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Ditelo a Trump: il Medio Oriente non è Hollywood e avanza un nuovo ordine

di Alberto Negri - 29/10/2019

Ditelo a Trump: il Medio Oriente non è Hollywood e avanza un nuovo ordine

Fonte: Alberto Negri

L’inaffidabile racconto hollywoodiano di Trump sulla fine di al Baghdadi. In Medio Oriente intanto si profila un nuovo ordine dopo gli anni dominati dalle milizie e dagli attori non statuali
C’era una volta… in Siria, anzi a Hollywood, ma questa volta non c’è Tarantino alla regia e il copione fa acqua da tutte le parti. Anche i russi del ministero della Difesa smentiscono Trump: non abbiamo mai aperto nessuno spazio aereo agli americani.
Oltre al racconto di Trump sull’uccisione del capo dell’Isis – con battute inventate da lui visto che nella “situation room” della Casa Bianca non c’era neppure l’audio – è il momento di chiedersi cosa stia accadendo in una regione dove la mappa geopolitica è rapidamente cambiata nel giro di due settimane.
Ma il racconto di Trump merita qualche sottolineatura. In particolare la sua descrizione del Califfo che urla e piange nel tunnel dove si è fatto esplodere. In primo luogo «un codardo», come dice lui, non si fa saltare in aria. E poi è un falso. Non solo le immagini che ha visto Trump erano senza audio, ma non ha potuto seguire neppure quelle nel tunnel perché i video dei soldati sono stati consegnati solo dopo la conferenza stampa. Ma Trump, con fervida immaginazione, ha inventato i dettagli della morte di Al Baghdadi, imbarazzando anche il capo del Pentagono Mark Esper.
I testimoni siriani parlano di tre ore di raid e bombardamenti: non è stato un blitz ma una battaglia. Fatta da chi e come? Da un aereo Usa e da sei elicotteri che poi dovevano tornare in Iraq con 70 minuti di volo? Oppure in Turchia, che è a 5 minuti di volo ed è un Paese con basi Usa e Nato? Un racconto non credibile: forse a Trump il Pentagono ha dato informazioni monche perché non si fida. È non si fidano i russi che controllano i cieli siriani con jet, radar e contraerea. Il portavoce ministero della Difesa russo Igor Konashenkov ha dichiarato che Mosca «non è in possesso di prove affidabili sulla morte del leader dell’Isis», sottolineando che coloro che riferiscono della partecipazione dei russi all’operazione – ovvero lo stesso Trump – hanno riportato dettagli sbagliati, alimentando dubbi sul raid.
In Medio Oriente intanto si profila un nuovo ordine dopo gli anni dominati dalle milizie e dagli attori non statuali. L’Isis al culmine della sua espansione tra Siria e Iraq dominava un territorio vasto come l’Italia con un popolazione di 10-12 milioni, mentre altri dovevano sottostare comunque ai gruppi affiliati ad Al Qaida o ad altre bande jihadiste. La stessa area di Idlib, ai confini con la Turchia, dove oggi è prevalente il gruppo qaidista Hayat Tahrir al Sham (ex Al Nusra), in concorrenza con l’Isis, conta un paio di milioni di abitanti. Mentre le milizie curde hanno dovuto abbandonare sotto i colpi di Erdogan un territorio strategico con città per loro decisive, sostituiti da turchi, milizie filo-Ankara, russi e soldati di Assad tornati in forze in un’area dove non c’erano da anni.
Ora queste milizie, islamiste e non, devono tornare sotto il cappello dello stato siriano, turco o iracheno. La Turchia è chiamata da Putin e dall’Iran a rispettare i patti di Astana, restituire Idlib a Damasco e farsi carico dei jihadisti che ha già in parte incorporato nelle milizie anti-curde schierate nella «fascia di sicurezza»: il Rojava abbandonato dagli americani. E a proposito di foreign fighter dell’Isis sono centinaia quelli europei detenuti nella Siria settentrionale, territorio il cui futuro è assai incerto. I governi europei, riluttanti a riportarli a casa cercano, come ha fatto Macron con l’Iraq, di processarli e condannarli morte nella regione. Esiste ora il rischio che molti possano sfuggire e anche l’Europa prima o poi dovrà riprenderseli.
A guidare il processo di «ritorno all’ordine» statuale non sono gli Usa e tantomeno l’Europa ma il capo del Cremlino. Uno schema che potrebbe replicarsi in Libia dove Putin, con egiziani ed Emirati, sostiene Haftar, mentre Erdogan appoggia con le armi Al Sarraj alleato degli italiani. Ma L’Italia militarmente non conta, quindi dovrà negoziare anche con Putin per stabilizzare la Libia, visto che gli alleati europei e americani, come si vedrà anche alla conferenza di Berlino, non tengono conto alcuno delle istanze nostrane.
L’altro protagonista mediorientale è Assad che si conferma l’ultimo raìs arabo, erede di quel partito Baath dato per morto e sepolto con la fine di Saddam Hussein in Iraq nel 2003. Porta a casa un successo anche l’Iran: ogni rafforzamento di Assad è un punto a favore della repubblica islamica i cui alleati sono stati messi in difficoltà dalle rivolte popolari in Iraq e nel Libano degli Hezbollah. La mezzaluna sciita è quindi chiamata a una nuova prova di sopravvivenza anche se è stato fatto fuori un nemico mortale come Al Baghadi. Ma sono altri i due nemici che oggi agitano le piazze arabe, oltre le barriere settarie, più insidiosi e quasi imbattibili: l’ingiustizia sociale e la corruzione. Ditelo a Trump che il Medio Oriente non è Hollywood.