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Gli scricchiolii degli Usa che devono preoccupare l’Europa

di Mauro Bottarelli - 21/05/2023

Gli scricchiolii degli Usa che devono preoccupare l’Europa

Fonte: Il Sussidiario

La situazione americana non è florida, ma oltreoceano si è in grado di reggere l’urto di una crisi, mentre in Europa no.
La pantomima del debt ceiling, il tetto al debito Usa, sta entrando in modalità overdrive. Ieri Joe Biden ha parlato sull’ipotesi di default preventivo, mentre Jamie Dimon e altri Ceo bancari incontreranno Chuck Schumer, leader della maggioranza del Senato. Insomma, si corre. O, quantomeno, si vende al Paese il senso di urgenza. Non a caso, il Presidente ha reso noto che resterà giusto il tempo necessario al G7 giapponese di questo weekend e ha annullato la visita in Australia. Il tutto per un rituale che, di fondo, porta con sé un’unica, incontrovertibile realtà: gli Usa non possono fare default. Non fosse altro perché le entrate fiscali sono sufficienti a coprire le maturities e anche le spese per interessi. Almeno fino a marzo 2024. Al limite, a piangere saranno 25 milioni di dipendenti governativi senza stipendio. E, forse, gli ucraini e le loro aspettative di fondi da Oltreoceano (non a caso, qualcuno a Bruxelles ha accelerato gli stanziamenti “sostitutivi”, ovviamente tutto in punta di casualità).
Certo, formalmente la situazione appare seria. E molto. Soltanto martedì, 16 maggio, il Tesoro Usa ha bruciato 52 miliardi di dollari, portando il gruzzolo rimanente per le spese di amministrazione ordinaria dello Stato a soli 87 miliardi. A conti fatti, il D-Day dovrebbe quindi cadere il 5 giugno. Ma si tratta solo di una minaccia formale. Quelle reali, sono altre. Ad esempio, come mostra questo grafico apparentemente lunare, il fatto che sempre il 16 maggio, il mercato abbia deciso di abbandonare ogni residuo di decenza. Mostrando la distorsione da market cap al suo meglio: 85% di downside a livello di titoli azionari e le solite FAANG a operare da safe haven che ha permesso a Wall Street di chiudere la giornata sì in negativo. Ma per meno dell’1%.
Dalle Nifty Fifty alle Nifty Five (o poco più), la storia delle manipolazioni borsistiche statunitense pare ripetersi in continuazione. Ma ecco che questi altri due grafici mostrano ancora meglio quale sia il livello di delirio ormai in atto, di fatto nulla più che una recita a soggetto nell’attesa di un nuovo diluvio di liquidità.
Attraverso il desk di Goldman Sachs, qualche burlone ha deciso di operare come un pazzo sulle opzioni del Vix di agosto. A 60. Da meno di 20 attuale, stante quota 17 raggiunta mercoledì, giornata in cui – casualmente – proprio l’indice di volatilità è letteralmente crollato del 5%. Guarda caso, 24 ore dopo quello strano balzo guidato da una scommessa apparentemente folle di mercato che, da qui a tre mesi o poco più, diverrà più impazzito a livello di sentiment di una pallina del flipper. Ovviamente, solo coincidenze. Sufficienti però a far circolare rumors sulla volontà della Sec, l’ente di vigilanza del mercato Usa, di esplorare l’ipotesi di nuovi poteri per le clearing houses rispetto alle margin calls intraday. Meraviglioso, nemmeno una serie di Netflix sarebbe arrivata a una tale, esplicita affermazione di volontà manipolatoria del banco del casinò. Chapeau.
Ed ecco che il secondo grafico ci mostra quale sia stata sempre mercoledì l’opzione più gettonata, oltre 300.000 trattate e un +200% dal giorno precedente. Lo SPY, l’Etf sullo Standard&Poor’s 500. Qualcuno vede volatilità alle stelle, altri Wall Street in orbita. Sullo sfondo, la pantomima di un Paese in default. E quel grafico sull’indicatore di market breadth, la profondità di mercato misurata tramite la ratio quotidiana fra numeri di titoli che salgono e che scendono, pubblicato per primo che farebbe ridere, se non ci fosse da piangere pensando alle conseguenze che patirà la povera Europa che gioca alla guerra per procura. Di chi, nel frattempo, giustamente pensa ai fatti suoi. E si prepara all’ennesimo rally, all’ennesimo giro di giostra, all’ennesima orgia di helicopter money. Perché signori, sottotraccia succede di tutto.
In principio, fu l’ondata di licenziamenti nel settore tech dello scorso inverno. Oltre 150.000 tagli, fra effettivi e annunciati. Ma la narrativa era altra: l’economia statunitense tira, la Fed sta combattendo con successo l’inflazione e il soft landing che garantirà al Paese di evitare la recessione è assicurato. Oggi le serie storiche parlano di un 75% di possibilità di ingresso dell’economia Usa in recessione. L’ultimo survey dell’Università del Michigan in tal senso è stato spietato e i dati relativi all’utilizzo di carte di credito di Bank of America parlano di un primo, netto rallentamento dei consumi da due anni a questa parte. E di un +17% su base annua del ricorso a carte di credito e debito per arrivare a fine mese, un balzo che non di registrava dal 2008.
La sbornia di liquidità del Covid è finita. JP Morgan lo aveva detto: i risparmi in eccesso dei programmi di sostegno termineranno a giugno 2023. Et voilà, le prime crepe. Casualmente, tutto in contemporanea con la crisi bancaria più pazza del mondo (Michael Burry, Mr. Big Short, ha appena reso noto di aver acquistato titoli di banche regionali con il badile) e appunto il dibattito kafkiano sul debt ceiling. E cosa ci mostra questo grafico?
Che il credit crunch è già tra noi. Quantomeno Oltreoceano. Non accadeva infatti sempre dal funesto 2008 che nell’arco di 48 ore i tribunali Usa si vedessero intasati con sette procedure di Chapter 11. E non parliamo del drive-in di Arnold’s o della lavanderia dei Jefferson, bensì di Vice Media LLC, Envision Healthcare Corp. (controllata da KKR & Co.), l’azienda di home security Monitronics International Inc., il produttore chimico Venator Materials Plc, quello petrolifero Cox Operating LLC, l’azienda di materiali ignifughi Kidde-Fenwal Inc. e la ditta biotech Athenex Inc. Tutte in fila per la bancarotta. Nell’arco di due giorni. E con Wall Street che, come d’abitudine, spreca i propri plissé solo per la mosse della Fed. Nel frattempo, i dati macro cinesi hanno smentito con i numeri la narrativa del re-opening. E anche l’impulso creditizio ha deluso, tanto da aver già alimentato il dibattito riguardo la tempistica del prossimo mega-taglio dei requisiti di riserva bancari. E non sottovalutando il dato peggiore: la disoccupazione giovanile in Cina è salita al record assoluto del 20,4%. E in generale, il Dragone soffre di insufficiente domanda interna.
Uno tsunami di quale genere sta quindi per alluvionare il mondo? E l’Europa, come si appresta ad affrontare l’onda anomala? Stante le prospettive inflazionistiche, alzando i tassi almeno fino a settembre. D’altronde, oggi la priorità è finanziare e armare la controffensiva ucraina. Sicuri che la dinamica geopolitica sottostante sia quella della nuova Guerra Fredda 2.0, contesto che necessita per l’Ue una presa di posizione chiara? A marzo, nel pieno della crisi bancaria, la Cina ha comprato Treasuries Usa per 20 miliardi di dollari, il massimo da gennaio 2021. Il grande ritorno. Gli amici-nemici si vedono nel momento del bisogno. Mentre i fessi, solitamente li si trova sempre dalle parti di Bruxelles.