L'Europa ha trovato un nemico comune, ma non è il virus
di Lorenzo Vita - 01/04/2020
Fonte: Insideover
Finalmente l’Europa ha trovato un nemico comune contro cui combattere. No, purtroppo per la popolazione europea non è il coronavirus, dal momento che l’Ue si è ben guardata dal trovare risposte comuni. Si chiama Viktor Orban, premier ungherese e leader di Fidesz, che da ieri ha assunto pieni poteri e si prepara a guidare Budapest nella difficilissima sfida al Covid-19. Una scelta che ha scatenato le critiche feroci del mondo progressista europeo, che si è rivolto verso il governo ungherese tacciando di dittatura travestita da democrazia la procedura con cui il premier magiaro ha virato verso l’accentramento dei poteri.
Chiaramente la legge non è sinonimo di liberalismo. Inutile girarci intorno. La scelta di Orban è ovviamente parte di un complesso meccanismo politico e ideologico attraverso cui il premier ungherese ha sempre messo in chiaro il desiderio di imporsi come leader carismatico del Paese. Quello che però fa riflettere è come l’Europa abbia saputo immediatamente scatenare una reazione indignata nei confronti del governo ungherese, quasi avesse finalmente trovato smalto dopo settimane in cui il massimo che ha saputo offrire al proprio pubblico sono perdite di tempo, liti, accuse e vergognose prese di posizione irrispettose nei confronti del dramma vissuto da migliaia di famiglie in Italia e nel resto del continente.
L’Ue ha trovato il suo nemico
Incapace di farlo col virus, l’ha individuato in un premier che (e questo è un paradosso) che ha seguito esattamente le proprie leggi e la propria Costituzione. Si dirà che questo modus operandi sia pura forma ma che la sostanza sia invece diversa e sintomo di un deficit democratico. Può anche essere vero, ma è difficile a questo punto perseguire nell’accusa di totalitarismo. Soprattutto se la legge di concessione di “pieni poteri” – un modo semplice e accattivante per screditare l’avversario – passa attraverso vaglio parlamentare, discussione in Assemblea, firma del presidente della Repubblica. E ancora: è difficile accusare il sistema di dittatura quando il parlamento non viene scelto, viene per obbligo della stessa legge costantemente informato, e soprattutto si prevede che la Corte costituzionale, simbolo del contrappeso giudiziario alle manovre politiche di qualunque leader, continui ininterrottamente il proprio lavoro.
Fatte queste premesse procedurali, è chiaro che questo tipo di legge, con cui il parlamento assegna a un leader poteri estremamente estesi in un’emergenza come quella del coronavirus, lascia perplessi. I passaggi sull’emergenza quasi illimitata così come gli anni di carcere per chi promuove fake news ed esce dal confinamento sono a tutti gli effetti parti difficili da inserire nel tipico contesto costituzionale liberale.
Il problema però è posto su un piano sbagliato. Perché il richiamo della Commissione europea è esatto nel momento in cui chiede al premier magiaro di evitare tempi molto larghi e di proporzionare le pene ai reati di cui si è accusati. Tuttavia lascia abbastanza perplessi il fatto che queste accuse arrivino da un blocco politico in cui non c’è un leader che non abbia, di punto in bianco, scelto la via della quarantena generale, della privazione di diritti di libertà fondamentali e con metodi che in qualsiasi altro contesto sociale si sarebbero sicuramente definiti non troppo distanti da una svolta autoritaria. In tutti i Paesi i leader hanno assunto di fatto pieni poteri, governando con decretazione d’urgenza, evitando i passaggi parlamentari, evitando addirittura di informare le assemblee legislative, decidendo per l’invio delle forze armate nelle strade e per una svolta decisamente forte nel sistema giuridico, con l’inserimento di reati impensabili fino a poche settimane fa per qualsiasi Stato di matrice occidentale e liberale.
Ecco, di fronte alle scene a cui assistiamo tutti i giorni, di persone che invocano modelli “orientali”, di altri che chiedono l’uso delle forze armate per imporre il coprifuoco, di governi che annunciano decreti e manovre economiche senza alcuna reale scelta condivisa da parte delle opposizioni e dei rami legislativi, fa riflettere che si accusi Orban di essere un leader autoritario. Specialmente perché si dà per scontato che quel modello liberale che hanno sconfessato tutti in questo periodo – salvo nobili e eccezionali casi – possa essere perfettamente aderente alla realtà di un Paese decisamente più complesso e complicato di quanto la narrazione progressista voglia far credere. Anche perché va ricordato, a scopo puramente informativo, che l’opposizione dell’attuale governo ungherese è composta in larga parte da un partito, Jobbik, che di tutto può essere accusato meno che di far parte della grande cultura liberale.