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Immigrazione e autonomia popolare - seconda parte

di Riccardo Paccosi - 04/09/2025

Immigrazione e autonomia popolare - seconda parte

Fonte: Riccardo Paccosi

LA CRISI DEL MULTICULTURALISMO, LA QUESTIONE ISLAMICA E IL BIVIO FRA GUERRA INTERETNICA E RIVOLTA POPOLARE.
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Nel precedente capitolo abbiamo tentato di argomentare come il punto di vista di sinistra, improntato a promuovere l’immigrazione illimitata e a negarne le conseguenze distruttive, sia ormai escluso da ogni dibattito popolare, ovvero non venga preso in considerazione al di fuori di piccoli ambiti militanti.
Ci siamo altresì soffermati su come il punto di vista di destra, teso a focalizzarsi esclusivamente sui clandestini e sugli immigrati che delinquono, tenda a occultare e a non affrontare l’assai più determinante problema dell’immigrazione da lavoro.
Esiste o è esistito, dunque, un punto di vista non sottomesso alle succitate distorsioni cognitive messe in atto dalla sinistra e dalla destra? È possibile, sul tema dell’immigrazione, un punto di vista autonomo e popolare?
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NON “MIGRANTI” BENSI’ LAVORATORI
Credo si possa rispondere che quest’autonomia si sia fino a oggi manifestata molto marginalmente ma che tale manifestazione marginale abbia, al contempo, confermato come essa sia comunque possibile e auspicabile.
Nelle fabbriche italiane, negli ultimi due decenni, abbiamo visto manifestarsi lotte operaie mobilitanti fianco a fianco lavoratori nativi e lavoratori immigrati. Se questo è avvenuto soltanto nei contesti di produzione caratterizzati da condivisione dello spazio di lavoro – cioè le fabbriche –  significa che, con buona pace di certe teorizzazioni marxiste idealizzanti, a manifestarsi non è stata una fantomatica “soggettività migrante”, bensì la solita, vecchia soggettività operaia.
Questo fornisce una prima indicazione: l’integrazione fra nativi e immigrati può avvenire nella misura in cui questi ultimi assumono un’identità nuova rispetto a quella d’origine.
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IL PROGRAMMA AUTONOMO DEI GILET GIALLI
Il movimento francese dei gilet gialli – che fu attivo dal 2018 al 2020 – era composto da working poors francesi, tra cui anche una discreta parte di immigrati. Durante il suo percorso, tale movimento propose un programma in 25 punti dove, accanto a istanze anti-liberiste contro le privatizzazioni e per l’aumento della spesa pubblica, veniva indicata la necessità d’uno stop ai flussi migratori, in quanto l’assenza di limite di questi ultimi rendeva impossibile l’integrazione.
Ebbene, nessun movimento di sinistra, sei anni fa, sarebbe stato in grado di elaborare una cosa del genere.
Che l’immigrazionismo sia un’articolazione strategica del neoliberismo, cioè, poteva essere compreso ed enunciato soltanto da un movimento in cui l’autonomia di classe prevalesse sull’autonomia della politica, ovvero delle mendaci narrazioni destra-sinistra. Non a caso, i gilet gialli furono ferocemente avversati in Francia tanto dalla destra quanto dalla sinistra.
E questo fornisce una seconda indicazione: anche gli immigrati residenti e lavoratori possono riconoscere nell’immigrazione illimitata uno strumento di dissoluzione sociale e, quindi, possono avversarla politicamente al fianco dei nativi.
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LA NECESSITA’ DI TENERE CONTO DEI 5 MILIONI DI IMMIGRATI ORMAI RESIDENTI
L’aver indicato le lotte sociali che hanno visto il coinvolgimento di lavoratori immigrati non implica affatto, da parte mia, l’adesione a certe teorie marxiste velleitarie che si dichiarano favorevoli all’immigrazione illimitata “perché tanto poi faremo la lotta di classe tutti assieme”.
Al contrario, l’esempio riportato dei gilet gialli sta a indicare che nessun avanzamento politico potrà essere realizzato prescindendo dalla necessità d’un completo stop all’immigrazione da lavoro massiva.
D’altro canto, visti anche i fallimentari esperimenti di “remigrazione” portati avanti finora in altri paesi europei, occorre delineare una prospettiva politica che tenga in qualche modo conto dei 5 milioni di immigrati ormai residenti in Italia.
Ebbene, il coinvolgimento degli immigrati – non in quanto tali, ma in quanto lavoratori – nelle lotte sociali è certamente una delle strade maestre da percorrere ma, inevitabilmente, essa riguarderà sempre una minoranza dell’insieme.
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LA CRISI DEL MULTICULTURALISMO E IL RUOLO NEFASTO DI DESTRA E SINISTRA
La maggioranza della popolazione immigrata, infatti, manifesta una decisa avversione nei riguardi dell’integrazione e in Italia – forse più per inerzia che per decisione politica – sta progressivamente prendendo piede il “modello inglese” volto alla creazione di enclave etniche separate.
La crisi di questo sistema di enclave – impropriamente chiamato multiculturalismo dai suoi promotori – è in corso in tutti i paesi europei e riguarda l’economia politica solo indirettamente: le forti tensioni verificatesi negli ultimi mesi in Gran Bretagna, Francia, Olanda, Svezia, Irlanda e perfino Spagna, sono tutte collegate alla convivenza e, specificamente, all’aumento di stupri, omicidi e aggressioni commessi da immigrati.
Questo fa sì che il risentimento popolare sia, inevitabilmente, più rivolto contro la popolazione immigrata che contro il ceto politico e industriale responsabile della situazione. In Gran Bretanga, in particolar modo, vediamo che il campo delle proteste è occupato dalla destra, da sempre tendente a spostare il conflitto verso il basso anziché contro i governanti; a contro-protestare, invece, vediamo gli “antifa” che si presentano in piazza dando dei razzisti ai lavoratori che contestano l’immigrazionismo e, dunque, fornendo completo sostegno alle strategie della classe dominante. Insomma, un quadro intricato e pericoloso dove destra e sinistra, come sempre, garantiscono che la tensione sociale non si incanali mai contro le oligarchie al potere.
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IL PROBLEMA ISLAMISTA
A spingere il conflitto verso il basso, è un ulteriore e specifico aspetto della crisi del multiculturalismo, vale a dire la cosiddetta questione islamica.
Su questo punto, l’errore esiziale sarebbe esprimere un approccio negazionista simile a quello che la sinistra manifesta riguardo alle conseguenze negative dell’immigrazione. Un problema islamico c’è o, meglio, un problema islamista, ma va affrontato con rigore analitico.
1) In primo luogo, il problema dell’islamismo fra gli immigrati ha a che fare solo indirettamente con l’idea dello “scontro di civiltà” che, distorcendo le tesi di Samuel Huntington, si è imposta dopo l’11 settembre 2001. Negli ultimi anni, ampia documentazione ufficiale ha confermato che lo jihadismo globale esiste sì, ma che incide nella misura in cui viene promosso e finanziato da Stati Uniti e paesi dell’Alleanza Atlantica. Il dirigente di Al Qaeda al-Shara’ che diviene presidente della Siria e stringe le mani di tutti i leader occidentali, è forse il simbolo più efficace di cosa davvero si sia sempre celato dietro la narrazione di Jihad vs. Occidente.
2) A monte di tutto, va tenuto presente che, al ritmo di 100.000 ingressi all’anno, niente e nessuno può integrarsi. Ergo, anche da quest’angolazione il problema a monte risulta comunque l’immigrazione da lavoro e i decisori politici di quest’ultima.
3) Detto questo, però, è certamente vero che:
- Esiste una corrente separatista e al contempo suprematista, nelle comunità islamiche dei paesi europei, che teorizza la conquista musulmana dell’Europa, seppure in maniera pacifica ovvero attraverso l’immigrazione.
- Esistono organizzazioni che promuovono la nascita di tribunali islamici, scuole coraniche e, in generale, la validazione legale della sharia.
- Esistono flussi di finanziamento, dal Qatar al network dei Fratelli Musulmani, che sono finalizzati alla costruzione e alla politicizzazione delle moschee in Europa.
- Esistono eventi come lo Spiritual Warrior Camp in Gran Bretagna, che è di fatto un campo d’addestramento paramilitare per islamisti.
- A tutto questo, si aggiunge il problema d’un deep state italiano ed europeo che – dalle scuole che vietano i presepi fino alle amministrazioni comunali che registrano anagraficamente il ripudio della moglie che si veste all’occidentale – avalla e favorisce tutte queste istanze separatiste-integraliste.
- Infine, leader della sinistra europea come Corbyn e Melenchon enunciano l’alleanza con le reti islamiste ponendosi, quindi, in contrapposizione frontale con la working class del proprio paese. (Il fatto che, come collante per questa operazione, venga utilizzata il genocidio in Palestina e che molte forze politiche europee contrarie all’immigrazione siano invece filo-sioniste, complica enormemente il quadro.)
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CONCLUSIONI INEVITABILMENTE TEMPORANEE
Di fronte a tutto questo, l’errore più grave sarebbe ipotizzare una sorta di nuova guerra santa contro le comunità musulmane così come, più in generale, sarebbe folle una prospettiva di conflitto sociale fra nativi e immigrati.
Premesso che stiamo parlando di un argomento d’immensa complessità e che per affrontarlo l’analisi dovrà essere sempre aggiornata, sulla base di quanto considerato mi sento di concludere che sussistano due linee generali d’indirizzo.
Riguardo alle manifestazioni che si stanno svolgendo in Europa, un punto di vista autonomo e popolare non può che essere schierato dalla parte della working class e del ceto medio impoverito che si stanno mobilitando. Fermo restando che la rabbia verso gli immigrati che delinquono non può essere stigmatizzata come fa assurdamente la sinistra, sarebbe però necessario supportare queste proteste sottraendole almeno in parte alla presa della destra in modo, così, da incanalare la rabbia soprattutto verso i governi nazionali e l’Unione Europea.
Contrariamente a quel che vorrebbero fare Corbyn e altri, è probabile che ci si ritroverà a coinvolgere solo la parte d’immigrati meno vincolata all’identità d’origine o a quella neo-tribale da banlieu; quella parte, insomma, che più facilmente potrebbe coalizzarsi in favore non già degli interessi d’una specifica enclave  o tribù urbana, bensì in favore d’un potere costituente popolare.
Potremmo sintetizzare con lo slogan: scongiurare la guerra interetnica, scatenare la rivolta dell'autonomia popolare.