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Creare un nuovo reddito di Contadinanza

di Susanna Tamaro e Andrea Segrè - 19/07/2019

Creare un nuovo reddito di Contadinanza

Fonte: Corriere della Sera

L’agricoltura e le aree rurali del nostro Paese rappresentano un patrimonio straordinario che ancora non riusciamo a valorizzare al meglio



L’ appello che lanciammo due anni fa al Governo di allora — Il ritorno alla terra. Opportunità per i giovani, Corriere della Sera, 14.10.2017 — è rimasto inascoltato. Proponevamo alcuni interventi per favorire il ritorno alla terra e al lavoro agricolo dei più giovani e dei disoccupati (spesso le due «categorie» coincidono). Per ottenere almeno due risultati: aiutare le persone più colpite dalla crisi economica e scongiurare il continuo abbandono di terre fertili, il conseguente dissesto idrogeologico e la crisi ambientale. Un modo per coniugare l’ecologia con l’economia, riconoscendo che la radice dei due termini è la stessa: casa. Una casa grande, il mondo e le sue risorse naturali, e una casa più piccola, quella dove abitiamo. Oggi ci rivolgiamo alle cariche più alte della nostra casa comune, l’Italia. Speriamo che vogliate ascoltarlo e ve ne facciate carico con interventi adeguati. In gioco ci sono la terra e i giovani, cioè il nostro futuro.

L’appello
L’agricoltura e le aree rurali del nostro Paese rappresentano un patrimonio straordinario che ancora non riusciamo a valorizzare al meglio nonostante vogliano dire: cibo, lavoro, salute, ambiente, paesaggio, cultura, turismo... Le tendenze degli ultimi decenni sono allarmanti: abbandono delle aree collinari e montane; invecchiamento degli agricoltori senza ricambio generazionale; aumento dei costi di produzione e diminuzione dei prezzi di vendita (i prodotti non si raccolgono neppure); scarsa formazione; assenza di servizi e infrastrutture (acqua, strade, scuole, ospedali, internet); un apparato burocratico-amministrativo che obbliga soprattutto a «coltivare carta».

I giovani
Altrettanto allarmante è la condizione dei giovani: un terzo dei ragazzi che vivono nel nostro Paese è in quel limbo che sta al di fuori dagli studi e ai margini del percorso lavorativo. Possibile che queste tendenze non si possano ribaltare, proprio facendo incontrare la terra e i giovani? Negli ultimi anni sono state avviate alcune misure per stimolare nuovi insediamenti agricoli per i giovani. I risultati finora sono timidi ma incoraggianti. Lavorare in campagna non è facile, non solo perché la «terra è bassa»: servono competenze e condizioni che favoriscano l’insediamento in un contesto sempre più difficile, anche dal punto di vista del cambiamento climatico e delle sue conseguenze estreme. D’altra parte non tutti ereditano la terra e/o possono studiare nei dipartimenti di agraria o negli istituti tecnici, anche se negli ultimi anni le iscrizioni sono aumentate. Alcune ricerche dimostrano che l’occupazione in campagna attirerebbe chi ha meno di 35 anni e non ha origini agricole: sono gli agricoltori di prima generazione. Anche altre figure potrebbero essere «richiamate» per la necessità di trovare un’occupazione.

Tre azioni
Concretamente cosa si potrebbe fare per questa nuova «contadinanza»? Tre azioni: formazione, reddito, semplificazione. Chi entra nel settore dopo aver studiato o fatto altro (o nulla), spesso non ha modo di tornare sui banchi. L’approccio va ribaltato: sono gli insegnanti che vanno nei campi, gli insediamenti agricoli diventano aule a cielo aperto. Va promosso un patto con le scuole agrarie superiori e universitarie affinché possano offrire, gratuitamente per i beneficiari, dei corsi per imprenditori agricoli direttamente sul campo. Delle moderne «cattedre ambulanti», quelle dove i professori alla fine dell’800 andavano nelle campagne e trasmettevano materialmente ai contadini i saperi agrari. La nuova «contadinanza» va guidata nella quotidianità e nelle difficoltà delle pratiche agricole sia tecniche che economiche. La teoria è importante ma la pratica è fondamentale per riuscire nell’impresa e garantire un reddito almeno «soddisfacente», come dicevano una volta gli economisti agrari. La seconda leva riguarda appunto il reddito. Che non è scontato, soprattutto per chi inizia e non viene dal mondo contadino. Ecco la seconda proposta: garantire ai giovani un reddito di contadinanza, un contributo limitato nel tempo che possa fungere da humus, da concime, aspettando che gli investimenti necessari a far decollare l’impresa possano generare i primi frutti.

La trappola
L’obiettivo — legando il reddito all’apprendimento — è quello di evitare la trappola mortificante dell’assegno da ritirare ogni mese per sopravvivere. Dobbiamo puntare a un incentivo che non intacchi la dignità di chi lo riceve, che non crei subalternità o dipendenza. Il reddito di contadinanza spezzerebbe questo circuito vizioso perché è legato all’operatività, al fare. Gli agricoltori producendo il cibo che mangiamo tutelano il nostro territorio e la nostra salute. Dobbiamo riconoscere questo valore, ed essere disposti — noi consumatori — a pagarlo. La terza leva, ma più che leva qui dovremmo usare il verbo levare, riguarda la semplificazione burocratica-amministrativa. Se ne parla da anni, tutti i governi che si succedono fanno delle promesse che poi non mantengono. Il carico di carta da coltivare aumenta a dismisura, con i relativi costi non solo economici ma anche di tempo. Si è sviluppato un apparato parassitario che si autoalimenta. Facciamo una moratoria: eliminiamo tutta la carta, facciamo dialogare le banche dati. Ribaltiamo il principio che tutti vogliono fregarci. Per una volta pensiamo che stanno semplicemente cercando di fare. I costi di questi interventi andranno accuratamente stimati. Pensiamo però che possano essere inferiori rispetto ai benefici ottenibili in termini di salvaguardia della natura, dell’agricoltura che ne fa parte, di prevenzione dei disastri ambientali e del lavoro che la nostra Costituzione vorrebbe garantire a chi non lo ha e in particolare ai giovani. SIGNORI PRESIDENTI, ci aiutate a far sì che queste azioni diventino misure concrete per favorire lo sviluppo di una nuova #contadinanza?