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I bambini e l'Occidente

di Guido Dalla Casa - 23/11/2025

I bambini e l'Occidente

Fonte: Guido Dalla Casa

Due foreste 
  Un paio di anni fa quattro bambini sono stati trovati nella foresta amazzonica colombiana, unici sopravvissuti dopo un incidente aereo. Erano soli, la più grande aveva allora 13 anni, il più piccolino soltanto 10 mesi. Li hanno trovati, in buona salute, dopo 40 giorni.
  Grande sorpresa! Ma come hanno fatto? Semplice: la loro nonna era un’indigena della foresta e aveva spiegato molto bene alla nipotina più grande come si fa a vivere: non solo, ma con quegli insegnamenti è riuscita far sopravvivere anche i tre più piccoli. Stupore nel mondo occidentale? Nella “civiltà”? Per brevissimo tempo, poi la notizia è stata subito dimenticata, l’Occidente non è mai disposto ad imparare da chi ne sa di più: questa civiltà è il progresso, perbacco!
  Pochi giorni fa, una notizia tragica nella sua assurdità: in Italia, in un bosco d’Abruzzo, tre bambini sono stati portati via ai genitori e relegati in una comunità perché “non potevano socializzare”!! Il fatto che avevano imparato come si vive veramente, che stavano socializzando nel bosco con migliaia di altri esseri senzienti e con tutte le interrelazioni che costituiscono la Vita non ha minimamente scosso le cosiddette “autorità” proprie dell’Occidente: loro rappresentano “la verità”, non possono sbagliare. Quei bambini soffriranno, mentre qualche “genio” (forse anche in buona fede!!) metterà loro in mano qualche idolo della nostra dannata civiltà, qualche piccolo mostruoso aggeggio con cui “dialogare”.
  Nella nostra squallida TV, quel piccolo schermo che si riesce a guardare ogni tanto solo per rendersi conto di quali panzane ci vuole trasmettere il sistema, ogni tanto appare un gruppetto di quattro o cinque bambini che ci ricordano “i loro diritti, spesso dimenticati”! E’ una breve trasmissione governativa, che vorrebbe essere “a favore” dell’infanzia: ma tende a reclamizzare l’opposto di quello che dovrebbe. A mio avviso, un diritto dei bambini sarebbe quello di apprendere come sopravvivere, e non solo materialmente, anche quando gli ascensori si bloccano e i supermercati sono chiusi.
Qualche ricordo personale
  All’inizio del 1945, dopo due anni di vita in zona di campagna precollinare, mi trovai in un condominio urbano, “i grandi” dicevano che “gli alleati stavano per sfondare alla Futa”, era meglio essere in città. Avevo otto anni: le prime notti piangevo in segreto, perché stavo molto meglio prima, ad arrampicarmi per raccogliere la frutta, a divertirmi con le galline, anche se molto spesso dovevamo addirittura dormire in rifugio. Ma si sta molto meglio all’aperto, in Natura, soprattutto per i bambini. E pensare che mi rendevo ben conto che si faceva tutto questo in stato di necessità e per salvarci la pelle! Dopo pochi mesi, vidi da una finestra al terzo piano di un angosciante condominio urbano “l’esercito dei liberatori” (!) che entrava in città.
  Ancora qualche mese, poi, pochi giorni prima del mio compleanno n. 9, il mio babbo mi disse che in Giappone avevano fatto scoppiare una bomba che aveva distrutto una città intera, con centomila morti. “Come è possibile? – pensai – una bomba sola può distruggere una casa, non una città!” Purtroppo era vero. Una maestra mi aveva detto che alcuni “primitivi” facevano sacrifici umani: molti anni dopo pensai che “la civiltà” aveva concluso quel giorno di agosto un sacrificio umano di 60 milioni di morti. Poi, dopo, non ha neppure smesso…
  Un ricordo di un film di 50 anni fa: Un funzionario dello Zar, quindi un “civile”, viene salvato da Dersu Uzala, un “primitivo” della taiga siberiana, che era in grado di riconoscere alcune canne vegetali spontanee con un isolamento termico tale da far resistere lui e il suo amico funzionario a una notte invernale siberiana, accucciati in quella specie di tenda improvvisata, quando fuori c’erano 40 gradi sottozero.
Ritirarsi dal territorio?
  Ci sono ancora, sulle Alpi e sugli Appennini, villaggi isolati, abitati. Anzi, c’è qualche segnale di piccoli “ritorni”, di cittadini che scelgono di vivere lassù: ma il sistema fa il possibile per scoraggiarli, le scuole e gli ospedali si allontanano. Conosco un villaggio abitato dove bisogna percorrere più di 20 Km per arrivare alla prima scuola elementare: le scuole più vicine, che pure esistevano, sono state chiuse perché avevano meno di cinque allievi! Una coppia recentemente si è stabilita lassù e ora hanno una bambina. 
  Ma il sistema vorrebbe tutti ammassati in città, a godere le ineffabili gioie delle periferie urbane, “per un’esistenza più logica, razionale e civile”. O forse il sistema teme questi piccoli segni di “inversione di rotta”? Dopo tutto, non consumano…
  Riporto ancora un noto episodio di qualche valle nordica:
  I lemmings sono piccoli roditori del Nord-Europa e dell’Asia simili ai nostri topi campagnoli. In determinati periodi essi abbandonano le Alpi della Scandinavia in gruppi numerosi, come guidati da un misterioso suonatore di flauto, e si dirigono verso il Mare del Nord o il Golfo di Botnia. Lungo questo tragitto, che è il loro senso della storia, essi subiscono gli attacchi dei carnivori o degli uccelli predatori che li distruggono a migliaia. Malgrado tutto, essi proseguono la loro strada e, raggiunta la meta, si gettano nel mare e vi annegano. …
    Che cosa potrebbero dire i lemmings se potessero scrivere la storia di una delle loro migrazioni? “Siamo in marcia verso un felice domani, la nostra nazione fortemente strutturata cresce di ora in ora, e nonostante vari attacchi, progrediamo nella stessa direzione, conservando la nostra organizzazione che, sola, permette all’individuo di marciare verso quel progresso che intravediamo già, tutto azzurro, ai piedi delle montagne”.
    La storia ha un senso per i lemmings e per la civiltà occidentale: essa sfocia in un suicidio collettivo, prima della “planetizzazione” di una specie. Ogni individuo vede però in questo slancio ultimo una marcia verso una situazione migliore. Più i lemmings si allontanano dal punto di partenza, dicono i naturalisti, più sono eccitati; nulla li può fermare: davanti a un ostacolo sibilano e digrignano i denti per la collera.
    Anche noi, ben lontani ormai dalle nostre origini, sentiamo profondamente che nulla deve intralciare la nostra marcia verso ciò che chiamiamo il Progresso. 
(da: Jean Servier – L’uomo e l’Invisibile – Ed. Rusconi, 1973)


  Ma non tutti i lemmings finiscono in fondo al fiordo, molti si salvano e tornano in testa alla valle: sono gli ultimi o i più lenti, quelli che si mantengono al margine, o ai lati, della migrazione suicida, quelli che “non ci credono troppo”. 
  Quei pochi umani che tornano in montagna malgrado tutto, non saranno come quei lemmings che iniziano la risalita della valle, verso la salvezza? Non sarà che in fondo il sistema teme questi “ripensamenti”? Ripeto, quelli non consumano…
Due culture lontane
  Delle 5000 culture umane vissute sulla Terra, 100 non hanno mai fatto alcuna guerra. Ne voglio citare due, perché considerate dall’Occidente come “le più primitive” e sulle quali erano stati firmati nell’800 da sua Maestà britannica due editti che ne raccomandavano l’eliminazione fisica totale: il popolo San (Boscimani) e gli Aborigeni dell’Australia. Entrambi sono sul posto da almeno 40.000 anni (per i San forse il doppio). Come magra consolazione, per gli Aborigeni è stato istituito pochi anni fa dal Governo Australiano il Sorry Day.
  Da una relazione di un esperto:
Ho esposto lo stile di vita del popolo San, quello dei raccoglitori-cacciatori, adottato dalla nostra specie per innumerevoli millenni, e le conoscenze necessarie alla sopravvivenza in un ambiente desertico, che questa popolazione ha raccolto e trasmesso nei secoli ai propri discendenti. Questa gente così legata e rispettosa del territorio e degli altri insegna come lʼadattamento ad una delle condizioni naturali più difficili e aspre della Terra sia stato raggiunto attraverso unʼevoluzione culturale, caratterizzata da pratiche altamente specializzate e da una conoscenza ecologica ricchissima, mantenuta grazie alla trasmissione informale tra i membri del gruppo. Il dato davvero impressionante è come questa modalità di vita sembrerebbe di primo acchito una delle più dure e faticose da sopportare, mentre studiando effettivamente popolazioni come i San si scopre come sia invece preferita e preferibile rispetto ad altre, dato che il tempo dedicato al lavoro è pochissimo rispetto a quello impiegato da agricoltori e allevatori, dando così la possibilità di dedicarsi ampiamente ad attività socio-culturali, e che le risorse alimentari, soprattutto quelle vegetali fondamentali, sono davvero più che sufficienti per condurre unʼesistenza tranquilla nel deserto del Kalahari. Questa capacità di usufruire con estremo successo delle risorse naturali disponibili deriva in gran parte dallʼacutissima intelligenza che i San impiegano nel riconoscere specie vegetali e nellʼindagare i comportamenti animali, invidiata perfino dai migliori scienziati occidentali per lʼobiettività, precisione e vastità dei dati ottenuti. Ciò costituisce la prova che molte volte vivere in assoluta intimità con la Natura e con ciò che essa offre allʼuomo produce una cultura stabile e complessa, che permette al popolo di sopravvivere nel suo ambiente ed anzi lo spinge anche oltre, ad arricchire sempre più il proprio bagaglio di conoscenze e a rispettare la propria fonte di vita, con un approccio ecologico esemplare per la specie umana intera.                (Matteo Bucalossi, 2014)
Ai tre bambini del bosco
   Cari bambini, vi auguro con tutto il cuore di poter tornare molto presto nella vostra casa nel bosco, con il papà e la mamma, a vivere serenamente in simbiosi con gli altri esseri senzienti, che vi sono così cari. Per quelli che vi hanno fatto tanto male, perdonateli, perché non sanno quello che fanno.