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Gli occidentali vivono nell’età del vuoto

di Massimo Cacciari - 29/09/2025

Gli occidentali vivono nell’età del vuoto

Fonte: La Stampa

Viviamo un’epoca in cui la sproporzione tra le tragedie che colpiscono interi popoli e le nostre parole è ormai tale che solo ad aprir bocca sembra di mentire. Che vale intendere, interpretare, ricercare cause e nessi storici di fronte a donne e bambini trattati come eserciti nemici in fuga? Neppure si prova vergogna a discettare sul nome più adatto per definire la “cosa” – chiamarla genocidio o ricostruzione immobiliare delle spiagge di Gaza non ne sposta di uno iota l’orrore. Io temo che essa, proprio nella sua violenza, dica del vuoto che sta tutti inghiottendo, che questo sia il suo vero nome. Il vuoto può contenere certo, ancora invisibili, i germi di nuovi organismi e nuovi ordini, ma nel momento in cui si manifesta sono la distruzione del passato, il mischiarsi dei relitti che da esso provengono, la babelica confusione delle lingue a dominare la scena. Gaza può oggi accadere perché il mondo sta precipitando in tale vuoto.
Dentro di esso, segni destituiti ormai di ogni significato, vagano, come nobili fantasmi, le parole che credevamo potessero orientare le nostre vite. Democrazia significava inderogabile dovere di solidarietà, compito dello Stato rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono la libertà reale della persona, ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali. Democrazia significava anche un’idea dei “diritti umani” non fondata sulla presunzione che la nostra civiltà ne costituisse la sola misura, e che a essa dovessero assimilarsi tutte le altre. Tutto sembra dimenticato. Il vuoto che si è aperto è anche questo buco della memoria, che si allarga di ora in ora. Dimentichiamo anzitutto le nostre responsabilità e le nostre colpe.
La colpa è sempre dell’altro, il male sta sempre dall’altra parte. Noi, gli occidentali, i democratici, siamo innocenti. Le grandi Guerre sono colpa di padri e nonni. Roba passata, come mai esistita. Nulla ci insegna, nessun pericolo ci indica. La Guerra stessa diviene un “pezzo” della conversazione quotidiana. Dimenticato il suo orrore, se ne chiacchiera come di un evento “naturalmente” possibile. Proprio così avveniva nella Belle Époque alla vigilia dell’apocalisse 1914. Invece di gridare che la Guerra deve essere impossibile e fare tutto il possibile per risolvere le guerre in atto, si discetta sulla forma che essa potrebbe assumere e su come intanto continuare a condurre quelle ancora “locali”.
C’è davvero da chiedersi se questa condizione di vuoto e di smemoratezza non sia il prodotto della evoluzione dei sistemi democratici dell’Occidente dopo la seconda Grande Guerra. L’“uomo democratico” si è via via ridotto all’“uomo proprietario”, per il quale l’unico bene che appare reale è il bene per sé. Pericolosissima illusione, che de-responsabilizza e nega ogni forma di partecipazione politica. Il passaggio da una libertà dimentica di ogni dovere, innocente nei confronti di ogni ingiustizia subiscano “gli altri”, a una libertà obbediente ai poteri che si pensa la possano proteggere, è una soglia facilissima da oltrepassare. Non appena una crisi metta in discussione i sacri diritti del solitario individuo, questi sarà sempre pronto a rifugiarsi in seno agli “amici del popolo”, che lo assicureranno della propria naturale bontà e gli spiegheranno come la crisi sia colpa esclusiva della perfidia del Nemico. È il passaggio sempre aperto tra democrazia e autoritarismo, libertà e sottomissione. Noi abbiamo dimenticato quanto sia facile varcarlo.
Il vuoto è pieno soltanto del senso della nostra impotenza. Impotenza a dare un nuovo, concreto, pratico significato alle parole di cui ci siamo nutriti. Impotenza nei confronti di un sistema oligarchico-plutocratico di cui avvertiamo bene il dominio, ma che sfugge a ogni presa, in nessun modo determinabile secondo i vecchi criteri del Politico. Un sistema che tiene tutti liberamente al lavoro e “sotto processo”. Solo Kafka nel Novecento è riuscito a presagire una tale condizione umana. Naturalmente, abbiamo dimenticato anche lui. Se lo ricordassimo, proveremmo come lui orrore per tale condizione – e questo sarebbe davvero il primo passo per superarla.
All’orrore siamo ormai del tutto assuefatti? Se sì, ricordiamo che questo è il presupposto perché la Guerra dilaghi. Dopo l’assuefazione alla sua idea potrebbe venire anche l’applauso. Magari non quello entusiasta delle masse del ’14 e del ’39, ma poco cambia. Basterà non vi sia una massa capace di opporsi. Ma perché questa esista occorre prepararla, organizzarla, schierarla contro i predicatori, mascherati o no, dell’inevitabile. Qualche dissenso e un po’ di sdegno sono il contorno della resa. Una simil-sanzione contro i criminali aumenta, non copre la vergogna.
Dallo spirito d’Europa può venire il contraccolpo? Dobbiamo sperarlo, nonostante tutto. Oggi siamo stretti tra due vuoti, la dimenticanza del passato e un futuro che ha assunto il solo significato della indefinita crescita. Il nostro presente si è sradicato dal suo passato nella stessa misura in cui è divenuto cieco sul fine del proprio procedere.
Tuttavia, se ritorniamo in noi stessi, possiamo sconfiggere la diabolica tentazione di pensare ancora alla Guerra come all’unico mezzo per ricondurre tutti in un ovile, in una religione e sotto un solo principe; possiamo dar vita a un Diritto realisticamente imperniato su organismi e istituzioni terze, ai quali gli Stati attribuiscano poteri effettivi; possiamo governare il progresso tecnico-scientifico secondo le energie liberatrici che esso pure in sé contiene e dargli così quel senso che oggi non manifesta in alcun modo. Questi sono pure “valori”, principi che hanno contato nella nostra cultura. Il loro peso si è del tutto liquidato? Se così fosse, l’accelerazione senza freno della nostra vita, che lo sviluppo delle forze produttive dimostra, sviluppo che non sa indicare alcun fine oltre sé stesso, è destino precipiti prima o poi in una catastrofe risolutiva.