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Indifferentemente

di Flores Tovo - 18/11/2023

Indifferentemente

Fonte: Flores Tovo

C’è un verso della poesia “La nuvola in calzoni” del futurista russo Vladimir Majakovskij che così recita: “ Ehi, signori, dilettanti di sacrilegi, di delitti, di massacri, avete  visto mai ciò che è più terribile? Il volto mio quando sono assolutamente indifferente?”. Egli proferì queste parole per rivelare che l’indifferenza era assolutamente terribile nel viso di una persona. Essa, infatti, è l’espressione di insensibilità, di distacco o freddezza, di mancanza di empatia verso gli altri, intendendo per gli altri,  tutti gli enti presenti nel mondo, compresi gli animali, le piante, ecc. Majakovskij in verità, non era affatto un indifferente: tanto è vero che per motivi d’amore ed anche probabilmente politici legati alla sua carriera, lui che era considerato il maggior poeta sovietico, si suicidò  con un colpo di pistola al cuore nel suo studio di Mosca il 14/4/1930  quando aveva 37 anni, lasciando uno scritto con questi versi: “Come si dice/ l’incidente è chiuso./ La barca dell’amore, s’è spezzata contro il quotidiano. / Io e la vita siamo pari./ Inutile elencare/ offese, dolori, torti reciproci./ Voi che restate siate felici”.  Egli stesso fu vittima dell’indifferenza altrui.

 L’indifferenza, quindi, può essere sia una disposizione sentimentale che tende a sopprimere  i propri sentimenti verso gli altri, e sia intellettuale, perché prodotto da calcoli logici di pura auto-convenienza. Tuttavia nel passato non è sempre stata considerata in modo così riprovevole. Basti pensare alla filosofia antica, riguardante l’etica, in particolare quella degli Epicurei, degli Scettici e degli Stoici. Gli Epicurei propugnavano il piacere stabile, che era quello dell’atarassia (assenza di turbamento nell’anima) e dell’aponia (assenza di turbamento nel corpo) che sono due stati d’animo simili all’indifferenza, in quanto si negava il valore del piacere in movimento, che consiste nella gioia e nella letizia. Solo l’amicizia viene salvata come sentimento positivo, pur tuttavia in un ambito di pochissimi. Non a caso la sua scuola si chiamava “Il giardino”,  in cui si applicava il precetto del “vivere nascosti”. Anche gli Scettici, che negavano ogni verità assoluta, in quanto ritenevano che bisogna sospendere ogni giudizio su tutto (fare epochè era il loro motto), erano convinti che solo l’atarassia poteva procurare l’imperturbabile serenità della mente. Lo scettico Timone di Fliunte addirittura affermava che l’unico atteggiamento possibile è quello di non pronunciarsi su niente (afasia).

Più complessa, invece, era la filosofia etica degli Stoici, che aspiravano ad ottenere una condizione di completa apatia, ossia di indifferenza verso qualsiasi emozione o passione. Ciononostante gli Stoici osservavano una condotta morale atta a perseguire il dovere retto, cioè del vivere “secondo natura”. Questo imperativo comportava l’adempimento di obblighi naturali, quali il dovere di rispettare ed onorare i genitori, la patria, i fratelli, gli amici, e quindi di esercitare l’onestà, la lealtà, la sincerità, la giustizia e altri pari valori. Seppoi questi comandi, rivolti all’azione pratica del  comportarsi rettamente, erano impediti da autorità esterne, si poteva agire anche con l’aperta ribellione. E qualora non fosse possibile cambiare gli avvenimenti, era giustificato persino il suicidio. Il dovere retto prevaleva sull’apatia. L’esempio più famoso nella storia degli Stoici ce lo ha dato Seneca.

Da queste vedute filosofiche si può comprendere quindi che l’indifferenza non è in sé un atteggiamento del tutto negativo, poiché l’esercizio di essa può fungere da autodifesa per  proteggersi nei confronti di eventi avversi: infatti può nascere come reazione verso offese subite, quali calunnie, tradimenti amorosi, amicizie perdute, o verso invidie, torti vari, per cui essa può assumere le connotazione di una propria salvaguardia contro la malvagità del mondo.

 Ben diverse sono le considerazioni sulla indifferenza vissuta nel mondo attuale. Essa ha perso le caratteristiche di ogni positività, ponendosi come la cifra rivelativa del nostro presente storico. Viviamo immersi nella società dell’indifferenza, in cui le religioni, le ideologie, ogni forma di etica, politica o estetica sono svanite. Nietzsche lo aveva profetizzato: siamo nell’epoca del nichilismo assoluto. Solo che anche la figura del superuomo da lui vagheggiato, che doveva emergere come il nuovo signore sulla terra, è invero scomparso. E’ rimasta solo l’inversione, la degenerazione, il deliquio operato col  dominio, per ora incontrastato, dei pessimi. Lo aveva ben compreso Heidegger nella sua più grande opera, che, a parer mio, è il “Nietzsche”, in cui dedicò circa mille pagine al filosofo di Röcken: un immenso lavoro che gli procurò, fra l’altro, una forte depressione nervosa, nel quale egli  dimostrò l’inconsistenza filosofica della figura del superuomo. Comunque Heidegger, precedentemente,  nel suo straordinario “Essere e tempo” aveva individuato con una profonda analitica esistenziale, che una esistenza inautentica vissuta solo di chiacchiere vuote, di curiosità superficiali come quella del “ho visto qua e là” e dell’equivoco di essere al mondo senza sapere di esserlo, avrebbe condotto inevitabilmente alla deiezione, cioè ad una caduta fragorosa nell’anonimato in cui si è solo individui in più, numeri, pura quantità.

Già Marx e  Simmel avevano  compreso che l’alienazione, ossia l’estraneazione da sé, dovuta allo sfruttamento delle forze di lavoro e al dominio del denaro all’interno di una formazione socio-economica di tipo capitalistico, sarebbe stata il “modus vivendi” generale laddove si attuava la massima concentrazione di monopoli industriali o finanziari. Ma fu ancora Heidegger, con la sua grande penetrazione di pensiero, a rivelare che l’esistenza alienata o inautentica era dovuta anche ad altro fattore fondamentale: ossia la tecnica moderna che egli appellava come “Das Gestell” ossia come quell’ impianto tecnico-scientifico che tutto omologa e tutto calcola. Esso, con la sua estensione in tutte le istituzioni, compresi i servizi quali scuole ed ospedali, e in tutti i gangli economici, comporta l’abbandono dell’Essere inteso come pensiero e sentimento. La nostra coappartenza svanisce e l’Essere ci abbandona. Ecco che la macchinazione ci ha portato ad un’epoca di completa assenza di domande. Tutto viene accettato passivamente: solo qualche raro ribelle si palesa. L’indifferenza diventa la non-dimensione totalitaria che assume le caratteristiche di una metafisica deviata.

L’indifferenza però non è il contrario della differenza. Quest’ultima implica l’identità con se stessi, poiché il differente si distingue dall’altro proprio perché è intrinsecamente è identico a sé ed estrinsecamente differente dall’altro. L’indifferenza, invece, è il non-determinato, l’indistinto, il senza identità. Essa coincide col vuoto spirituale del nostro tempo.

C’è una classica canzone napoletana che ha avuto grandi interpreti come Enzo Gragnaniello, che in alcuni versi così si esprime: “…e damme ‘stu veleno, non aspettà dimani, indifferentemente, se tu m’accidi, nun te dico niente…”. Questi versi erano rivolti alla persona amata, poichè trattasi, appunto, di una canzone d’amore. Ma se trasportiamo questi versi per rappresentare simbolicamente l’umanità attuale potremo affermare lo stesso concetto. Indifferentemente, miliardi di individui si sono fatti iniettare un siero sperimentale senza verifiche sperimentali comprovate, subendo con loro consenso tutte le incredibili e folli restrizioni sociali del potere demoniaco che ci comanda. Solo la loro miserabile pellaccia contava e conta. Sono poi convinto che se scoppiasse un guerra atomica, essi sarebbero indifferenti, purchè non capitasse nelle loro vicinanze. E così si va verso l’ignoto, indifferentemente.