L’Ucraina, la Nato e la lunga ombra della guerra per procura
di Giuseppe Gagliano - 08/06/2025
Fonte: Insideover
Nel cuore dell’Europa, alle porte della Russia, si consuma da anni un conflitto che è stato presentato come una reazione difensiva a un’aggressione improvvisa, ma che, a ben vedere, affonda le sue radici in un processo lungo, metodico e consapevole di accerchiamento strategico. Per comprendere il senso profondo della guerra russo-ucraina – o, per meglio dire, della guerra NATO-Russia combattuta per procura – occorre spostare lo sguardo ben oltre il 24 febbraio 2022, data dell’inizio della “operazione militare speciale” di Mosca.
Una lunga preparazione occidentale, mai confessata
A partire dal 2015, dopo il colpo di Stato di Maidan e l’annessione della Crimea, la NATO ha avviato un’operazione sistematica di trasformazione e integrazione dell’esercito ucraino secondo i propri standard operativi. Come ha sottolineato il politologo americano John Mearsheimer, gli sforzi dell’Alleanza per armare e addestrare le forze armate ucraine non solo spiegano la resilienza militare di Kiev ma smascherano l’illusione di una neutralità occidentale.
Un articolo del Wall Street Journal del 2022 ha rivelato che oltre 10.000 militari ucraini venivano addestrati ogni anno, da almeno otto anni, secondo procedure NATO. Questi programmi coprivano tutto: dall’addestramento tattico alla ristrutturazione del ministero della Difesa, dalla supervisione parlamentare al comando operativo. Il risultato? Un esercito agile, interoperabile con gli standard occidentali, capace di stupire il mondo per l’efficacia delle sue prime reazioni contro una forza militare nominalmente superiore come quella russa.
L’intelligence occidentale in prima linea
Accanto all’addestramento, si è sviluppata una cooperazione clandestina – ma ormai documentata – tra i servizi di intelligence anglosassoni (CIA, MI6) e quelli ucraini (SBU e GUR). Nel febbraio 2022, mentre le truppe russe varcavano i confini ucraini, gli ufficiali della CIA già presenti a Kiev fornivano quotidianamente informazioni operative su bersagli, rotte e sistemi d’arma utilizzati da Mosca. Come ha dichiarato l’allora capo dell’SBU, Ivan Bahanov, “senza la CIA non avremmo potuto resistere”.
Il New York Times e la NBC hanno confermato che questa cooperazione prevedeva la trasmissione in tempo reale di dati sensibili sulla posizione dei generali russi, consentendo agli ucraini di eliminarli. Per la prima volta nella storia recente, un’agenzia di intelligence occidentale pianificava e supervisionava operazioni letali in tempo reale per conto di un esercito non NATO.
Secondo il direttore dell’intelligence militare statunitense, la cooperazione USA-Ucraina era “rivoluzionaria”: mai prima, in oltre 35 anni, si era vista una tale mole di informazioni trasmesse con tale precisione e tempestività. Il capo della NSA ha aggiunto che questi flussi informativi hanno consentito a Kiev di elevare il livello operativo delle proprie forze a un punto tale da poter affrontare uno scontro diretto con una potenza nucleare.
Una guerra per procura, non una guerra di difesa
Tutto questo avveniva mentre i leader occidentali negavano qualsiasi coinvolgimento diretto. Eppure, secondo la giurisprudenza del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, la pianificazione, supervisione e condivisione di intelligence equivalgono a partecipazione attiva nel conflitto. A maggior ragione se si considera che, come documentato dall’IRSEM nel maggio 2022, il concetto di “controllo generale” implica che non sia necessario impartire ordini diretti: basta sostenere operazioni offensive per essere cobelligeranti.
La vera svolta si verifica nella primavera 2022. In aprile, a Istanbul, si aprono negoziati tra Mosca e Kiev. I contorni dell’accordo sembrano delinearsi: neutralità ucraina, garanzie di sicurezza, fine delle ostilità. Ma in pochi giorni tutto si blocca. Il motivo? La visita a sorpresa del premier britannico Boris Johnson a Kiev, il 9 aprile, che – secondo fonti ucraine – avrebbe comunicato al presidente Zelensky che “non doveva firmare nulla con la Russia”. La NATO, ha detto Johnson, avrebbe garantito tutto il supporto necessario per ottenere una vittoria militare.
Lo conferma anche l’ex premier israeliano Naftali Bennett, mediatore nei colloqui: furono le potenze anglosassoni, in particolare USA e Regno Unito, a sabotare la trattativa. Lo stesso Washington Post ha descritto l’operazione per conquistare l’aeroporto di Hostomel come il preludio a un blitz su Kiev. Il fallimento di quell’assalto fu il punto di svolta: da quel momento, l’Occidente decise che la guerra non sarebbe più finita con un compromesso, ma con l’indebolimento strategico della Russia.
Il disastro calcolato della diplomazia sabotata
In maggio 2022, il Guardian riportava le parole del segretario alla Difesa USA Lloyd Austin: “il nostro obiettivo è indebolire la Russia al punto che non possa più minacciare alcun vicino”. Parole inequivocabili, che spiegano la logica anglosassone della guerra per procura: sostenere militarmente Kiev non per difendere il diritto internazionale, ma per dissanguare Mosca sul campo.
Parigi e Berlino, inizialmente caute, finirono per seguire. La Francia fornì 12 cannoni CAESAR dopo due mesi di esitazione. La Germania concesse carri armati Leopard e poi Taurus, sfiorando più volte la soglia della cobelligeranza. Eppure, a ogni passo, le cancellerie occidentali si affannavano a smentire: “non siamo in guerra con la Russia”, ripetevano. Ma era sempre meno credibile.
Una guerra che rafforza l’avversario
Contrariamente agli auspici di Washington e Londra, l’offensiva bellica non ha indebolito la Russia, ma l’ha spinta a mobilitare risorse senza precedenti. Nel solo 2023, Mosca ha aumentato il numero di soldati in prima linea del 15%, passando da 360.000 a quasi mezzo milione. La produzione industriale militare è esplosa, triplicando quella occidentale in quanto a munizioni. Secondo CNN, la Russia produce tre volte più proiettili d’artiglieria degli USA e dei loro alleati messi insieme.
In Crimea, nel Mar Nero, nel Donbass, si combatte con sistemi sempre più avanzati, con una Russia che si adatta, evolve, e rafforza la propria resilienza tecnologica e strategica. Il fallimento delle sanzioni – ormai evidente – si somma a quello dell’illusione che Mosca sarebbe collassata sotto il peso delle perdite e dell’isolamento.
La cobelligeranza nascosta e il rischio dell’escalation globale
Oggi il conflitto ha raggiunto un punto di non ritorno. Gli attacchi in Crimea, l’uso di armi NATO per colpire il territorio russo, e la recente decisione di Biden di autorizzare tali colpi, aprono un nuovo capitolo: la guerra per procura sta diventando guerra aperta, ma senza dichiarazione. Una “cobelligeranza clandestina”, come la definisce Thomas Friedman, che avvicina il mondo a una collisione diretta tra potenze nucleari.
E mentre l’intelligence occidentale pianifica, guida e supervisiona le operazioni ucraine, mentre i governi europei aumentano la fornitura di armi letali, la popolazione – europea e americana – resta all’oscuro del vero livello d’impegno militare nel conflitto. Una verità che, se venisse ammessa, metterebbe in crisi non solo l’intero impianto narrativo della guerra, ma la stessa legittimità politica di chi la guida.
Il conflitto tra NATO e Russia non è dunque il frutto di una “invasione non provocata”, ma il risultato di un’escalation strategica pianificata da anni, la cui fase finale – l’invasione russa – è stata innescata da provocazioni continue, sottili, ma devastanti. Una guerra che si poteva evitare, ma che si è voluta. E che oggi, due anni dopo, rischia di sfuggire al controllo di tutti, generando una spirale distruttiva senza precedenti in Europa.