L’ultimo francese
di Roberto Pecchioli - 25/08/2024
Fonte: Roberto Pecchioli
E’ morto Alain Delon, l’ultimo francese. Non è un caso che non fosse un politico, uno scienziato, un artista o un eroe, ma solo un attore. Ovvio, in una società in cui lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini in cui tutti noi siamo consumatori di illusioni. Non di speranze: quelle sono sfumate in un tempo senza onore e senza decoro, volgare, dominato dal brutto e dall’invertito. E’ un’epoca in cui non c’è più posto per il tipo umano che rappresentava Alain Delon, bellezza, eleganza e quell’aria inconfondibilmente francese- di una Francia che non c’è più, di cui è stato l’alfiere e l’immagine più bella. L’ultima sua dichiarazione pubblica ce lo rende più vicino e ci mostra perché anche noi – senza la fama, il successo, la bellezza di Alain – ci sentiamo esuli, stranieri in questo mondo e in questo tempo. “Odio questa epoca, la rigetto. Tutto è falso, tutto è distorto, non c’è rispetto, niente più parole d’onore. Conta solo il denaro. So che lascerò questo mondo senza rimpianti” .
Fu il simbolo di un‘epoca bellissima, ancora umana, civile, gioiosa; ha speso la vita mordendo i suoi frutti, le donne, il buon vivere, la leggerezza. Fu un attore in cui la bellezza e il sorriso, il fascino parigino (di una Parigi ombelico del mondo che non esiste più, morta come il commissario Maigret, i bistrot e le canzoni di Edith Piaf) ammaliavano le donne e destavano l’invidia degli uomini, ma non il loro rancore. Chi non avrebbe voluto essere Alain?
Personalmente, ci restano due ricordi incancellabili. Uno riguarda il personaggio di Tancredi Falconeri nel Gattopardo. Vedemmo il film in ritardo, dopo aver letto il capolavoro di Tomasi di Lampedusa. Odiavamo quel giovinastro senza principi, cinico, subito passato dalla parte dei vincitori all’arrivo di Garibaldi, che dice allo “zione”, il principe di Salina, la frase simbolo di ogni opportunista: se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi. Visto nel film, nella luce abbagliante della Sicilia catturata da Luchino Visconti, con il sorriso, la giovinezza straripante di Alain Delon, Tancredi diventava un eroe, non un voltagabbana. Perfino la maschera potente di Burt Lancaster- Principe di Salina si riduceva a rappresentazione del passato sconfitto.
L’altro ricordo riguarda la scoperta dell’universo femminile attraverso il divo francese. La ragazzina di cui ero invaghito era innamorata di Alain Delon e mi trascinava al cinema per vedere i film del suo eroe. Come è possibile, pensavo, che le donne si innamorino di qualcuno che non conoscono e mai conosceranno? Ci rimuginai senza risultato per l’intera durata de L’ultima notte di quiete, un “film d’arte” di cui non capii nulla, nobilitato dalla presenza scenica di Delon. Ricordo soprattutto i sospiri delle ragazze e l’invidia di noi trascurati accompagnatori. Mezzo secolo dopo, l’enigma del femminino resta insoluto.
Rocco e i suoi fratelli, ancora di Visconti, fu un film cucito sul suo personaggio, la maschera di bellezza dolce e virile in un universo duro come il pugilato di cui Alain/Rocco diventa campione. Un altro personaggio indimenticabile è lo scrittore fallito de La piscina, con Romy Schneider, l’amore più intenso della vita di Delon. Una donna bellissima, simbolo del fascino tedesco nell’indimenticabile ruolo di Sissi, l’imperatrice d’Austria. Non riusciamo a non citare Borsalino, lo strano film un po’ noir e un po’ picaresco in cui Delon e Jean Paul Belmondo – delinquenti in carriera ed amici per la vita in una Marsiglia criminale ma ancora europea – gareggiavano in fascino e bravura .
Spesso si ama qualcosa senza un perché, da ragazzi. Poi si scopre che rappresentava il proprio idealtipo, un modello positivo, una visione della vita, un’antropologia. L’uomo Delon fu giovanissimo volontario in Indocina, restò per sempre un patriota e e un uomo di principi antichi, mai tentato dal conformismo di tanti colleghi e neppure dal silenzio di comodo. Alain non era Tancredi Falconeri, anche se nell’immaginario popolare resta l’immagine più scintillante di quella debordante giovinezza.
Ma Delon è anche l’icona perduta di un tipo umano profondamente francese, un po’ Cyrano e un po’ D’Artagnan, simbolo della sua gente, dell’ aria che ha respirato, della civiltà di cui era figlio, della classe di una certa Francia. Abbiamo visto alcuni suoi film in lingua originale, apprezzando la sua perfetta dizione, segno dell’amore per la lingua che è un tratto distintivo dell’anima transalpina. Tutt’altro che l’argot miserabile delle periferie degradate della massa dei “nuovi francesi” . La sostituzione etnica è anche impoverimento della lingua, dissoluzione dell’esprit de finesse, bruttura di ambienti invivibili.
Anni fa Alain Delon si schierò contro l’adozione omosessuale perché un figlio “ha bisogno di un padre e di una madre”. Strano ricordare frasi tanto normali, che diventano eroiche nel mondo al contrario. Da “viveur” disse anche “siamo nati per amare una donna, per corteggiarla. Non per rimorchiare un uomo e farsi sedurre da lui”. Stringe il cuore registrare queste affermazioni – in fondo ovvietà – e metterle a confronto con il clima dominante, che diventa imposizione a norma di legge. Per sua fortuna, Alain, i cui ultimi anni sono stati dolorosi per la perdita progressiva della salute e dell’autosufficienza, non ha vissuto il degrado dell’ultimo decennio. Forse lo ha immaginato, presentito e l’oblio lo ha in qualche modo protetto .
Si arriva al punto da augurarsi di perdere il senno per non vedere, per non soffrire, per mantenere l’estraneità a quello che non capiamo più. Beato lui, non ha visto la cerimonia di chiusura delle olimpiadi della sua città, in cui una quantità di esseri subumani, nudi, con il volto privo di tratti indistinguibili, stavano accatastati uno sopra l’altro nell’atto dell’adorazione di un’inquietante figura dotata di ali, ricoperta di filamenti d’oro. La rappresentazione di una massa di esseri senz’anima e identità privi di vitalità, in atto di ubbidiente adorazione di divinità capovolte. Che differenza con Alain Delon, con la sua omologa donna – Brigitte Bardot oggi novantenne che ha scritto di condividere parola per parola le ultime esternazioni di Delon- con la Francia di Molière e Rabelais, degli impressionisti, delle cattedrali, perfino con quella di Voltaire e di Robespierre.
Davvero è morto l’ultimo francese, il simbolo estremo di un mondo che fu grande e bellissimo su cui calano le tenebre, sostituito da una cloaca di bruttezza e di desolazione civile. E’ finito il gran ballo del Gattopardo, vecchio Alain. Non ha vinto il tuo Tancredi, che in fondo conservava un rango e una dignità. Non c’è più neppure Angelica, la splendida Claudia Cardinale, sostituita da qualche trans come quelli della cerimonia d’apertura di Parigi 2024, anno ultimo della tua amata Francia. Ha vinto il mondo capovolto che lasci senza rimpianti. Anche noi lasceremo questo pantano invivibile senza tropp0 dolore. Hai vissuto, hai amato e sei stato amato. Come la canzone di Edith Piaf, colonna sonora della douce France, di sicuro tu ne regrettes rien, non rimpiangi nulla. Che la terra ti sia lieve, Alain, ultimo francese.