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L’Iran, gli Usa e il nucleare: Trump vuole la guerra (e Salvini è il suo cameriere)

di Alberto Negri - 19/06/2019

L’Iran, gli Usa e il nucleare: Trump vuole la guerra (e Salvini è il suo cameriere)

Fonte: linkiesta


L’annuncio di Teheran dell’imminente superamento dei limiti delle riserve di uranio a basso arricchimento è un grido di aiuto contro lo strangolamento economico di Trump al Paese. Ma l’Europa non risponderà (e a Washington l’Italia ha mandato il peggior rappresentante possibile, Matteo Salvini)
Che cos’è una politica estera dissennata e criminale? Nel caso dell’Iran ne abbiamo un esempio lampante. Qui la maggior parte dei commentatori, che in genere non hanno mai visto una guerra e tanto meno in Medio Oriente, ritiene che non ci sarà un conflitto contro gli ayatollah. Trump si avvia in campagna elettorale - è uno degli argomenti principali - e non gli conviene ritentare la conferma alla Casa Bianca con una guerra in corso. Sono ottimisti e forse sono anche già stati superati dalla realtà.
Quando Trump l’anno scorso si è ritirato dall’accordo sul nucleare firmato nel 2015 dal suo predecessore Obama - decisione presa su spinta di Israele e delle monarchie del Golfo come l’Arabia Saudita - aveva già fatto il primo passo verso un conflitto.
Non solo l’Iran non aveva violato l’accordo ma gli Usa mettevano continuamente sanzioni secondarie verso banche, aziende e Paesi che facevano affari con Teheran: sabotavano l’intesa e impedivano agli altri di attuarla. Se Teheran continua ad avere difficoltà a diventare un Paese “normale” come chiede il segretario di Stato Pompeo è proprio perché gli Usa non vogliono. E lo vogliono ancora meno i loro alleati nella regione perché l’Iran, secondo Paese al mondo per riserve di gas e quarto per quelle petrolifere, può diventare una potenza economica concorrente e attirare capitali e investimenti più di qualunque altro Paese della regione.
L’Italia, per esempio, aveva già firmato un memorandum di intesa con il presidente Hassan Rohani da 30 miliardi di dollari per commesse, grandi lavori e commercio. E pur in mezzo a mille difficoltà resta il primo partner europeo di Teheran.
Così gli americani hanno iniziato la fase preparatoria della guerra: lo strangolamento economico della repubblica islamica, soltanto mascherato dall’esenzione per sei mesi di potere acquistare greggio iraniano. Poi sarebbe cominciato quello che vediamo adesso: una sequela di provocazioni nel Golfo per fermare non tanto l’apparato militare iraniano ma soprattutto l’export di petrolio. A bombardare gli iraniani per il momento ci pensano in Siria caccia e missili di Israele.
Gli americani hanno messo il cappio al collo dell’Iran e ora intendono stringere la morsa. Potrebbe caderne vittima proprio il governo moderato del presidente Rohani ormai incalzato dai Pasdaran e dell’ala dura che non volevano firmare l’intesa sul nucleare del 2015. Se l’Iran si ribella al soffocamento economico e vanno al governo i duri, si procede verso la guerra. E in alternativa soltanto “i duri e puri” del regime possono davvero negoziare un’intesa per evitarla.
A Teheran hanno capito quello che già sapevano da molto tempo, e cioè che senza un’atomica nell’arsenale sarebbero stati sempre un bersaglio degli Stati Uniti e dei loro alleati. La conferma è venuta dall’iniziativa di Trump di aprire negoziati con la Corea del Nord: solo sei ha l’atomica vieni considerato degno di essere preso in considerazione dalla Casa Bianca.
Gli iraniani non potranno mai avere l’atomica e lo sanno perfettamente: altrimenti sarebbero già stati bombardati. Basti pensare che per le false accuse di possedere armi distruzione di massa gli americani hanno fatto fuori Saddam Hussein. Gli Stati Uniti hanno già dimostrato di attuare guerre prive di qualunque giustificazione perché non ne hanno bisogno: se la inventano e quindi la vendono al mondo intero.
Gli iraniani possono soltanto possedere una bomba “virtuale”, cioè i mezzi per farla ma senza avvicinarsi troppo e quindi tenere sulla corda gli Usa e le monarchie del Golfo che sono le prime al mondo per spesa militare in armi americane e occidentali.
L’Iran corre su un filo sottile, non soltanto nel Golfo ma anche in Siria, in Iraq e in Yemen. Le altre poste in gioco di un eventuale conflitto contro gli ayatollah. Gli Usa sono affascinati come sempre dalla teoria del domino: se cade Teheran, pensano, ci prendiamo anche tutto il resto e poi passiamo a regolare i conti con la Russia e la Turchia, un membro della Nato che è ormai è più vicino a Putin che agli Usa e all’Occidente.
Non sorprende quindi che Teheran abbia annunciato che entro dieci giorni supererà i limiti delle riserve di uranio a basso arricchimento consentiti dall’accordo del 2015
Gli Stati Uniti quindi hanno mandato il premier giapponese Shinto Abe a provare una finta mediazione con la Guida Suprema Ali Khamenei ben sapendo che questa missione suonava come una sorta di ultimatum. E anche abbastanza comico: i giapponesi pur essendo una potenza più che rispettabile non sono la Russia, la Cina, Francia, la Gran Bretagna, Stati che fanno parte del consiglio di sicurezza Onu, che hanno l’atomica e sono garanti dell’accordo sul nucleare insieme all’Onu. Il tentativo di Abe è stato preceduto da un altro della Germania. Ma si è trattato di manovre dilatorie, fumo negli occhi: Germania e Giappone sono insieme all’Italia le potenze sconfitte dalla seconda guerra mondiale e messe sotto protettorato americano. Cosa volete che contino?
Se uno manda a Teheran giapponesi e tedeschi significa che vuole dal regime iraniano una resa senza condizioni. Non una trattativa. Tanto è vero che gli Usa hanno montato l’operazione contro le petroliere nel Golfo per potere accusare l’Iran proprio mentre Abe si trovava a Teheran: il premier nipponico deve essersi sentito preso in giro e ha fatto la figura dello sprovveduto.
Non sorprende quindi che Teheran abbia annunciato che entro dieci giorni supererà i limiti delle riserve di uranio a basso arricchimento consentiti dall’accordo del 2015. Non è una minaccia ma una richiesta di aiuto. Rohani aveva dato 60 giorni ai Paesi firmatari dell’accordo per rendere concrete le promesse di aggirare le sanzioni petrolifere e bancarie americane. Una richiesta rivolta in particolare agli europei.
Cosa farà l’Europa in caso di crisi prolungata e forse di guerra? La Gran Bretagna si è già schierata con Washington, la Francia fa finta di mediare ma in realtà tiene più alle sue commesse militari nel Golfo che alla pace in Medio Oriente, la Germania resterà neutrale, dimostrando ancora una volta di essere una potenza inutile in caso di conflitto, mentre l’Italia darà le basi agli Usa, come sempre. Salvini non lascia dubbi: è filo-israeliano, quindi filo-tutto. È d’accordo con Trump su tutto, dalla guerra all’Iran alla Cina, e afferma che l’Italia deve tornare a essere il primo partner europeo degli Usa, anche se non lo è mai stata. In poche parole abbiamo mandato un altro cameriere, per di più disinformato, a Washington, il quale non vede l’ora di rifilarci gli F-35 non venduti alla Turchia. Forse lo assumono. Sovranisti su Marte.