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I siriani stanno con Assad

di Luca Steinmann - Alessio Mannino - 11/07/2017

I siriani stanno con Assad

Fonte: vvox

Ha visto cose che voi occidentali seduti in poltrona fate fatica a immaginare. Per il semplice fatto che lui, Luca Steinmann, 27 anni, giornalista freelance, per conto dell’Associazione Stampa Estera di Milano (di cui è socio) si è fatto una settimana di reportage sul campo in Siria, nella seconda metà dello scorso giugno. E’ stato a Damasco, Palmira, Homs e sul fronte meridionale lungo il confine con il Libano. I suoi spostamenti sono stati seguiti in diretta da una serie di testate italiane che – come anche Vvox sui sui suoi social – hanno riportato in tempo reale le sue testimonianze. Steinmann ha condotto una serie di interviste a gente comune, militari e a importanti esponenti politici, coprendo la prima linea presso Yarmouk, vicino alla capitale. Ora, tornato in Italia, ci racconta com’è andata.

Nei posti che hai visitato quali sono le condizioni di vita della gente?
Ho notato una enorme differenza tra i siriani che hanno lasciato il Paese e quelli che invece sono rimasti. Mentre I primi sono nella maggior parte dei casi nemici del governo e non voglioni rimpatriare, la stragrande maggioranza dei secondi non sogna altro che di tornare nelle proprie case distrutte dalla guerra, dal vandalismo dei ribelli e dai bombardamenti dei governativi. Spesso ho sentito dire da molte eprsone che la Siria e come una madre e che non la si può abbandonare nel momento del bisogno. Nelle zone appena riconquistate dal governo spesso non resta nulla. In molte zone di Homs, come a Zabadani, a Madaya e Muddamyia, non rimane una soa casa in piedi. Eppure la gente rimane e vuole ricostruire ciò che ha perduto. La Siria è diventata per loro un’idea di un luogo magnifico e perduto che adesso sta a loro ricostruire e far tornare come era prima.

Cosa ti ha colpito di più nei posti che hai visto che fino a poco tempo fa erano sotto il dominio del Daesh? Che idea ti sei fatto dei loro combattenti, del modo di vivere della popolazione sotto di loro?
Sono stato a Palmira poche settimane dopo che fosse liberato dai terroristi di Daesh. Quando ci sono stato le loro postazioni distavano dalla città di qualche kilometro, la loro presenza in citta e pero rimasta ben visibile in ciò che hanno lasciato dietro: atti di puro vandalismo e barbarie. In modo particolare si sono accaniti con il patrimonio archeologico della città: hanno fatto saltare in aria archi e colonne romane, impiccato e crofifissi i nemici su di esse, imbrattato con graffiti inneggianti allo Stato Islamico ciò che era rimasto in piedi. Perchè tutto questo?, mi sono chiesto. Che senso ha prendersela con un patrimonio che non è solo siriano ma di tutta la civiltà? La risposta che mi sono dato è questa: l’obiettivo dei terorristi è quello di digregare e frammentare la società siriana. Non è pero facile farlo con una società millenaria che ha una storia antica di 10 mila anni. Per farlo hanno tentato dunque di eliminare ogni riferimento a questa storia, di tagliare ogni ponte con il passato, di distruggere qualsiasi cosa che fosse stata donata dagli antenati ai siriani di oggi e che per questo ricordasse loro di avere una tradizione su cui la propria civiltà si fonda. Così è stato iniziato il saccheggio di una delle città più belle del mondo. Imbrattando tutto con spray e pennarelli indelebili. Guardando quello che hanno fatto a Palmira ci si rende veramente contro che tutto ciò nulla ha a che vedere nè con l’Islam nè con la creazione di uno Stato. Non c’è da parte loro alcuna proposizione di alternative al modello siriano o a quello occidentale, ma solo nichilismo e distruzione.

Da quel che hai potuto vedere e dalle tue informazioni generali sul Paese, come giudichi il regime baathista-alawuita siriano? E’ in grado di tornare a reggere le sorti della Siria, se l’Isis fosse sconfitto?
Il regime ha negli ultimi decenni usato spesso la forza per reprimere le minacce interne alla stabilità del Paese, cosa che ha creato non poche fratture interne, basti pensare ai fatti di Hama nel 1982 quando una rivolta di ispirazione islamista venne soppressa col sangue. Il consenso di cui oggi Assad gode, però, è dovuto anche a questo: molti cittadini sostengono che senza Assad e la sua repressione contro gli oppositori islamisti non sarebbe possibile garantire la convivenza tra le oltre ottanta etnie e confessioni religiose presenti. I fucili di Assad e i suoi metodi non democratici sono stati garanti di convivenza pacifica, di laicità e convivenza, la loro assenza ha portato alla deriva islamista e alla minaccia delle minoranze. E tra la democrazia e la convivenza pacifica quasi tutti i siriani scelgono oggi la seconda. Un’eventuale fase post-guerra sarà inevitabilmente retta da Assad, l’unico in grado di garantire sicurezza, anche se non è detto che ciò si perpetui per sempre.

Secondo te è credibile l’ipotesi che l’Occidente e i finanziatori e supporter mediorientali dell’Isis non abbiano in realtà una vera e autentica volontà di sradicarne lo Stato siriano-irakeno?
Ho intervistato alcuni ex leader di gruppi islamisti che mi hanno raccontato di come le proprie milizie venissero finanziate direttamente da alcune “charity foundations” private saudite e qatarine. Mi hanno spiegato nel dettaglio i loro rapporti di forza, come arrivassero i soldi, e che cosa chiedessero in cambio i finanziatori. Essi chiedevano di islamizzare i contenuti di una protesta in cui inizialmente la dimensione religiosa era marginale. Ciò non ha fatto altro che aggravare la contrapposizione tra sciiti e sunniti che era già in corso e cheèe politica prima che dottrinale. Un epilogo trasparente e pacifico del conflitto significherebbe fare emergere le cause che ne hanno portato all’espolsione e alla radicalizzazione. Significherebbe rendere noto al mondo il supporto che determinati attori esterni hanno fornito dall’una come dall’altra parte. Significherebbe comunicare al mondo musulmano che il conflitto tra sciiti e sunniti oggi in atto è in realta promosso per motivi soprattutto politici e non dottrinali, rendendo così le persone meno soggette alla propaganda religiosa da una parte come dall’altra. Credo che sia nell’interesse di molti mantenere ancora a lungo un alone di mistero su quanto e avvenuto e sta avvenendo in Medio Oriente.

C’è stato un incontro o un fatto di cui sei stato testimone che, dal punto di vista umano e culturale, ti ha lasciato qualcosa, come uomo prima ancora che come reporter?
Ho visitato il santuario sciita di Sayydah Zaynab, alle porte di Damasco, che ospita le spoglie di Zaynab, nipote di Maometto e figlia dell’imam Ali, tutte figure sacre per l’Islam sciita. Il santuario è li da 1400 anni e quanto i terroristi dell’Isis si sono avvicinati per distruggerlo sono accorsi in sua difesa migliaia di combattenti sciiti da tutto il mondo. E un luogo dedito alla preghiera in cui e severmanete vietato introdurre cellulari o machine fotografiche. A pochi passi dal santuario vi e la casa della famiglia di Hamza, un bambino di cinque anni cresciuto vicino a Aleppo in un villaggio sciita. Tutta la popolazione del villaggio ha dovuto abbandonare le proprie case perchè minacciata dall’Isis. Mentre stavano fuggendo a bordo di alcuni autobus sono stati fermati ad un posto di blocco dai terroristi e tenuti chiusi nelle vetture per ore. Poi, ad un centro punto, si è avvicinato a loro un furgoncino carico di caramelle e dolci e l’autista con un altoparlante ha invitato I bambini a servirsi. Tanti di loro allora sono corsi verso di lui, appena arrivati la macchina è saltata in aria in un attenato suicida. Ha ucciso 84 persone, soprattutto bambini piccoli e le loro mamme. Hamza e suo fratello erano lì con loro e per fortuna si sono salvati. Hamza però porta ancora i segni dell’esplosione sul viso ed è quasi completamente cieco. La famiglia è fuggita a Sayyad Zaynab e vive in una sistemazione provvisoria nella speranza di un futuro migliore. Eppure non hanno nessuna intenzione di andarsene dalla Siria. Perchè, mi hanno detto, se lo facessero si sentirebbero di non avere più una casa. Un gesto di coraggio ma anche di insegnamento per tutti noi, di chi ha perso tutto ma non la forza e il desiderio di ricostruire il proprio Paese. Là dove sono nati e cresciuti.