Il cielo dei Verdi si è da tempo oscurato e il sole ormai non ride più
di Sandro Marano - 28/12/2025

Fonte: Barbadillo
Al loro apparire le Liste Verdi, fondate nel 1986 da esponenti della società civile e da associazioni ambientaliste, avevano suscitato simpatie e speranze: finalmente nello stagnante panorama politico italiano si respirava un’aria nuova, si vedevano facce giovani, non incartapecorite in quarant’anni di potere. Nel nome dell’ecologia si erano incontrate persone diverse per temperamento ed esperienze politiche, che avevano messo da parte i pregiudizi ideologici, sostenevano con forza la centralità della questione ambientale e dichiaravano di non essere né di destra né di sinistra, né progressisti né conservatori, ma di essere oltre le vecchie categorie della politica.
Alla discriminante destra/sinistra se ne voleva sostituire «un’altra, più fondamentale, tra produttivismo e antiproduttivismo, tra quantità di beni prodotti e qualità della vita, tra la felicità come accumulazione quanto più rapida possibile di cose materiali e il raggiungimento della pienezza attraverso la realizzazione e il compimento di sé» (Alain De Benoist, Alle radici della sfida ecologica, in Le sfide della postmodernità, Arianna editrice, 2003). A ben guardare, si riproponeva l’opposizione tra essere ed avere (come aveva teorizzato Erich Fromm nell’omonima opera del 1977), tra “meno e meglio” e “sempre più”.
La posizione di Alex Langer
Significativa a questo proposito è la testimonianza di uno degli esponenti di punta del movimento dei Verdi, Alex Langer (1946 – 1995), per il quale i Verdi potevano avviarsi a diventare «un punto d’incontro di rifondazione e di fusione di aspirazioni vecchie e nuove, dove intorno all’ecologismo, accanto a qualche bandiera lasciata cadere a sinistra, si raccolga anche qualche idealità smarrita tradizionalmente dalle sinistre e magari rifugiata a destra: il senso della differenza contro un malinteso trionfo dell’eguaglianza; il bisogno di identità, di tradizione, di “patria”; una domanda di interiorità e di spiritualità; una rivalutazione dell’iniziativa personale e comunitaria rispetto allo statalismo e alla priorità dell’ente pubblico; e in genere una ricerca di comunità non riconducibile alla società politicizzata e strutturata propria della tradizione di sinistra» (Oltre la destra e la sinistra in Gaia – primavera 2004).
Non è un caso se il simbolo scelto dalle Liste Verdi, poi diventate dal 1990 Federazione dei Verdi, sia il sole che ride, un simbolo positivo, che rappresenta una rinascita individuale e collettiva.
La lampada di Aladino buttata via
Sennonché il variegato arcipelago verde, sul piano politico istituzionale, non ha saputo o voluto trarre tutte le conseguenze implicite nella battaglia a difesa della Natura vivente, il cui sbocco più coerente è una critica radicale della modernità e dei suoi istituti. Come il bambino che si trova in mano la lampada di Aladino e la getta via impaurito dei poteri che da essa promanano, così i Verdi hanno eluso il nodo politico della questione ambientale, preferendo appiattirsi via via su posizioni di sinistra. Non hanno mai messo in discussione, ad esempio, la democrazia rappresentativa proponendo forme concorrenti di democrazia partecipativa, né, soggiogati dal feticcio della Costituzione, hanno mai cercato di proporre un diverso assetto amministrativo territoriale che superasse le Regioni e le Provincie in favore di un assetto imperniato sulle Bioregioni, od anche sui Distretti, come elaborati in modo scientifico dalla Società geografica italiana in un apposito studio. Si sono azzuffati e divisi nel corso della loro tormentata storia dando l’impressione di tenere più alle poltrone che alle loro idee. Hanno ben presto gettato alle ortiche quello che è uno dei capisaldi dell’ecologismo, vale a dire il superamento delle vecchie e logore categorie di destra e sinistra, che faceva esclamare ad un pensatore anticonformista come Alain De Benoist: «Se gli ecologisti sono di destra per tanta gente di sinistra, e di sinistra per tanta gente di destra, ci sono davvero buone probabilità che si trovino sulla strada giusta!».
La deriva verso sinistra
Anziché essere, per così dire, la terza gamba del tavolo, essendo le altre due rappresentate dal liberalismo e dal socialismo, hanno preferito diventare una costola di una delle due gambe. Inascoltata è restata la proposta teorizzata dal filosofo dell’ecologia profonda, Arne Naess, con l’immagine dei tre poli contrassegnati dai colori rosso blu e verde, proprio per far capire come l’ecologismo non possa rientrare negli schemi tradizionali bipolari e come «dovrebbe influenzare tutti i punti lungo ogni spettro o frontiera delle opinioni politiche» (citato da Corso Tarantino in Ecologia profonda. Analisi di un movimento antisistema, Trasgressioni n. 66).
Politicantismo, ambizioni personali e strumentalizzazioni non sono stati estranei alla loro evoluzione (o involuzione).
Una storia tormentata
Se ripercorriamo, infatti, per sommi capi, la storia dei Verdi italiani, tralasciando le tante piccole trasformazioni, fusioni e scissioni, assistiamo ad un loro lento e progressivo cedimento dottrinale. Già nel 1990 con l’unificazione tra la Federazione delle Liste Verdi e i Verdi Arcobaleno (nati nel 1989 dalle ceneri di partitini dell’estrema sinistra dopo la messa in liquidazione del Comunismo) si erano poste le premesse per una loro sempre più marcata collocazione a sinistra. Nel 2021 nasce Europa Verde, il cui simbolo non è più “il sole che ride”, bensì un girasole, che secondo l’antica leggenda greca rappresenta un amore rifiutato! Nel 2022 con un’operazione dal sapore meramente elettorale nasce AVS (Alleanza Verdi e Sinistra).
I Verdi erano nati come movimento conservatore e insieme rivoluzionario, «conservatore per il fatto che intende difendere la qualità della vita, la socialità organica, i contesti di vita tradizionali, le specificità culturali e la biodiversità, ed anche rivoluzionario, nel senso che intende rompere in modo radicale con l’ideologia produttivistica che è sottesa nel mondo attuale alla logica planetaria del capitalismo e del mercato» (Alain De Benoist, op. cit.).
Ora ci chiediamo: cosa ha in comune con l’ecologismo il produttivismo sostenuto dalla vecchia sinistra? l’ecologismo con l’affrancamento da ogni legame naturale, biologico, sociale propugnato dalla nuova sinistra?
Al capolinea del progetto verde
L’Alleanza Verdi e Sinistra non è che l’ultima fase di una trasformazione che è finita in una vera e propria farsa. E lo diciamo a ragion veduta. Basta scorrere qualcuna delle cronache giornalistiche dei giorni nostri.
“Il cortocircuito dei Verdi di Bonelli: parte civile nel processo Ilva contro Vendola che ora candidano in Puglia”: è il titolo di un articolo del 10 settembre 2025 de Il fatto quotidiano a firma di Giulio Simei, che comincia così:
«C’è un cortocircuito in corso dentro Alleanza Verdi Sinistra in Puglia. Tutto ruota attorno a Nichi Vendola, Angelo Bonelli e l’Ilva di Taranto. Da un lato l’ex presidente della Regione e il co-portavoce di Europa Verde vanno a braccetto, con il secondo candidato a consigliere regionale e il primo che lo ha difeso strenuamente di fronte alla richiesta di Antonio Decaro di tenersi fuori dalla contesa elettorale. Dall’altro, Bonelli – attraverso il suo partito – si è costituito parte civile, ha chiesto un risarcimento di 400mila euro e la condanna penale di Vendola nel processo Ambiente svenduto. Una storia vecchia, si dirà. Invece no: il processo, infatti, dopo l’annullamento delle condanne stabilite a Taranto in primo grado, è ripreso a Potenza e si trova al momento in fase di udienza preliminare. Vendola è imputato per concussione con l’accusa di aver fatto pressioni sull’ex dg di Arpa Puglia Giorgio Assennato, ritenuto troppo duro nei confronti del siderurgico all’epoca gestito dalla famiglia Riva».
Non dissimile è la cronaca della Gazzetta del Mezzogiorno. Riportiamo l’incipit dell’articolo pubblicato il 10 settembre 2025 a firma di Francesco Casula intitolato “Il paradosso del processo ex Ilva: Bonelli chiede 400mila euro al suo candidato Vendola”:
«Uno ha chiesto un risarcimento di 400mila euro, l’altro lo aveva definito un «avvoltoio che diffama e fa terrorismo psicologico», ma era il passato: ora Angelo Bonelli e Nichi Vendola sono fianco a fianco in Alleanza Verdi Sinistra, pronti a fare insieme campagna elettorale per le regionali pugliesi. Eppure a Potenza, dove ieri è ripreso il maxi processo «Ambiente svenduto» sul disastro ambientale e sanitario generato, secondo l’accusa, dalle emissioni dall’ex Ilva durante la gestione Riva, i due sono ancora uno contro l’altro. O meglio: Vendola è imputato per concussione, per le presunte pressioni sull’ex dg di Arpa Puglia Giorgio Assennato considerato troppo duro contro la fabbrica, Bonelli – con il partito di Europa Verde di cui è portavoce nazionale – si è costituito parte civile contro di lui chiedendo la sua condanna penale (insieme con i Riva e i vertici della fabbrica di allora) e, appunto, il risarcimento dei danni subiti».
Di cedimento in cedimento i Verdi italiani sembrano ormai giunti al capolinea: il sole non ride più nel loro cielo!
