Gli USA hanno bisogno della guerra di Gaza
di Pepe Escobar - 19/11/2023
Fonte: Come Don Chisciotte
A Gaza Washington deve vincere contro l'Iran perché in Ucraina non è riuscita a vincere contro la Russia.
Il Sud globale si aspettava l’alba di una nuova realtà araba.
Dopo tutto, le manifestazioni di protesta nei Paesi arabi – anche se represse nelle loro nazioni d’origine – avevano espresso una rabbia feroce contro l’eccidio dei palestinesi nella Striscia di Gaza da parte di Israele.
I leader arabi erano stati costretti a prendere qualche provvedimento, oltre al ritiro di qualche ambasciatore da Israele, e avevano convocato un vertice speciale dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OCI) per discutere della guerra israeliana in corso contro i bambini palestinesi.
I rappresentanti di 57 Stati musulmani si erano riuniti a Riyadh l’11 novembre per dare una risposta seria e concreta contro chi pratica e favorisce il genocidio. Ma, alla fine, non è stato dato nulla, nemmeno un po’ di conforto.
La dichiarazione finale dell’OCI sarà custodita per sempre nel Palazzo Dorato della Codardia. I punti salienti del retorico e pacchiano spettacolo: ci opponiamo all'”autodifesa” di Israele; condanniamo l’attacco a Gaza; chiediamo (a chi?) di non vendere armi a Israele; chiediamo alla (illegale) Corte Penale Internazionale di “indagare” sui crimini di guerra; chiediamo all’ONU una risoluzione di condanna di Israele.
Per la cronaca, questo è il meglio che 57 Paesi a maggioranza musulmana sono riusciti a tirar fuori in risposta a questo genocidio del XXI secolo.
La storia, anche se scritta dai vincitori, tende a non perdonare i codardi.
I primi quattro codardi, in questo caso, sono l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein e il Marocco – questi ultimi tre avevano normalizzato le relazioni con Israele sotto pesanti pressioni degli Stati Uniti già nel 2020. Sono loro che hanno costantemente bloccato l’adozione di misure serie al vertice dell’OCI, come la bozza di proposta algerina per il divieto di esportazione di petrolio a Israele e il divieto di utilizzare lo spazio aereo arabo per il trasporto di armi allo Stato di occupazione.
Anche l’Egitto e la Giordania – vassalli arabi di lunga data – non si sono impegnati, così come il Sudan, che è nel mezzo di una guerra civile. La Turchia, sotto il sultano Recep Tayyip Erdogan, ha dimostrato ancora una volta di essere tutta chiacchiere e niente fatti; una parodia neo-ottomana del texano “tutto cappello, niente bestiame”.
BRICS o IMEC?
I quattro principali vigliacchi meritano di essere esaminati. Il Bahrein è un umile vassallo che ospita una delle più importanti basi miltari dell’impero statunitense. Il Marocco ha strette relazioni con Tel Aviv – si era venduto rapidamente dopo la promessa israeliana di riconoscere la rivendicazione di Rabat sul Sahara occidentale. Inoltre, il Marocco dipende fortemente dal turismo, soprattutto quello da tutto l’Occidente.
Poi ci sono i cani sciolti, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Entrambi sono pieni di armi americane e, come il Bahrein, ospitano anche basi militari statunitensi. Il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman (MbS) e il suo vecchio mentore, il sovrano emiratino Mohammad bin Zayed (MbZ), sono molto attenti alla minaccia di rivoluzioni colorate che potrebbero dilaniare i loro regali domini, se dovessero discostarsi troppo dal copione imperiale.
Ma, tra poche settimane, a partire dal 1° gennaio 2024, sotto la presidenza russa, sia Riyadh che Abu Dhabi amplieranno i propri orizzonti e entreranno ufficialmente a far parte dei BRICS 11.
L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono stati ammessi nei BRICS allargati solo grazie ad un attento calcolo geopolitico e geoeconomico da parte del partenariato strategico Russia-Cina.
Insieme all’Iran – che ha un proprio partenariato strategico sia con la Russia che con la Cina – Riyadh e Abu Dhabi dovrebbero rafforzare il peso energetico della sfera dei BRICS ed essere attori chiave, più avanti nel tempo, nella spinta alla de-dollarizzazione, il cui obiettivo finale è quello di bypassare il petrodollaro.
Allo stesso tempo, Riyadh e Abu Dhabi potrebbero trarre immensi benefici dal piano, non tanto segreto, del 1963 per la costruzione del Canale Ben Gurion, dal Golfo di Aqaba al Mediterraneo orientale, che dovrebbe passare – che coincidenza – molto vicino all’ormai devastata Gaza settentrionale.
Il canale consentirebbe a Israele di diventare uno snodo fondamentale per il transito dell’energia, ridimensionando l’importanza dell’Egitto e del Canale di Suez, e ciò si incastra perfettamente con il ruolo di Israele come nodo chiave de facto nell’ultimo capitolo della Guerra dei Corridoi Economici: il Corridoio India-Medio Oriente (IMEC), ideato dagli Stati Uniti.
IMEC è un acronimo alquanto perverso, così come l’intera logica che sta dietro a questo fantomatico corridoio, che consiste nel posizionare Israele, che viola le leggi internazionali, come snodo commerciale critico e persino fornitore di energia tra l’Europa, parte del mondo arabo e l’India.
Questa era anche la logica dietro la farsa del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu alle Nazioni Unite a settembre, quando aveva mostrato all’intera “comunità internazionale” una mappa del “Nuovo Medio Oriente” in cui la Palestina era stata completamente cancellata.
Tutto ciò presuppone che l’IMEC e il Canale di Ben Gurion vengano costruiti, il che non è affatto scontato.
Tornando al voto all’OCI, i tirapiedi degli Stati Uniti, Egitto e Giordania – due Paesi che si trovano rispettivamente ai confini occidentali e orientali di Israele – erano quelli nella posizione più difficile di tutte. Lo Stato di occupazione vorrebbe spingere circa 4,5 milioni di palestinesi all’interno dei loro confini, per sempre. Ma Il Cairo e Amman, anch’essi inondati di armi statunitensi e finanziariamente in bancarotta, non sopravvivrebbero mai alle sanzioni statunitensi se dovessero assumere un atteggiamento non troppo sfavorevole nei confronti della Palestina.
Quindi, alla fine, quasi tutti gli Stati musulmani hanno preferito l’umiliazione alla rettitudine e hanno ragionato in termini molto ristretti, pragmatici e di interesse nazionale. La geopolitica è spietata. È tutta una questione di risorse naturali e di mercati. Se non hai l’una, hai bisogno dell’altra, e se non ce l’hai, un egemone detta ciò che ti è permesso avere.
Le folle arabe e musulmane – e la Maggioranza Globale – possono giustamente sentirsi scoraggiate quando vedono che questi “leader” non sono pronti a trasformare il mondo islamico in un vero e proprio polo di potere all’interno del multipolarismo emergente.
Non potrebbe accadere altrimenti. Molti Stati arabi chiave non sono entità sovrane. Sono tutti chiusi in una scatola, vittime di una mentalità da vassalli. Non sono ancora pronti per affrontare la Storia. E purtroppo sono ancora ostaggio del loro “secolo di umiliazione”.
L’umiliante colpo di grazia è stato dato dal maniaco genocida di Tel Aviv in persona: ha minacciato tutti i paesi arabi, se non si fossero zittiti – cosa che hanno già fatto.
Naturalmente, in Iran, Siria, Palestina, Iraq, Libano e Yemen battono coraggiosi cuori musulmani. Pur non essendo assolutamente la maggioranza, questi attori della Resistenza riflettono come nessun altro il sentimento della strada. E con la guerra di Israele che si espande ogni giorno, il loro peso regionale e globale è destinato ad aumentare a dismisura, proprio come in tutte le altre guerre regionali dell’Egemone.
Strangolare un nuovo secolo nella culla
La catastrofica debacle del Progetto Ucraina e la rinascita di un’incontrollabile guerra in Asia occidentale sono profondamente intrecciate.
Al di là delle nebulose “preoccupazioni” di Washington per la furia genocida di Tel Aviv, il fatto cruciale è che ci troviamo proprio nel bel mezzo di una guerra contro i BRICS 11.
L’Impero non fa strategia; al massimo fa piani d’affari tattici al momento. Ci sono due tattiche immediate in gioco: un’Armada statunitense dispiegata nel Mediterraneo orientale – nel tentativo fallito di intimidire i colossi dell’Asse della Resistenza, Iran ed Hezbollah – e la possibile elezione di Javier Milei in Argentina legata alla sua promessa di rompere le relazioni Brasile-Argentina.
Si tratta quindi di un attacco simultaneo ai BRICS 11 su due fronti: Asia occidentale e Sud America. Gli americani non faranno di tutto per impedire che i BRICS 11 si avvicinino all’OPEC+. Uno degli obiettivi principali è quello di incutere timore a Riyadh e Abu Dhabi, come confermato da fonti commerciali del Golfo Persico.
Anche i leader vassalli presenti all’OCI erano consapevoli del fatto che siamo ormai in pieno periodo “L’Impero colpisce ancora”. Questo spiega in gran parte la loro codardia.
Sanno che per l’Egemone il multipolarismo equivale al “caos”, l’unipolarismo all'”ordine” e che l’Egemone considera attori maligni gli “autocrati” (come il nuovo “Asse del Male” russo-cinese-iraniano) e chiunque, soprattutto i vassalli, si opponga all'”ordine internazionale basato sulle regole”.
E questo ci porta alla storia di due cessate il fuoco. Decine di milioni di persone in tutta la Maggioranza Globale si stanno chiedendo perché l’Egemone stia disperatamente cercando un cessate il fuoco in Ucraina, mentre rifiuta categoricamente un cessate il fuoco in Palestina.
Il congelamento del progetto Ucraina preserverebbe il fantasma dell’egemonia ancora per un po’. Supponiamo che Mosca abbocchi all’amo (non lo farà). Per congelare il progetto Ucraina in Europa, l’Egemone avrà bisogno di una vittoria israeliana a Gaza – forse a tutti i costi – per mantenere anche solo una traccia della sua antica gloria.
Ma può Israele ottenere la vittoria più di quanto possa fare l’Ucraina? Tel Aviv potrebbe aver già perso la guerra del 7 ottobre, perché non potrà mai riconquistare la sua facciata di invincibilità. E se questo conflitto si trasformerà in una guerra regionale che Israele perderà, gli Stati Uniti perderanno da un giorno all’altro i loro vassalli arabi, che oggi hanno un’opzione cinese e russa dietro l’angolo.
Il ruggito della folla si fa più forte e chiede che l’amministrazione Biden, ora vista come complice di Tel Aviv, fermi il genocidio israeliano che potrebbe portare ad una guerra mondiale. Ma Washington non si adeguerà. Le guerre in Europa e in Asia occidentale potrebbero essere la sua ultima possibilità (che perderà) di sovvertire l’emergere di un secolo eurasiatico prospero, interconnesso e pacifico.
Fonte: new.thecradle.co
Link: https://new.thecradle.co/articles/why-the-us-needs-this-war-in-gaza
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
Pepe Escobar è un analista geopolitico e autore indipendente. Il suo ultimo libro è Raging Twenties. È stato politicamente cancellato da Facebook e Twitter. Seguitelo su Telegram.