È tregua
di Enrico Tomaselli - 24/06/2025
Fonte: Giubbe rosse
Una cosa va detta subito, e senza esitazioni. Che il conflitto Israele-USA-Iran si sia concluso è un bene. Pur consapevoli che la sicumera trumpiana circa la durata sempiterna del cessate il fuoco è ridicola, e che siamo di fronte ad una tregua, che reggerà quanto reggerà. E che le cause del conflitto sono ancora tutte lì, e quindi torneranno prima o poi a manifestarsi.
Ciò detto, proviamo a fare un primo bilancio di questo veloce scontro - durato solo dodici giorni - che può in effetti essere considerato come una estensione dei due precedenti 'scambi' tra Iran ed Israele; non a caso, Teheran ha denominato questa operazione True Promise III, ricollegandola direttamente alle due precedenti.
Sotto il profilo dei danni reciprocamente inferti, possiamo tranquillamente affermare che sono stati importanti ma non significativi; probabilmente, in termini assoluti, sono maggiori quelli subiti dall'Iran ma, considerando la diversa capacità di assorbimento dei due paesi (soprattutto sotto il profilo psicologico), si può considerare lo scambio di colpi come sostanzialmente equilibrato. Nessuno dei due ha subito perdite materiali che non siano ripristinabili in tempi relativamente brevi. Anche gli attacchi statunitensi ai siti nucleari iraniani hanno fatto danni abbastanza limitati, e comunque non tali da fermare il programma di arricchimento - che sia per scopi civili o, come potrebbe ora diventare, per scopi militari. Certo l'Iran ha subito la perdita di alcuni scienziati impegnati nel programma (non è purtroppo una novità, e non vale a fermare alcunché), così come di alcuni alti ufficiali (tutti peraltro abbastanza anziani, che sono già stati sostituiti).
Ovviamente, ed in modo anche abbastanza sfacciato, ora comincia la sceneggiata con cui ciascuno dei tre attori rivendicherà il proprio indiscutibile successo. Prevedibilmente, Trump ha aperto le danze col suo solito stile sopra le righe, dando libero sfogo al suo narcisismo patologico; ma, per una volta, con un qualche fondamento. Resta il fatto che, al di là degli storytelling, alcuni elementi restano chiari.
Ad aprire lo scontro è stata Israele, non l'Iran.
La maldestra trattativa intavolata da Trump per cercare di incastrare l'Iran in un accordo più stringente del JCPOA è stata vanificata dalla ferma posizione di Teheran.
L'Iran ha 'tenuto botta' sotto l'attacco israeliano (sostenuto da rifornimenti continui da parte dei paesi NATO), replicando a sua volta colpo su colpo.
L'attacco USA ai siti nucleari è servito a mostrare una considerevole capacità operativa della sua aviazione (messaggio urbi et orbi), ma soprattutto ad offrire una via d'uscita a Tel Aviv, in evidente e crescente difficoltà nel contrasto agli attacchi missilistici iraniani.
La tempistica, del resto, è evidente. Trump annuncia trionfalmente un accordo di cessate il fuoco; Netanyahu accetta il cessate il fuoco; Teheran comunica che, se Israele interrompe gli attacchi, li interromperà a sua volta. E si tiene pure l'ultimo colpo (sparato appena prima dell'entrata in vigore, ma dall'est del paese, cosicché è arrivato dopo la scadenza…) [1].
In questo quadro, è evidente che chi ne esce sconfitto è Israele, ed in particolare Netanyahu. Il tentativo di dare una spallata al governo iraniano, con un violento first strike combinato ad una serie di omicidi mirati ed attacchi di agenti infiltrati e quinte colonne, è clamorosamente fallito. Sono emersi tutti i limiti di un sistema di difesa, chiaramente non in grado di proteggere il paese dagli attacchi missilistici. Le città e gli impianti israeliani sono stati soggetti ad una significativa distruzione, cui non erano certamente abituati, provocando la fuga precipitosa di migliaia di coloni. Il tentativo di coinvolgere gli USA in una guerra decisiva contro l'Iran non è andato a buon fine. Nessun danno significativo è stato inflitto al programma missilistico ed a quello nucleare iraniano (e semmai sarebbe da attribuire agli Stati Uniti, certificando che Israele da sola non è in grado). Nessuna sconfitta militare, nessun regime change. La minaccia di chiudere lo Stretto di Hormuz ha costretto Washington a chiedere la mediazione di Pechino (il nemico n° 1) per evitarlo.
Mentre Trump può pavoneggiarsi, sostenendo di aver agito con decisione, ed al tempo stesso di aver conseguito la sua 'mission' pacificatrice, Netanyahu dovrà rendere conto di una guerra inutile che ha portato solo distruzione.
Teheran ne esce a sua volta rafforzata: la nazione si è stretta attorno al governo, le forze armate sono state capaci di reggere l'impatto e contrattaccare, ha mostrato fermezza ma anche moderazione (cosa certamente gradita a Mosca ed ancor più a Pechino).
Ovviamente, adesso si apre un'altra partita.
Poiché la narrazione statunitense ed israeliana metterà al centro la presunta distruzione del programma nucleare iraniano, ciò offrirà il destro per buttarla in caciara e probabilmente rinviare sine die il negoziato precedentemente interrotto dall'attacco israeliano. Come già è stato per la ripresa del dialogo USA-Russia, silenziosamente scomparso dall'orizzonte, anche questo si candida ad evaporare. Del resto, proprio l'esito dello scontro, così come la sua evoluzione, dice chiaramente che la posizione iraniana resta identica [2]. E quindi riaprire il capitolo significherebbe riandare a sbatterci.
La gestione della crisi da parte iraniana, a sua volta, porterà ad un rafforzamento dei legami con Russia e Cina. Sia Mosca che Pechino hanno avuto prova della capacità militare e politica di Teheran, e quindi sia della sua completa affidabilità, sia della necessità di sviluppare ulteriormente la partnership, in particolare rafforzando le capacità di difesa iraniane. Ad entrambe essendo chiaro che il conflitto verrà prima o poi riaperto.
Per quanto riguarda il quadro regionale, lo scontro si conclude con le parti sulle medesime posizioni di partenza, il che ne rivela la sostanziale inutilità.
In termini più ampi, strategici e geopolitici, questa crisi ha sottolineato ancora una volta l'incapacità strutturale degli Stati Uniti - e di questa amministrazione in particolare - nell'affrontare e risolvere i problemi per via negoziale, confermando altresì come la speciale relazione con Israele inchiodi Washington in un ruolo pericolosamente destabilizzante. La tradizionale posizione russa di 'non-ostilità' nei confronti di Israele è stata messa in crisi (anche in virtù dei rapporti tra Kiev e Tel Aviv), e certamente la 'sponda' moscovita di Israele si è di molto raffreddata. L'effetto a medio termine sarà probabilmente quello di spingere molti paesi verso lo sviluppo di armi nucleari, viste come 'garanzia' di sicurezza per la propria indipendenza. Più in generale, è probabile che questo breve conflitto triangolare, tra Israele e USA vs Iran, risulti un elemento acceleratore rispetto alle dinamiche del più ampio conflitto occidente vs resto del mondo, sia perché - appunto - ha messo in evidenza la costante tentazione bellica degli Stati Uniti (e la sua difficoltà nelle ipotesi negoziali), sia perché si è consumato un ulteriore, significativo passo in direzione della cancellazione del diritto internazionale - e sia la Russia che la Cina intendono invece mantenere in questo quadro lo scontro col declinante impero statunitense.
In buona sostanza, quindi, abbiamo appena assistito ad una ricca puntata della serie "Terza Guerra Mondiale", ma già si annunciano nuove, avvincenti stagioni.
1 - A seguito di una telefonata tra Trump e Netanyahu, Israele ha colpito un obiettivo simbolico in Iran. L'attacco ha colpito una vecchia installazione radar, inquadrato come una risposta al precedente attacco dell'Iran e una violazione del cessate il fuoco da parte dell'IRGC. Il Primo Ministro israeliano ha scelto di ridurre l'attacco piuttosto che annullarlo del tutto.
2 - L'Iran svilupperà l'industria nucleare e non fermerà mai questo processo, ha ribadito il rappresentante dell'Organizzazione per l'energia atomica della Repubblica islamica.