cittadini che non lavorano ha superato ampiamente il numero di quelli che lavorano, l’accesso ai consumi opulenti ha raggiunto una larga parte della popolazione e la produttività è ferma da 20 anni. Nella definizione che fa da titolo all’intero lavoro Ricolfi riconosce un debito culturale nei confronti del suo antico maestro Claudio Napoleoni. Ad alimentare i consumi sono per prime le rendite, la fonte su cui da sempre nobili, proprietari e classe agiata hanno poggiato le loro vite. Siamo diventati signori senza essere stati capitalisti.
È tra gli anni Ottanta e i primi anni Duemila che la ricostruzione di Ricolfi colloca i passaggi-chiave verso una società opulenta, che poi descrive così: «Non l’auto ma la seconda auto con gli optional. Non la casa, ma la seconda casa al mare o in montagna. Non la bici ma le costose attrezzature da sub o da sci. Non le solite vacanze d’agosto dai parenti ma weekend lunghi e ripetuti. E ancora: i corsi di judo, l’apericena, i mega schermi piatti. Un consumo che eccede i bisogni essenziali, supera il triplo del livello di sussistenza». Come testimoniano anche i 107 miliardi di spesa per il gioco d’azzardo, il 65% di vacanze lunghe, un’auto e mezza per famiglia, le ripetizioni a manetta per i figli, il 36% iscritto a palestre e centri fitness e la cifra-monstre di 8 milioni di consumatori di sostanze illegali.
Questa società signorile, che consuma più di quanto produca, a Ricolfi appare indubitabilmente malata e si regge su tre pilastri. La ricchezza reale e finanziaria accumulata dai nonni, la distruzione della scuola e, infine, la formazione di un’infrastruttura schiavistica, un esercito di paria al servizio dei Signori. Nel 1951 la ricchezza media della famiglia italiana era di circa 100 mila euro, negli anni ’90 era salita a 350 mila — grazie al debito pubblico e alle bolle speculative immobiliari — e oggi viaggia su quota 400.«La ricchezza è cresciuta più del reddito» annota Ricolfi. Che riserva parole durissime allo stato di (cattiva) salute della scuola. È stata l’istruzione senza qualità a generare il fenomeno della disoccupazione volontaria che il sociologo riassume simbolicamente nella storia di un pizzaiolo piemontese tra i migliori d’Italia che in otto mesi non è riuscito a coprire un posto da cameriere nel suo locale. «I titoli di studio rilasciati dalla scuola e dall’università sono eccessivi rispetto alle capacità effettivamente trasmesse — rincara Ricolfi — La scolarizzazione di massa ha moltiplicato il numero di aspiranti a posizioni sociali medio-alte ma il numero di tali posizioni resta invariato». I giovani però possono permettersi di rifiutare offerte di lavoro che giudicano inadeguate perché nonni e padri hanno accumulato una quantità di ricchezza senza precedenti. Infine il lato oscuro della società signorile: la «struttura paraschiavistica», quella parte della popolazione residente, per lo più straniera, collocata in ruoli servili a beneficio dei cittadini italiani. Chi sono i paria di Ricolfi? Lavoratori stagionali spesso africani, prostitute, colf, dipendenti in nero, facchini della logistica, muratori dell’Est. Un esercito di 2,7 milioni di persone che genera surplus e eroga servizi a famiglie e imprese e «senza i quali la comunità dei cittadini italiani non potrebbe consumare come fa». Ma l’Italia dei Troppi Signori e dei Tanti Paraschiavi ha un futuro? La sentenza di Ricolfi non lascia adito a dubbi: «Il nostro stupefacente equilibrio è destinato a rompersi, la stagnazione diverrà declino. La società signorile è un prodotto a termine».