Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il disordine nello specchio

Il disordine nello specchio

di Pierluigi Fagan - 08/01/2021

Il disordine nello specchio

Fonte: Pierluigi Fagan

Gli Stati Uniti d’America sono il frattale base del sistema occidentale. Nelle costruzioni frattali, una forma caratteristica (pattern) si ripete di continuo a varie scale. Il pattern occidentale tale definito trecentotrenta anni fa in Inghilterra, è dato da una società che si ordina col suo fare economico, tale fare economico si ordina per lo più (ma non solo) con un regolamento dotato di poche regole semplici (il mercato, quanto più “libero”) che danno vita ad un ordine dinamico complesso. Ma una società, messa in analogia con un organismo, non è solo il suo fare, è soprattutto il suo decidere cosa fare e darsi condizioni di possibilità per quel fare. Questa è la funzione politica e nel pattern occidentale così come nato tre scoli passa di anni fa, tale funzione è riservata ad un ristretto gruppo di funzionari espressi dai vertici della parte di società che più di ogni altra è impegnata nel fare economico.
Nei successivi tre secoli e passa, la funzione politica è stata aperta formalmente e progressivamente al totale della popolazione tanto da meritarsi, secondo alcuni, il termine distintivo di “democrazia”. La funzione politica quindi non risulta più “riservata” ad un ristretto numero di aventi diritto sebbene poi nei fatti sia rimasta tale sotto mentite spoglie.
Nel 2014, due scienziati politici americani (M.Gilens-Princeton e B.Page-Northwestern) pubblicarono un famoso e rumoroso studio di “scienza” politica (?) in cui dimostravano come “I cittadini comuni, non solo non hanno alcun poter sostanziale sulle decisioni politiche, hanno poco o nessuna influenza sulla politica nel suo complesso”. Le conclusioni si basavano sull’analisi di 1700 leggi promulgate dal parlamento in venti anni, da cui risultava che temi e modi di trattarli quali poi presero forme appunto in disposizioni legislative, altro non erano che l’agenda di quel gruppo ristretto di cittadini che chiamiamo “élite”. Tale “élite” è la porzioni di società che maggiormente si avvantaggia in termini di potere sociale complessivo (ricchezza, potere) del funzionamento della società ordinata dal fatto economico. Un recente studio (Nov 2020) dell’Institute for New Economic Thinking (INET), mosso più o meno sulle stesse impostazioni dallo studio precedente ma aggiornato in metodo con i guadagni dell’intelligenza artificiale, ha confermato ed in parte peggiorato la diagnosi precedente.
La struttura dell’espressione politica è data da il fatidico 1-2% di vertice, che spartisce parte dei benefici sociali della propria posizione con un restante 10% circa ed il tutto monopolizza la politica per temi, impostazione d’analisi, auspicate soluzioni ed infine decisioni. Si noti, non c’è solo un problema di monopolio di fatto sulle decisioni finali, c’è un monopolio del discorso totale che riguarda prima le soluzioni, ma prima ancora gli strumenti di analisi (e giudizio) ed ancorpiù e  soprattutto la compilazione del menù dei problemi che la politica deve affrontare.
Per fare un esempio, sono almeno quarantacinque anni che la comunità scientifica e politica di base, allarma con crescente angoscia sul problema ecologico ed ambientale, ma fino a che questo problema non mostrava soluzioni utili al funzionamento economico ed anzi portava questo a doversi ritenere la scaturigine del problema sempre più angosciante, tali allarmi di evidente interesse pubblico indifferenziato (cioè che riguardava tutti indistintamente) sono stati silenziati, rimossi, emarginati. Laddove oggi si è trovata la possibilità di ridurre l’argomento all’allarme climatico, imputare questo ai gas serra, sostenere che questi sono per la gran parte derivati dall’uso dei combustibili fossili e laddove nuova tecnologia promette di poter sostituire le necessarie fonti di energia con altro che non l’origine fossile, allora il tema assume improvvisa notorietà ed urgenza. Anche perché si presenta come motore per l’ennesima “distruzione creatrice” che è uno degli andamenti tipici di questo sistema economico che deve sempre trovare qualche problema da risolvere, vero o finto che sia e comunque conforme alle limitate e concrete possibilità di risolverlo che il sistema ha a quel momento. Si dirà “be' meglio tardi che mai”, ma non è così. Primo perché il problema affrontato prima era più semplice e meno costoso dell’affrontarlo poi, poi perché si riduce il tempo d’intervento e quello dell’aspettativa su i risultati, terzo perché si è artatamente collassato un problema tipicamente complesso ad un solo fatto (il clima), quarto perché l’urgenza che accompagna la nascente “coscienza ecologica” occidentale non deposita la necessaria, seria e realistica, coscienza diffusa reale del problema nel suo complesso, quinto perché le soluzioni messe in campo sono ampiamente discutibili (ma non c’è possibilità di discuterle) oltre a dover anche discutere molte altre parti del problema che non sono tematizzate. Infine, forse, è pure tardi in assoluto.
La compilazione dell’agenda del discorso politico, il pilotaggio degli strumenti di analisi e di giudizio su i vari problemi e il monopolio conseguente delle decisioni, è appannaggio di quel 10% di cointeressati al sistema che non ne ottengono i maggiori benefici ma in parte ne condividono la distribuzione. In USA, think tank, studiosi, giornalisti, opinionisti, vari tipi di forum, manager ed abbienti di vario tipo, sesso e razza in cui l’1-2% fa sapere (esplicitamente o implicitamente) a questo 10% quali sono i suoi desiderata.
Ne consegue che il problema oggettivo americano è semplicemente il pilotare una strategia di riduzione del sistema generale di quella nazione. Quel sistema generale, con il 4,5% della popolazione mondiale complessiva, fa ancora il 25% del Pil mondiale. Tale sproporzione è figlia di eccezionali contingenze storiche post belliche che hanno dato a gli Stati Uniti una potere sul mondo che ha permesso loro di ottenere quel grande risultato che costituisce la loro “ricchezza della nazione”, storicamente suddivisa internamente in parti vistosamente asimmetriche. Era il 50% nel dopoguerra. Oggi quel grande risultato generale è assediato dalla crescita di altri sistemi (demografica poi economica quindi infine geopolitica), è obiettivamente rallentato dal fatto che gli USA sono iper-sviluppati e lo sviluppo non è mai un fenomeno dell’infinità (a meno non si sia nel dominio meta-fisico), è avversato da ripetute scelte sbagliate poiché le élite tali sono per funzione ma non per merito assoluto. Elite militari che conquistano un impero, quando scesero da cavallo e dovettero gestirlo, spesso lo persero repentinamente perché combattere ed amministrare sono due lavori diversi. Non sono cioè -come pretenderebbero- “i migliori”, sono i migliori entro un certo contesto, cambiando il contesto non mostrano alcuna adeguatezza apriori (anzi, in genere specializzarsi a fare una cosa quando cambia il contesto porta ad un certo dis-adattamento funzionale). Così, le élite di generali nell’Impero romano altro non sapevano fare che continuare a combattere ai bordi di un limes sempre più grande ed impossibile da estendere ancora, le élite aristocratico-religiose del medioevo non capirono quando giunse il momento di cambiare il sistema per adattarsi a nuove condizioni del mondo e vennero spazzate via della borghesia della produzione e scambio e così avviene oggi.  
I tempi cambiano, le élite no, la fascia delle cointeressenze di sistema è costretta a torcere le logiche del discorso fino a produrre una alto tasso di surrealismo cognitivo e concettuale basato su categorie assurde e logiche irrazionali.
Le élite si spaccano tra chi fa una diagnosi-prognosi e l’altra (tanto sono entrambe sbagliate), con l’una che penalizza l’altra parta di élite che combatte a quel punto strenuamente rompendo il sodalizio di potere che in tempi normali tiene unite tutti i suoi variegati appartenenti. Lo smarrito 10% di funzionari di sistema consegue organizzando due discorsi-ideologie di riferimento che invitano il restante 89% a schierarsi con radicalizzazione crescente (che produce identità). E’ tutto falso, tutto finto, tutto relativo alle convulsioni interne al gruppo sociale di dominio che è nato in una certa epoca e che non sa più come garantirsi un futuro nei tempi che cambiano loro malgrado. Soprattutto non sa più come bilanciare il proprio interesse egoistico con quello del popolo sottostante di cui comunque è parte.  Vale per Trump e Biden, per il populismo elitista e l’elitismo pseudo-democratico, per le lobby delle energie fossili e quelle del digitale, per i pasdaran della mano invisibile e quelli che hanno ripensamenti del tipo “capitalismo inclusivo”. In America oggi, l’una taccia l’altra di socialismo, l’altra taccia l’avversario di proto-fascismo.
Dispiace solo notare il fatidico “in che mani siamo” (in realtà dispiace notare che sebbene ci definiamo democratici siamo non nelle nostre mani) ma soprattutto il notare il festante corifeo dei servi volontari che accorrono a difendere il guelfo o ghibellino senza che queste due posizioni riscontrino effettivamente il benché minimo reale interesse di quel 89%. E dispiace anche notare l’altrettanto fatidico tradimento dei chierici ovvero coloro che godendo almeno del vantaggio sociale dell’essere il 10% privilegiato, mettono la propria intelligenza al servizio di una delle due versioni della conservazione e non dell’obbligato cambiamento. Fortunatamente, su questa pagina, i supporter del progressismo dem o mancano o sono cautamente silenziosi. Purtroppo, i decerebrati supporter di Trump hanno molestato parecchio, senza un filo di vergogna. Si capisce per i fascistoidi convinti, ci sta, meno per coloro che partendo da tutt’altra impostazione ideologica hanno trovato nel buffo ed inquietante miliardario fallito il loro leader carismatico. Oltretutto “americano” come se mai potesse emergere un leader che ha a traguardo l’interesse degli Stati Uniti d’America che un europeo possa, di questi tempi, pensare esser comune e coincidente. Del resto, la confusione mentale ben coltivata e scientificamente perseguita e distribuita ai grandi numeri, potenziata oggi da cognitivismo e social quando non dal mainstream media,  è la precondizione obiettiva e causale di una società gerarchica nei tempi attuali.
Le vicende americane sono lo specchio del frattale occidentale. I sistemi umani (società, nazioni, civiltà) ascendono o discendono tutti assieme. Tocca aspettare allora che, così come nella replicazione del DNA da un errore di replicazione nasce una possibile novità che sintetizzerà una nuova proteina che magari porterà a nuove funzioni più adatte al mutato contesto, dalla stanca replicazione del pensiero moderno  esca qualche novità che ci permetta di costruire una nuova versione di pensiero e società che lo produce e lo applica.
La speranza è l’ultima a morire, ma dargli una mano non sarebbe male, le cose potrebbero peggiorare e non di poco.